CALABRETTO INQUINATA. DOPO 2 ANNI SI SVEGLIA LA PROVINCIA: MESSA IN SICUREZZA A CARICO DEI PROPRIETARI

Fumarola nella discarica abusiva di Calabretto, Itri
Una delle cosiddette "fumarole" nella discarica abusiva di Calabretto, Itri: veri e propri piccoli geyser maleodoranti che producono gli effluvi tossici di cui si lamentano i cittadini della zona

Discarica di Calabretto: passati due anni dall’ordinanza comunale a Itri, le aree non sono state bonificate. E ora la Provincia di Latina certifica l’impossibilità di individuare i responsabili dell’inquinamento

Una storia annosa, ormai, quella delle cosiddette fumarole che nella calda estate del 2019 incendiarono, di fatto, e a parole, l’ambiente itrano.

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Roghi nauseabondi, inquinamento, interventi della politica a tutti i livelli, un sequestro su richiesta della Procura di Cassino e un’indagine ancora aperta del sostituto procuratore della suddetta Procura Maria Beatrice Siravo.

E ora? Pare non sia cambiato niente, anzi non è proprio cambiato niente e la Provincia di Latina, con una determina summa degli eventi passati e recenti, prende atto, scrivendolo in un provvedimento ufficiale, dell’odierna impossibilità di individuare i soggetti responsabili della contaminazione.

Insomma, nessuna bonifica è stata effettuata a Calabretto nonostante, come anche richiamato nella determinazione datata 7 giugno 2021 e firmata dal Dirigente del Settore Ecologia e Tutele del Territorio della Provincia di Latina Antonio Nardone, esistano due organismi che accertino il contrario. O almeno che si sarebbe dovuto operare diversamente in una vicenda che, come la metti la metti, ha denunciato la debolezza della politica e delle Istituzioni.

A chiare lettere, pur non essendo individuato il responsabile dell’inquinamento (coloro che hanno dato fuoco a rifiuti pericolosi a Calabretto), una nota del Ministero dell’Ambiente del 23 gennaio 2018 e una sentenza del Consiglio di Stato (la numero 1759/2020) stabiliscono, in modalità pressoché identica, e richiamando norme di legge e una ulteriore sentenza di Palazzo Spada (anno 2017), che “In ogni caso – scrive il Ministero – il proprietario o gestore, ancorché non responsabile dell’inquinamento, è tenuto a porre in essere adeguate misure di prevenzione“.

Inoltre, rincara il Consiglio di Stato: “il proprietario non responsabile
dell’inquinamento è tenuto ad adottare le misure di prevenzione e le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha
creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo
“. Deve, quindi, ottemperare alle “misure di messa in sicurezza d’emergenza“.

Eppure, a Itri, non è accaduto niente. Fette di Calabretto sono bruciate e l’inquinamento ha fatto il suo sporco lavoro, nonostante le ordinanze del Comune (datate 17 e 18 luglio 2019) di cui Latina Tu aveva raccontato stigmatizzando l’evidenza che venissero omessi i nomi a cui erano indirizzati i provvedimenti, salvo scriverli e subire almeno in un caso una richiesta di risarcimento danni. Respinta al mittente, tanto per la cronaca. Ma andiamo con ordine.

Il 9 luglio 2019 l’incendio nella discarica abusiva nella località itrana di Calabretto “in cui – scrive oggi la Provincia – sono risultati abbandonati notevoli quantità di rifiuti pericoli provenienti da attività edile (eternit, plastiche, calcinacci, lastre ondulate ecc.)“.

L’anno dopo, il 7 luglio 2020, la Prefettura di Latina rappresenta che il “Comune di Itri forniva elementi informativi atti a stabilire che non vi fossero inquinanti nell’atmosfera, come accertato da analisi effettuata da ARPALazio, mentre le analisi del terreno, effettuate dalla ditta EcoAmbiente SRL, rilevavano la presenza di “terre e rocce contenenti sostanze pericolose”.

Nella stessa nota informativa, la Prefettura dichiara che il sito di Calabretto è sottoposto a sequestro da parte della Procura di Cassino e che il Comune di Itri ha richiesto “ogni forma di sostegno per la bonifica del suolo e la rimozione dei rifiuti”.

