Processo “Stelvio”: Cassazione conferma le condanne che l’Appello aveva ridotto per il pontino Ernesto Pantusa e un’altra imputata
La seconda sezione penale della Cassazione ha respinto i ricorsi del 46enne Ernesto Pantusa, di Latina, e della 53enne Debora Fuorucci, di Sermoneta, dichiarandoli inamissibili. Gli ermellini hanno condannato i due ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di 3mila euro in favore della cassa delle ammende, oltreché, in solido, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile: 3.510 euro oltre accessori di legge.
Il 3 giugno 2021, la Corte d’Appello aveva ridotto per il latinense Ernesto Pantusa la pena a 3 anni e 4 mesi di reclusione, mentre per la sermonetana Debora Fiorucci a 1 anno e 6 mesi. Nello stesso processo erano stati condannati anche i romani Fabrizio Fava e Salvatore Carleo rispettivamente a 1 anno e 4 mesi e a 2 anni (pena confermata con patteggiamento concesso).
Già in primo grado il quadro dell’accusa era stato fortemente ridimensionato per un’inchiesta che all’inizio contestava l’estorsione con metodo mafioso poi derubricata ad esercizio abusivo delle proprie ragioni.
Il 15 luglio 2020, a Roma, di fronte al giudice dell’udienza preliminare Paola Della Monica, il pm pontino dell’inchiesta denominata Stelvio (dall’auto Alfa Romeo con cui l’imputato Pantusa avrebbe sequestrato l’avvocato originario di Santa Maria Capua Vetere) Antonio Sgarrella aveva svolto la sua requisitoria contestando il sequestro di persona a scopo di estorsione con metodo mafioso nei confronti dei quattro imputati.
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Pochi mesi prima, a febbraio 2020, Il Tribunale della Libertà di Roma, pur confermando il carcere per Ernesto Pantusa, escluse l’ipotesi formulata da Procura di Roma e Latina coordinate dalla DDA capitolina: secondo i giudici del Riesame non c’era l’aggravante mafiosa derivante dal fatto che i quattro avevano sventolato in faccia all’avvocato casertano la foto di un camorrista, tal “Pesce”, minacciando che se non avesse restituito il denaro lo avrebbero portato dinanzi a lui.
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Ed è proprio da questa restituzione di denaro che il giudice dell’udienza preliminare di Roma Della Monica, giudicando col rito abbreviato scelto dai quattro imputato, aveva derubricato il reato per Ernesto Pantusa, 44 anni di Latina, per cui il pm aveva chiesto 20 anni con l’aggravante mafiosa, da sequestro a scopo di estorsione ad esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Il pontino era stato condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione per sequestro e la rapina di una borsa e un assegno non intestato sottratto all’avvocato di Santa Maria Capua Vetere il quale, il pomeriggio del 25 giugno 2019, presso il Comando Stazione Carabinieri di Latina, aveva denunciato di essere stato sequestrato dal medesimo Pantusa e i suoi complici, per poi essere condotto in un capannone di Borgo Santa Maria e lì picchiato.
In primo grado, così come in Corte d’Appello, era passata la linea che i quattro avevano chiesto all’avvocato 69enne di Santa Maria Capua Vetere soldi che, a detta loro, dovevano tornare indietro poiché – questa è stata la tesi della difesa – il legale non si era presentato in alcune cause che vedevano coinvolti gli imputati, non svolgendo al meglio la sua professione. Il fatto che il legale sia stato picchiato e recluso in un capannone non può costituire un’estorsione né tanto meno col metodo mafioso. Questo è quanto deciso in due gradi di giudizio a fronte delle richieste dell’accusa.
Ora la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello.