In molti testi latini ricorre il riferimento ad una mitica città dal nome di Amyclae che alcuni sostengono sorgesse in un luogo non meglio specificato tra Terracina e Fondi, passando per Sperlonga. Nessuno sa con precisione dove si collocasse questa fantomatica città, più citata che raccontata, poiché tutti gli scritti che le danno una parvenza di realtà parlano di una città in pianura e, almeno per quello che è visibile, ad oggi, non ve n’è traccia.
AMYCLAE: CHI DICE DI AVERLA TROVATA
Nel febbraio 2007, però, viene rilanciato da una rivista tematica lo studio pubblicato l’anno precedente da due ricercatori universitari, Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli, Università di Bologna lui e Università di Napoli lei, per cui sono stati analizzati sul campo i resti di una città fortificata pre-romana che sorge alle spalle di Fondi, la Fundi romana fondata in seguito sulla pianura, la cui radice etimologica sgancia questa città da qualsiasi ipotesi di gemellaggio con quella che sorgeva poco più in alto. Nello studio, il collegamento tra la città fortificata e Amyclae viene timidamente azzardato, se non fosse che la parola Amyclae fu inserita con nonchalace proprio nel titolo ufficiale della ricerca cosa che ovviamente aprì la porta al rilancio nazionale della notizia.
Le mura rintracciate sorgono sul Monte Pianara, un’altura di natura calcarea che raggiunge i 300 m di altezza e viene descritta dai due studiosi come “perlopiù brulla e fortemente dirupata”, con pendici inclinate tra i 25° e i 30°. I due ricercatori hanno svolto un’accurata ispezione del sito di Pianara, documentando passo passo tutti i versanti di quella che risulta essere una fortificazione in opera poligonale all’interno della quale probabilmente sorgeva un abitato le cui origini e storia rimangono a noi sconosciute.
La fortificazione, ai fini dello studio, è stata suddivisa in 46 segmenti di osservazione in modo tale da attuare una meticolosa opera ricognitiva. Sono stati ritrovati e repertati frammenti di tegole, anfore, doli, stoviglie, e questi frammenti di vasellame recuperato hanno permesso di datarne la fattura (V-IV secolo a.C.) grazie al riscontro con altri reperti dalla forma simile caratterizzati in altre zone d’Italia. In quest’area, proprio i due Quilici, ammettono che è difficile riuscire ad azzardare ipotesi oggettive sulla presenza romana e preromana a causa della scarsa attività di ricognizione archeologica.
Citata nello studio anche la fiorente l’attività agricola attuale, molto prolifica nel fondano, la quale è “più imprenditoriale e devastante, in quanto preparata con mezzi meccanici che aprono nuove piste e spianano rilievi, conferendo una nuova forma, anche catastale, ai luoghi”. Infatti, sulla collina limitrofa a quella di Pianara, i due ricercatori scrivono che non è più stato possibile “riconoscere alcun resto, mentre i vecchi rilevamenti aerei vi documentarono non poche strutture [antiche, n.d.r.]”.
A conclusione della propria ricerca, Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli aggiungono che “[…] sul monte Pianara abbiamo riconosciuto una grande città, che si impone in quell’epoca, seppure ancora non in fase più antica, alta a dominio della grande pianura, sui passi e sui vastissimi laghi aperti sul mare. Forse la città sul monte Pianara potrebbe essere identificata proprio con Amyclae, divenuta leggendaria con il suo abbandono al tempo dello sviluppo della città romana di Fondi”. Questa propensione ad affidare alla probabilità i fondamenti dell’annuncio a livello nazionale della scoperta di Amyclae, confligge con non poco stridore con l’atteggiamento opportunamente scientifico adottato durante la ricognizione sul sito di Pianara.
Lo studio, comunque, rimane un ottimo lavoro sulla scorta di una città che, se non Amyclae, potrebbe essere studiata come la città dalle mura poligonali dei Monti Ausoni.
AMYCLAE NEL SUD PONTINO: POCHI GLI ELEMENTI OGGETTIVI
I Quilici, oltre al loro studio condotto sul campo, hanno citato una serie di fonti letterarie latine a sostegno della tesi per cui la cittadella fortificata sul monte Pianara a Fondi potrebbe corrispondere alla mitica città di Amyclae. Vero è, che ci sono altre citazioni latine che collocano la mitica città anche vicino Sperlonga, altre in pianura, altre vicino Terracina, insomma la ricerca sul fronte letterario deve essere molto cauta vista l’aleatorietà delle informazioni geografiche che vecchi testi riportano su Amyclae.