In seguito, la Provincia, ricevuta la nota della Prefettura, dichiara di non essere competente in materia ma, poi, il 18 settembre 2020, riceve un’altra nota dal Comune di Itri avente ad oggetto: “Discarica Calabretto – comunicazione di potenziale contaminazione”. Secondo un allegato di tale nota si accerta che “i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione“. Tradotto: Calabretto è inquinata.

A ottobre 2020, vista la situazione, il Ministero dell’Ambiente chiede di essere informato “sui possibili profili di danno ambientale e di trasmettere elementi di dettaglio e ogni utile informazione in merito alle iniziative intraprese, da ciascun Ente competente, a tutela dell’ambiente e della salute pubblica“.

Già a settembre 2020, la Provincia di Latina aveva chiesto al Comune di Itri di individuare/accertare e comunicare, con sollecitudine, l’identità dei soggetti responsabili della contaminazione e dei soggetti proprietari del sito oggetto della contaminazione.

A ottobre 2020, il Comune di Itri comunica che non è stato ancora possibile accertare i soggetti responsabili della contaminazione e che è in essere un procedimento penale presso la Procura della Repubblica di Cassino. Inoltre, l’ente itrano ricorda di aver emesso due ordinanze, quelle sunnominate e datate 17 e 18 luglio 2019 in cui venivano omissati i nomi dei responsabili, ma che Latina Tu con una semplice visura all’Agenzia delle Entrate aveva individuato.

In seguito, il 30 ottobre 2020 la Provincia chiede alla Polizia Provinciale di
svolgere attività di indagine e sopralluogo finalizzata allo svolgimento delle attività istruttorie utili all’individuazione del responsabile dell’inquinamento. Solo che, come rimarca la Polizia Provinciale, più di un mese dopo, esattamente il 13 novembre 2020, non è stato possibile effettuare alcuna ricognizione poiché i terreni sono sequestrati dalla Procura di Cassino. Nulla di fatto? Non proprio perché, nella nota inviata dalla Polizia Provinciale, che aveva sentito anche il Comandante della Polizia Locale, viene stabilito che “nell’area sono stati effettuati una serie di interventi tesi alla refertazione analitica delle matrici inquinanti di aria, acqua e suolo da parte degli Enti incaricati che, per ridurre le c.d. fumarole, hanno parzialmente alterato lo stato dei luoghi“. Un’alterazione parziale dello stato dei luoghi che, considerando il sequestro dell’area che non ha permesso una ricognizione completa, potrebbe significare una zona totalmente compromessa.

Nonostante ben tre solleciti alla Procura di Cassino per conoscere lo stato dell’arte, la Provincia finalmente arriva alla conclusione, piuttosto ovvia, di fare una visura delle particelle di Calabretto interessate dall’incendio con cui finalmente appura (ma le sarebbe bastato leggere Latina Tu nell’articolo succitato datato luglio 2019) chi sono i proprietari.

Proprietari che, una volta ricevuta la nota della Provincia ad aprile 2021 con cui si comunica l’avvio del procedimento amministrativo di identificazione del soggetto responsabile della contaminazione, rispondono, lo scorso maggio, all’ente di Via Costa con “memorie e copie di atti relative ai fatti che potrebbero aver generato lo stato di potenziale contaminazione del terreno”.

Alla fine della corsa, e siamo arrivati a giugno 2021, la Provincia mestamente dichiara che sono trascorsi i termini di conclusione del procedimento amministrativo di identificazione del soggetto responsabile della contaminazione e “che gli Enti e i soggetti interessati non hanno prodotto documentazioni e /o informazioni utili alla identificazione del soggetto responsabile della contaminazione“. Dunque “l’odierna impossibilità di individuare i soggetti responsabili della contaminazione“.

E allora, al netto di sperabili risultanze da parte delle forze inquirenti di Cassino sui responsabili dello scempio di Calabretto, la Provincia non può che ribadire quanto ordinò invano e timidamente il Comune itrano (tramite le ordinanze dell’allora Vice-Sindaco Andrea Di Biase), ossia che sono i proprietari del sito a dover porre in essere adeguate misure di prevenzione e di messa in sicurezza d’emergenza“. E se non dovessero farlo, dovrebbe essere la pubblica amministrazione competente a mettere in sicurezza l’area agendo successivamente in rivalsa verso il proprietario.

Succederà qualcosa? Difficile.

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