Questa mattina la Squadra Mobile di Latina ha dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 28 gennaio 2020 dal Gip del Tribunale di Roma, Antonella Minunni, su richiesta della Direzione Distrettuale di Roma avanzata il 9 ottobre 2019, nei confronti di Armando Di Silvio, detto Lallà, i figli Gianluca Di Silvio e Samuele Di Silvio, gli imprenditori Umberto Pagliaroli e Gina Cetrone, indagati a vario titolo per estorsione, atti di illecita concorrenza e violenza privata, reati aggravati dal metodo mafioso.
Le indagini in questione (l’operazione è stata denominata “Scheggia”) costituiscono l’esito di un ulteriore approfondimento investigativo che la Squadra Mobile sta conducendo, sotto la direzione ed il coordinamento della Direzione distrettuale Antimafia di Roma, circa le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Leggi cliccando i loro nomi le dichiarazioni di Renato Pugliese e Agostino Riccardo.
In particolare, la Polizia ha ricostruito che nell’aprile del 2016, Gina Cetrone (condotta oggi presso il carcere di Rebibbia) e l’ex marito Umberto Pagliaroli, quali creditori nei confronti di un imprenditore di origini abruzzesi, in relazione a pregresse forniture di vetro effettuate dalla società Vetritalia srl, società a loro riconducibile, richiedevano l’intervento di Samuele Di Silvio, Gianluca Di Silvio (definiti nell’ordinanza “pericolosi, scaltri, spregiudicati e senza scrupoli”) e Agostino Riccardo (oggi collaboratore di giustizia) per la riscossione del credito in questione, previa autorizzazione di Armando Di Silvio detto “Lallà”, capo dell’associazione di stampo mafioso a lui riconducibile. Secondo l’ordinanza odierna, Lallà “si conferma, infatti, capo e promotore dell’associazione e ha una caratura criminale davvero eccezionale. È lui che risolve le questioni sorte all’interno della consorteria, che decide la ripartizione dei profitti illeciti, anche nelle estorsioni in esame. Rappresenta il punto di riferimento per tutti, colui che dice la prima ed ultima parola su ogni questione così come nei patti che l’organizzazione criminale stipula con esponenti politici“.
Nello specifico, Gina Cetrone, ex consigliere regionale dal 2010 al 2012, nonché candidata a sindaco alle amministrative 2016 a Terracina e, da poco, nella compagine politica di “Cambiamo con Toti!”, con Umberto Pagliaroli, dopo avere convocato un imprenditore pescarese presso la loro abitazione, gli richiedevano il pagamento immediato della somma dovuta, impedendogli di andare via a bordo della sua macchina. In tale contesto, Cetrone e Pagliaroli lo costringevano ad attendere Riccardo, e i due fratelli Di Silvio, i quali, una volta giunti, lo minacciavano, prospettando implicitamente conseguenze e ritorsioni violente nei confronti della sua persona o dei suoi beni. In tal modo, gli stessi costringevano l’imprenditore a recarsi il giorno dopo in Banca, sotto la stretta sorveglianza dei quattro – Riccardo, i due Di Silvio e Pagliaroli – che lo attendevano fuori dall’istituto bancario, e ad effettuare un bonifico di 15.000 euro a favore della società Vetritalia srl, nonché a consegnare a loro “per il disturbo“ la somma di 600 euro.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbe stata Gina Cetrone a chiamare Agostino Riccardo (circostanza confermata da quest’ultimo) e a chiedergli di andare a casa dell’imprenditore di Pescara che le doveva 60mila euro per una fornitura di vetro. “Disse che stava per arrivare questo imprenditore – ha raccontato Riccardo agli inquirenti – a casa loro e noi dovevamo essere presenti all’incontro per mettergli paura e minacciarlo“. Per il disturbo Riccardo e i Di Silvio si fecero consegnare 1200 euro dall’imprenditore e 1000 dalla Cetrone che avrebbe detto poi che li avrebbe ricompensati meglio con gli “accordi elettorali”.
L’imprenditore abruzzese ha dichiarato agli investigatori che al suo rifiuto di emettere degli assegni lo stesso giorno che era stato chiamato, Gina Cetrone si adirò moltissimo, iniziando a strillare e a dire che avrebbe fatto intervenire “gli zingari”.
