ANNI 2000, CAMORRA NEL SUD PONTINO: INDAGINE CONCLUSA PER I CLAN ANTINOZZI E MENDICO

Anni 2000, l’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia tra Santi Cosma e Damiano e Castelforte si conclude. Tra meno di un mese i probabili rinvii a giudizio

Gli arresti sono scattati a gennaio scorso e ad essere coinvolti gli appartenenti ai due nuclei o clan Antinozzi e Mendico, un tempo sodalizio affiatato, ora scisso e con affari ben distinti tra loro. Sebbene permanga un tacito rispetto.

L’organizzazione originariamente detta “Mendico-Riccardi-Antinozzi” si muove da anni tra le province di Latina, Frosinone e Caserta, sebbene la loro “casa” sia nei piccoli comuni del territorio aurunco come Santi Cosma e Damiano e Castelforte. I due comuni più al sud della provincia di Latina. La sentenza “Anni 90” – inchiesta e poi processo progenitrici di Anni 2000 – fu ragguardevole ma i due sodalizi famigliari facenti capo a Ettore Mendico, detto “Bertoldo”, e Antonio Antinozzi, detto Trippetta, hanno continuato a gestire i traffici, il territorio e l’omertà pervasiva.

A distanza di anni da quella sentenza passata in giudicato nel 2012, di nuovo le accuse che vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso all’associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, dalla detenzione illegale di armi comuni da sparo all’estorsione, passando per rapine e incendi. Delitti aggravati dal metodo mafioso.

Giuridicamente ci sono dei distinguo. È contestata dal sostituto procuratore della DDA capitolina Corrado Fasanelli (che fa parte del pool antimafia che si occupa della provincia pontina) l’associazione mafiosa a “Bertoldo” Antinozzi, già condannato per l’omicidio del meccanico Andrea Di Marco avvenuto nel lontano 1997, e ai suoi affiliati: Agostino Di Franco, Antonio Reale, Vincenzo De Martino, Marika Messore e il figlio Decoroso Antinozzi.

Anche qui, come ad esempio in altri processi che si svolgono per fatti commessi tra Latina e Terracina, c’è il tema dei manifesti elettorali di cui si occupava il clan per le elezioni comunali di Minturno nell’anno 2016. In particolare è Marika Messore ad essere accusata di aver imposto l’inflenza del Clan sul mercato delle affissioni: ““…è successo un bordello – diceva Messore captata dalle cimici degli investigatori – sono venuti al bar a chiamarmi che certa gente aveva stracciato i manifesti…certi guaglioni…appena se ne sono andati dal bar so’ partita e sono andata a Minturno…ho acchiappato tutti quanti….zio Antonio…Antonio è il capoclan…io sono Marica Messore e non rispondete! Qualsiasi cosa deve passare per là. Punto“.

L’associazione mafiosa avrebbe praticato peraltro diverse estorsioni ai danni di ditte locali e atti d’intimidazioni. Un clima di vero e proprio assoggettamento del territorio e di omertà diffusa, con collegamenti e interlocuzioni con clan campani.

Oltre a ciò, vengono contestate ben due associazioni per delinquere dedite allo spaccio di sostanze stupefacenti. L’una facente capo sempre ad Antinozzi e i suoi affiliati: il figlio Decoroso, Vincenzo De Martino, Agostino Di Franco, Adolfo Pandolfo, Marika Messore e Antonio Reale.

L’altra, invece, gestita da Ettore Mendico, l’uomo che alla fine degli anni novanta avrebbe voluto prendersi il mercato delle estorsioni nel capoluogo pontino (fu respinto dal Clan Ciarelli), e dai suoi sodali: Maurizio e Pierluigi Mendico, Ciro Bonifacio, Fabio Buonamano i due “cileni” Eduardo e Francisco Parente.

Indagine conclusa anche per gli altri indagati Armando Puotì, Gianluigi Mendico, Sergio Canzolino, Ciro Casaburi, Salvatore Di Franco, Giancarlo Di Meo, Alessandro Forcina, Luigi Parente, Giuseppe Sola, Carla Tomao e Marco Viccaro.

Gli indagati, ora, avranno venti di giorni di tempo per presentare memorie alla Procura o chiedere di farsi interrogare, prima che il Pm proceda per le richieste di rinvio a giudizio.

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