CANNABIS LIGHT: “NO A FIORI E RESINA”. DA OGGI CHI LA VENDE NEI NEGOZI FA SPACCIO

erbaLe Sezioni unite penali della Cassazione, con la pubblicazione odierna del verdetto risalente al 30 maggio scorso, lo hanno scritto spiegandolo nelle 19 pagine delle motivazioni della sentenza (30475/19, scarica qui): non è più permessa la vendita di cannabis light che si poteva comprare (per poi fumare) nei tanti negozi che, anche a Latina, sono sorti da qualche anno a questa parte.   
È reato vendere la cannabis light, le foglie, salta la soglia di thc sotto lo 0,6%. Quindi, il principio drogante parrebbe non contare, anche se nella seconda parte della sentenza, la Cassazione parrebbe lasciare aperto uno spiraglio. Dalla canapa, in sostanza, si possono ricavare tantissimi prodotti, ma non la marijuana
La legge 242/16 sarebbe, secondo i giudici, solo a tutela delle coltivazioni agricole e poi in grado di commercializzare i prodotti autorizzati: quindi sicuramente escluse le foglie che si fumano, che in realtà era il punto più temuto di tutti i piccoli imprenditori che, da tempo, hanno investito (chi anche lasciando altro tipo di lavori) e intrapreso la via dei cannabis shop. 
 
Nel commento di Dario Ferrara su Cassazione.net, la questione derivante dalla sentenza viene spiegata piuttosto lucidamente, rimarcando in sintesi che vengono salvate le fibre e i carburanti da canapa, e azzoppate del tutto hashish e marijuana: “La legge 242/16 serve a promuovere la coltivazione agroindustriale di canapa nelle varietà ammesse mentre è reato commercializzare cannabis sativa L. o i suoi derivati diversi da quelli espressamente autorizzati: costituisce dunque spaccio di droga vendere la cannabis light nei growshop, dal momento che non risulta consentita la cessione di foglie, inflorescenze, olio e resina. E ciò anche a basso contenuto di thc, a meno che i derivati non siano privi di efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività. Il range di tolleranza in cui non scatta la rilevanza penale, vale a dire la percentuale di thc fra 0,2 e 0,6 per cento, vale soltanto per scriminare l’agricoltore quando durante la maturazione la coltura impiantata in modo lecito finisce per superare i valori soglia indicati dalla normativa.
 
DARIO FERRARA
Dario Ferrara
Il collegio esteso rifiuta l’interpretazione secondo cui la percentuale di thc fino al 0,6 per cento è la soglia sotto la quale non ci sarebbero effetti droganti. La forchetta 0,2-0,6 per cento è introdotta soltanto per tutelare il coltivatore che impiega qualità consentite nell’ambito della filiera agroalimentare e non può essere valorizzata per affermare che sono leciti i derivati della cannabis sativa L – e relativa vendita – laddove contengono una quota di thc compreso nel range ma sono diversi da quelli tassativamente indicati dall’articolo 2, secondo comma, della legge 242/16: insomma foglie, inflorescenze, olio e resina sono fuori dall’ombrello della normativa e la relativa cessione integra un’attività illecita perseguita dal testo unico sugli stupefacenti. La normativa qualifica come lecita soltanto l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/Ce del Consiglio europeo. Gli usi consentiti? Dagli alimenti ai cosmetici, dal florovivaismo ai materiali per la bioedilizia fino ai prodotti per la bonifica di siti inquinati“.
 
Una mazzata non c’è che dire, sopratutto nei confronti dei piccoli commercianti, per lo più giovani, che avevano trovato uno sbocco alla loro vita professionale, come documentato anche da Latina Tu con l’intervista al primo imprenditore (28 anni) che, nel capoluogo pontino, ha avuto l’intuizione di investire in un cannibis/grow shop, ossia un negozio dove prendere l’erba light e fumarla a casa propria.

Una sentenza che mette fine alle possibili aperture di natura legislativa (in Parlamento se ne parla da un decennio) che, al di là della parziale impopolarità, mirano alla legalizzazione delle droghe leggere. Una impopolarità che può anche travestirsi da propaganda politica ipocrita, da quanto si apprende in un’inchiesta de L’Espresso che ha messo al centro Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, fustigatori della legalizzazione ma al contempo percettori di un lauto finanziamento da 200mila euro proprio da personaggi legati ad una multinazionale, la Southern Glazer’s Wine and Spirits, che ha investito nel business della cannbis legale (negli Usa, si capisce).
Giorgia Meloni
Giorgia Meloni
Di certo, molte operazioni delle forze dell’ordine, delle Procure di tutta Italia, e di Latina e Cassino comprese, non avrebbero ragione di esistere se l’erba fosse legale. Se si considera che una delle ultime più rilevanti operazioni, Selfie, resa di dominio pubblico con gli arresti di 27 persone proprio il 31 maggio, all’indomani della sentenza spezza cannabis light, è durata 3 anni coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Come è noto, sono stati indagati personaggi legati alla ndrangheta e all’area pontina monitorati, quest’ultimi, nei loro viaggi, su e giù da Latina in Calabria andata e ritorno, con chili di marijuana.
Soldi e risorse umane delle forze dell’ordine e della magistratura sottratti alle investigazioni dei livelli superiori, quando quelle immense risorse economiche, derivanti anche dalla vendita della maria, costituiscono il mondo in cui i denari sono già lavati, divisi, dissimulati e reintrodotti nell’economia legale. Un mondo pericolosissimo, di serie A criminalmente parlando, che lo stesso sottogretario dell’Interno Luigi Gaetti, in visita alla Prefettura di Latina circa un mese fa, ha definito per la provincia pontina “una mafia economica”.
 
operazione Selfie
Alcune immagini dell’operazione Selfie in Calabria
Si dirà: ma questa sentenza della Cassazione blocca l’erba con principio drogante inferiore alla marijuana che le consorterie spacciano. Vero, come è vero che – confermatoci dai commercianti – molti dei fumatori dicono di aver smesso di rivolgersi al mercato nero gestito dalla malavita e di aver iniziato ad usufruire dei prodotti che, almeno fino ad oggi, era legale vendere.
C’è di più. Se non si riesce come Paese a rendere legale neanche l’erba light, è assai difficile, dopo oggi, che il legislatore si spinga a rendere legale la marijuana – quella del tipo che rappresenta un introito sicuro per mafie di ogni genere -come avviene in molti stati degli Usa, in Uruguay, Olanda ecc.
Con buona pace dei cosiddetti colletti bianchi da mondo di sopra, sempre più al riparo dalle investigazioni complesse che meriterebbero, purtroppo dirottate (per legge, ci mancherebbe) a seguire picciotti, sottopanza, pesci piccoli e cavalli che agiscono negli infiniti canali di spaccio che si creano, si distruggono, vengono bloccati, e rinascono come l’Araba Fenice.
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