Lo scenario, inoltre, è pieno di altri particolari: un’auto sarebbe stata parcheggiata dietro quella dell’imprenditore, impedendogli di allontanarsi. Un ostacolo che serviva a far arrivare Agostino Riccardo e i due rampolli di casa Di Silvio, alla fine effettivamente giunti sul luogo. Talché l’imprenditore, ormai terrorizzato, chiamò il socio in affari dicendogli di chiamarlo ogni 5 minuti e che se non avesse risposto di avvisare al Polizia. Il giorno successivo alle minacce ricevute dai Di Silvio, l’imprenditore prelevò 15mila euro in banca e li consegnò a Riccardo, pagando anche i tre “per il disturbo”, nonostante che questo lo avrebbe portato sul lastrico e al dissesto della sua società. “Non ho fatto denuncia – ha spiegato l’imprenditore abbruzzese – perché ho ritenuto che il gravissimo atto intimidatorio nei miei confronti fosse un gesto di estrema disperazione da parte di Gina Cetrone”, a sua volta, da quanto ha raccontato il medesimo imprenditore, minacciata dai Di Silvio.
Per quanto riguarda un’altra estorsione contestata dalla magistratura, Umberto Pagliaroli avrebbe usato Riccardo per minacciare un ulteriore imprenditore che lavorava nel settore del vetro e che si era messo in proprio, e a causa di questo non si sarebbe dovuto “allargare”. “Dovevo stare calmo sul mercato – ha dichiarato l’imprenditore riportando agli inquirenti le minacce ricevute da Riccardo – dicendo che dovevo vendere il vetro senza però strafare”. E poi prima di essere costretto a pagare Riccardo: “Mi hanno intimorito, anche perché mi dissero che appartenevano a un clan. Intimorito e umiliato quel pomeriggio vagai in macchina”.
REATI ELETTORALI – Nel medesimo contesto investigativo, era possibile riscontrare alcuni illeciti connessi a competizioni elettorali nella provincia di Latina.
In dettaglio, Riccardo e Pugliese, proprio su determinazione di Cetrone e Pagliaroli, costringevano alcuni addetti al servizio di affissione dei manifesti elettorali di altri candidati alle elezioni comunali di Terracina del giugno 2016, ad omettere la copertura dei manifesti della candidata Gina Cetrone, costringendoli ad affiggere i propri manifesti solo in spazi e luoghi determinati, in modo che i manifesti di quest’ultima fossero più visibili degli altri.
Per il gip Minunni ciò avvenne in cambio di un contributo di 25mila euro. Il giudice fa riferimento a un episodio di violenza ai danni di Gianluca D’Amico (figlio dell’ex assessore all’Agricoltura di Terracina Gianni D’Amico, anche lui candidato sindaco in quell’elezione comunale del 2016) e Matteo Lombardi (in seguito deceduto in circostanze non del tutto chiarite presso una comunità di recupero a Belluno nel dicembre 2018), addetti al servizio di affissione dei manifesti elettorali degli altri candidati, costretti a fare in modo che i manifesti della donna fossero evidenziati rispetto agli altri. L’accordo stretto con i Di Silvio prevedeva l’affissione “anche abusiva” dei manifesti elettorali della Cetrone a “scapito degli altri candidati”. “Non coprite Gina Cetrone altrimenti succede un casino… fatevi il vostro lavoro e noi ci facciamo il nostro”, la minaccia che Agostino Riccardo fece ai due addetti.
Riccardo, sentito dagli inquirenti nel luglio del 2018, ha raccontato, tra le altre cose, che “Cetrone si era lamentata perché la sua visualizzazione non era buona, non si vedeva abbastanza bene nei manifesti di Terracina”.
Il gip Minunni definisce Cetrone e Pagliaroli come “soggetti scaltri e pericolosi che non hanno avuto alcuno scrupolo nel ricorrere in diverse occasioni ai Di Silvio per inibire e condizionare l’attività imprenditoriale di un concorrente e per interferire sull’andamento della campagna elettorale”. A tal proposito, nell’ordinanza, viene riportato un verbale rilasciato, lo scorso 6 settembre 2019, da Gianluca D’Amico (dal principio indagato per “illeciti elettorali” anche lui, come Matteo Lombardi, nell’inchiesta Alba Pontina e destinatario, nel giugno 2018, dell’ordinanza di custodia cautelare), addetto alle affissioni dei manifesti elettorali dei candidati avversari di Gina Cetrone. Dichiarazioni piuttosto significative: “Era di dominio pubblico come la campagna elettorale di Cetrone era sostenuta dagli zingari e che alle spalle vi era almeno come rappresentante Agostino Riccardo, persona che non conoscevo“.
