Omicidio di Gaetano Marino detto Moncherino McKay: Corte d’Appello di Roma conferma le condanne per gli imputati
La Corte d’Assise d’Appello di Roma ha emesso le sentenze di secondo grado in riferimento a uno degli omicidi più eclatanti avvenuti nella provincia di Latina. Si tratta dell’ammazzamento del napoletano Gaetano Marino, detto Moncherino (il boss, in vita, aveva perso le mani a causa di uno scoppio di un ordigno che stava piazzando lui stesso), fratello di Gennaro Mckay, avvenuto a colpi di pistola, il 23 agosto 2012, sul lungomare di Terracina. I giudici dell’Appello hanno confermato le condanne per i quattro imputati.
A febbraio 2021, la Corte d’Assise del Tribunale di Latina, presieduta dal giudice Francesca Valentini aveva condannato Arcangelo Abbinante, come esecutore materiale dell’omicidio del boss scissionista Marino, e Giuseppe Montanera, componente della spedizione, al fine pena mai. Ergastolo per entrambi.
Condanne anche per Salvatore Ciotola e Carmine Rovai, i due uomini che fornirono l’appoggio ai due killer a Terracina per freddare Marino davanti al Lido Il Serenella sul lungomare: 22 anni per ciascuno dei due uomini.
Un delitto nato nell’ambito del controllo dello spaccio a Secondigliano e l’esigenza di gestire le piazze di Mugnano, Casavatore e Arzano, comuni complessi dove estorsioni e smercio di droga sono, purtroppo, parte integrante dell’ambiente sociale. Secondo gli investigatori, è proprio nella faida interna degli Scissionisti che vanno rintracciati tutti gli elementi portanti di questa storia criminale. “In quel periodo (ndr: quello dell’omicidio Marino) – ha confessato durante l’interrogatorio un affiliato – noi come clan eravamo piuttosto depressi, giù di morale, stavamo perdendo tutto”. Quell’omicidio portato sul litorale laziale, anche per spostare l’attenzione delle forze dell’ordine da Secondigliano, diede coraggio a “chi si stava abbattendo”.
L’agguato avvenne nell’estate di due anni fa. Secondo gli investigatori della Squadra Mobile di Latina e Roma, agì un solo killer che si affrettò a fuggire lungo viale Circe a Terracina in direzione Roma, saltando a bordo della Punto ferma in seconda fila e protetto da una seconda auto che si era messa di traverso per bloccare il traffico. Marino, il boss che era andato anche in tv, nell’ambito del programma televisivo Canzoni e Sfide su Rai Uno ad applaudire la figlia che si esibiva cantando una canzone a lui dedicata, restò a terra esanime tra i bagnanti nel panico.
Il giorno dopo il delitto, l’auto dei basisti fu ritrovata a Terracina nei pressi dell’abitazione di Carmine Rovai. Si arrivò così anche a Salvatore Ciotola. I due sono originari di Monterosa e sospettati di contatti con i clan di Secondigliano.
Quando furono convocati come testimoni nel commissariato di Terracina non si accorsero di essere intercettati e si scambiarono commenti sui dettagli e le risposte da dare. Le indagini, quasi da subito, si arricchirono delle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: Giuseppe Ambra che ha svelato la strategia scelta dai boss per scegliere le vittime da colpire, e Pasquale Riccio che ha spiegato l’organizzazione del delitto. “Gaetano Marino era in vacanza a Terracina. Venne incaricato (ndr: un loro uomo) di affittare una casa come appoggio per il gruppo di fuoco. La casa era proprio in centro, c’erano tute le immagini di santi e papi”.
Fu lì che si definirono gli ultimi dettagli della missione di morte. Era il 23 agosto. Il 9 settembre successivo, a omicidio compiuto, a Scampia fu freddato Raffaele Abete, fratello di Arcangelo Abete, esponente del cartello in lotta contro la Vanella Grassi (a cui appartiene il clan Marino). Per gli inquirenti fu la risposta dell’agguato a Terracina.
In un’informativa, le squadre mobili di Roma e Latina fecero riferimento a un telegramma che il 23 settembre Gennaro McKay Marino, fratello di Gaetano, scrisse in carcere all’indirizzo di Arcangelo Abete, recluso a Secondigliano, per dirgli di essere addolorato per la morte di Raffaele e sottolineare la propria fratellanza. Con tutta probabilità una proposta di pace per porre fine alla faida.
Per l’omicidio, ha patteggiato sei anni e otto mesi di carcere Pasquale Riccio, detto ‘o palluso. Riccio, divenuto collaboratore di giustizia, ricostruì nel dettaglio, a febbraio 2019, i particolari dell’omicidio camorristico di Gaetano Marino, crivellato di colpi in pieno giorno nei pressi dello stabilimento “Il Sirenella”.
A emettere la sentenza la Corte d’assise d’appello di Roma che ha emanato la decisione in accoglimento di un concordato di pena tra procura generale e difesa. In primo grado, Riccio era stato condannato a 10 anni di reclusione dopo il processo col rito abbreviato.