AUTORITÀ PORTUALE: REINTEGRATO IL DIRIGENTE LICENZIATO

Pino Musolino
Pino Musolino

Autorità portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale: uno dei quattro dirigenti licenziati l’anno scorso è stato reintegrato

Il Tribunale di Civitavecchia ha disposto il reintegro dell’ex dirigente Autorità Portuale del Mar Tirenno Centro Settentrionale (che controlla anche il porto di Gaeta) Malcolm Morini. L’Autorità portuale è stata condannata a reintegrare Morini nel posto di lavoro e a corrispondere la retribuzione, con tanto di contributi, sin dall’aprile 2023, ossia da quando il dirigente fu licenziato in seguito alla decisione del Presidente Pino Musolino.

Ad aprile 203, infatti, il Presidente Musolino e l’autorità, all’esito delle valutazioni comparative relative all’assegnazione degli incarichi di direttore di area e di quelle relative all’assegnazione degli incarichi di responsabile di ufficio, avevano proceduto al licenziamento di Lucio Pavone, Calogero Burgio, Malcom Morini e Massimo Scolamacchia.

Pavone, peraltro, era sotto indagine nell’ambito di una inchiesta condotta dal sostituto procuratore della Procura di Santa Maria Capua Vetere, Gerardina Cozzolino, che ha messo la lente su un caso di corruzione che coinvolge, oltreché all’ormai ex dirigente dell’autorità Lucio Pavone (candidato alle elezioni regionali 2018 con la lista civica di Zingaretti), Guido Guinderi, funzionario dell’ufficio lavoro portuale ed autorizzazioni e Raffaele Trapanese, titolare della Star Center Italia con sede legale a Castel Volturno (Caserta).

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Un atto dovuto – così l’aveva giustificato – quello della sforbiciata da parte di Musolino in ragione dei rilievi della Corte dei Conti forte anche di ispezioni ministeriali che avevano messo in luce la sovrabbondanza dell’organismo dell’Authority.

In realtà il giudice del lavoro del Tribunale di Civitavecchia, Irene Abrusci, non solo ha reintegrato Morini, ma ha posto in rilievo, nella sua sentenza, che “oltre a non essere conforme a buona fede, e quindi ad aver dato luogo ad un licenziamento privo di giustificatezza, il disegno datoriale che emerge dalla ricostruzione degli eventi conduce a ravvisare una ipotesi di recesso radicalmente nullo, in quanto intimato in frode alla legge. Il trasferimento del lavoratore ad altra posizione lavorativa creata in quel momento e poco dopo soppressa, in assenza di reali e dimostrate esigenze datoriali al temporaneo utilizzo di un profilo dirigenziale “a disposizione, nell’ambito della Segreteria Tecnico Operativa, a diretto riporto del Segretario Generale”, non può che ritenersi preordinato a conseguire un risultato vietato dalla legge, ovvero ad individuare il dirigente destinatario del licenziamento non sulla base di criteri oggettivi e conformi a buona fede bensì in modo arbitrario”.

Sulla pronuncia del Tribunale del Lavoro, Musolino annuncia un ricorso, non senza polemizzare: “C’è in ogni caso da rilevare una serie di aspetti: il primo è che la notizia era già in mano agli organi di stampa prima ancora che la sentenza fosse notificata all’ente e senza nemmeno chiedere un eventuale commento. Non vorrei che fosse iniziato il periodo degli esami ai presidenti senza possibilità di contraddittorio. Il secondo aspetto, più tecnico, impone di rilevare come il giudice, ribadendo la piena effettività della riorganizzazione posta in essere dall’Adsp, e degli atti collegati e conseguenti, che come noto non sono stati in alcun modo modificati o rettificati dal competente organo giursdizionale, abbia dichiarato nullo il licenziamento del dirigente Malcolm Morini perché “non conforme a buona fede”, basandosi essenzialmente sulla testimonianza in udienza resa dal Segretario Generale Paolo Risso, che va incredibilmente sottolineato come, nonostante egli fosse al tempo stesso il responsabile unico della procedura della riorganizzazione, del trasferimento del dirigente ad altra mansione di lavoro, sempre come emerge dal testo della sentenza, il dipendente fosse stato dallo stesso Risso posto alle sue dirette dipendenze senza avere ricevuto incarichi di sorta e quindi di aver portato al licenziamento per la “superfluità della posizione di lavoro” ricoperta dal dirigente dopo il suo trasferimento.

In sintesi durante la testimonianza che avrebbe dovuto essere resa a tutela dell’Ente, il dott. Risso ha dichiarato che il suo operato sia stato essenzialmente errato e tale dichiarazione ha portato, direi quasi inevitabilmente, ad una sentenza sfavorevole. 

Preme ulteriormente sottolineare che di questa testimonianza e del contenuto della stessa io sia venuto a conoscenza solo oggi dal testo della sentenza.

A tutela dell’ente e dell’operato complessivo dell’amministrazione ho già incaricato il legale che rappresentava l’Adsp di ricorrere in appello valutando la possibilità di richiedere la sospensione degli effetti della sentenza del giudice del lavoro di primo grado.

Un punto più generale sento di dover portare alla luce a seguito di questo episodio ed è relativo ad una necessità ormai di chiarimento normativo che definisca una volta per tutte il rapporto tra Presidente e Segretario Generale, una situazione di oggettiva difficoltà che condivido con molti colleghi. Non è pensabile che tutte le responsabilità e tutte le relazioni esterne siano gestite ed imputate in capo ai presidenti mentre le figure dei segretari generali possano, in alcuni casi, svolgere un ruolo di destabilizzazione dietro le quinte che mette a repentaglio la piena operatività amministrativa dell’Ente portuale”.

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