E poi, sempre riferendosi alla campagna elettorale 2016 a Terracina, l’addetto all’attacchinaggio D’Amico sostiene, ricordando un fatto specifico avvenuto nel giugno 2016: “Quel pomeriggio mi rivolsi proprio a Riccardo chiedendogli il motivo per cui erano stati strappati i manifesti elettorali di mio padre e sostituiti con quelli di Gina Cetrone. Lui mi rispose con arroganza e prepotenza che loro erano gli zingari di Latina e per questo dovevamo lasciarli stare: gli animi si erano accesi, anche ad alta voce e Riccardo ribadì davanti a tutti che comandavano loro e allora voltai le spalle e me ne andai. In quella campagna elettorale sia in periferia che in centro a Terracina capitava spesso di trovare strappati per terra manifesti elettorali di altri candidati sindaci concorrenti a Gina Cetrone e che i manifesti di quest’ultima li coprivano sistematicamente“.
Agli atti dell’inchiesta odierna, inoltre, ci sono alcuni sms di Cetrone e dell’ex marito Pagliaroli, preoccupati del problema legato alle affissioni di D’Amico. Il 29 maggio 2016, dall’utenza in uso a Umberto Pagliaroli parte un messaggio indirizzato ad Agostino Riccardo: “Buongiorno, me so’ rotto il c…o de sto D’Amico, sta attaccando tutto lui su Gina e cartelloni assegnati a noi. Non voglio più accordi, quindi fai il lavoro che sai fare. Ricordati che ci sono le regionali“.
Uno spaccato, peraltro, ampiamente già raccontato a verbale da Agostino Riccardo alla DDA romana il 6 luglio 2018: “L’unico modo per capire chi attaccava i manifesti di Corradini e quelli di Procaccini a Terracina, che coprivano quelli della Cetrone, è stato rintracciare Genny Marano tramite tale Ciccio“. Genny Marano, pregiudicato e legato al clan Licciardi di Secondigliano, che, in effetti, fu contattato tanto è che le due fazioni di attacchini trovarono un accordo. “Genny Marano me lo presentò Angelo Travali – ha raccontato a verbale Riccardo – nel 2014. Travali aveva a che fare con loro a livello di droga e Genny Marano diede un contatto a Travali di una persona di Fondi, proprietario del Conad di Sabotino, per la vendita della droga”. Ad ogni modo, alla fine, l’accordo fu ultimato: D’Amico ottenne che i manifesti del padre, affissi fuori l’area del centro, non venissero più toccati, mentre a Matteo Lombardi, che si occupava dell’affissione dei manifesti per Nicola Procaccini, gli fu detto, come ha raccontato Riccardo: “che sulla via principale dovevamo attaccare solo i manifesti della Cetrone, in altre zone potevano attaccare i loro…Ci siamo quindi intesi e in qualche caso abbiamo anche attaccato i suoi manifesti tra cui quelli di Procaccini e Zicchieri (ndr: deputato leghista di Terracina in quota Lega), però non nella zona centrale della città, dove potevano stare solo i manifesti della Cetrone”.
Da segnalare che il partito fondato da Giovanni Toti, dopo la notizia dell’arresto di Gina Cetrone, ha comunicato che l’imprenditrice di Sonnino non aveva nessun ruolo nazionale o regionale e che loro non erano a conoscenza di nessun fatto attributo quest’oggi alla sua persona. Una nota, quella di Cambiamo con Toti, che lascia perplessi per due motivi.
Cetrone, come raccontato da Latina Tu, a novembre scorso organizzò a Latina un convegno di presentazione, presso l’Hotel Europa, per il partito di Toti alla presenza di due pesi massimi dello stesso: l’ex consigliere regionale Mario Abbruzzese e l’attuale consigliere alla Pisana Adriano Palozzi.
Da ultimo, i fatti per cui oggi Gina Cetrone è stata arrestata erano noti da più di un anno e mezzo, ossia dal quel giugno 2018 quando sempre il giudice delle indagini preliminari che ha firmato il provvedimento odierno, Antonella Minunni, dispose il provvedimento di custodia cautelare per Lallà e soci in cui venivano descritti scenari piuttosto gravi (con tanto di intercettazioni a corredo), se non altro sul piano politico. Particolari di quegli scenari, inoltre, furono confermati dai verbali resi alla magistratura dai due pentiti Pugliese e Riccardo e da altri articoli di stampa.