Su tutte le fonti classiche che tirano in ballo Amyclae, o Amunclae o Amynclae, interviene anche Massimiliano Di Fazio dell’Università di Pavia che contestualizza in maniera analiticamente molto puntuale i testi citati anche dai due ricercatori delle Università di Bologna e Napoli. In “Nel paese dei serpenti – Memorie greche nel Lazio meridionale costiero”, Di Fazio con precisione letteraria dimostra che le citazioni relative ad Amyclae possono essere interpretate nel senso inteso dai Quilici ma anche in altri. In questo passo della ricerca di Di Fazio vengono chiarite molte delle zone grigie della verifica delle fonti letterarie: “Per quanto riguarda le fonti, Plinio per la sua opera attingeva, oltre che da Varrone, anche dai paradossografi, incluso Isigono, esplicitamente citato. Ad ogni modo, la carrellata pliniana è la prima conferma che dopo Virgilio il riferimento ad Amyclae è diventato topos geografico”, tenendo presente che i paradossografi erano coloro che, lontani dall’etica propria degli stoici, raccontavano dei mirabilia più per stupire che per informare, atteggiamento che talvolta metteva in secondo piano dettagli utili alla verifica delle fonti stesse. Così, i paradossografi Varrone, Isigono, Lucilio sono stati sicuramente fonti consultate sia da Plinio il Vecchio che da Virgilio e non è tuttavia scalzata l’ipotesi che, in origine, i primi si riferissero alla greca Amyclae fondata dagli Achei, che sorgeva a poco più di due miglia dalla dorica Sparta.
“Venti stadi a sud di Sparta c’era la città di Amyclae, situata nel mezzo di una pianura molto fertile e ricca di ulivi, e di tutte le varietà di alberi da frutto che crescevano in Grecia. […] Fino a Sparta la valle è stretta, e a questo punto le montagne su entrambi i lati costringono molto il corso del fiume: allontanandosi da questo punto le montagne si allontanano sempre più dalle sponde del torrente, e vediamo allungare verso il mare i celebri campi di Amyclae. Questa valle era un tempo un lago o una palude, che si diceva fosse stata prosciugata da Eurotas, dal quale fiume ha ereditato il suo nome” [Lectures on the geography of the ancient Greece: with some notice of the history of the individual States – Gessner Harrison, Professor of Ancient Languages in the University of Virginia. Volume pubblicato nel 1834], panorama che indica una stupefacente similarità con i luoghi in cui trova collocazione teorica l’Amyclae pontina.
Di Fazio, mutuando una definizione dello storico Massimo Pallottino, definisce l’area del fondano la “zona di silenzio” riferendosi alla mancanza di reperti storici che possano meglio descriverne la storia passata. Perciò, fino a prova contraria, i vari tentativi di interpretazione delle testimonianze della letteratura classica, vista anche la frammentarietà e relativa scarsità delle fonti, possono essere considerate tutte piste valide fino a prova contraria, compresa la tesi letteraria dei Quilici, rimanendo però le ricostruzioni letterarie di Di Fazio molto meglio contestualizzate sul piano dell’analisi complessiva dei testi.
PERCHÉ È IMPORTANTE CONTINUARE A FARE RICERCA
Altri due riferimenti ricorrenti nella storia di Amyclae sono i temi del “silenzio” e dei “serpenti”: “Mihi necesse est loqui, nam scio Amiclas tacendo perisse” riporta Servio Mario Onorato, grammatico latino la cui attività risale al IV-V secolo d.C.; o, come scrisse Plinio il Vecchio in Naturalis Historia “Amyclae, a serpentibus deletae”. Alla luce di quanto scriveva Polibio nelle “Storie” (libro XXII, capitolo IV), raccontando della dominazione romana a Sparta (molto vicina all’Amyclae greca), “il potere della città era stato ridimensionato a causa dell’espulsione forzata della popolazione, e che poi, nello stato lasciato a coloro che rimasero, non vi era né sicurezza né libertà di parola, nessuna sicurezza perché erano pochi e le loro mura erano state distrutte e nessuna libertà di parola”, situazione generata dalla reggenza achea permessa dal magistrato romano messo a governo della Grecia, figure che con molta facilità potrebbero esser diventati degli allegorici serpenti. Chissà.
Un lavoro scientifico che non si fregia della fama mitologica di Amyclae ma ne fa il suo perno è la ricerca del 2015 “Indagine preliminare geomitologica: il caso della piana di Fondi (Lt)”, di Antonio Colapietro e Mauro Lucarini, entrambi dell’ISPRA, i quali così introducono la propria ricerca: “Utilizzando consolidate analisi e metodologie pluridisciplinari, a partire da miti e leggende areali, sembrerebbe possibile individuare il probabile accadimento di eventi calamitosi avvenuti in passato. Il caso dell’attuale Piana di Fondi (LT), verosimilmente coincidente con l’antico Sinus Amyclanus, ci riporta direttamente al mito di Amyclae. Il mito narra la scomparsa misteriosa di questo antico insediamento che potrebbe essere la trasposizione figurata di un evento naturale improvviso ed a forte energia, tramandato per generazioni sottoforma di leggenda. La ricerca prende in esame alcuni aspetti scientifici e storico-narrativi tra cui: l’assetto geologico-geomorfologico dell’area; la ricostruzione paleoambientale dei rapporti mare-laguna; alcune fonti narrative sulla scomparsa di Amyclae”. In questa indagine fondata sulle ipotetiche dinamiche geologiche della piana di Fondi, viene valutata la collocazione di Amyclae sulla piana e non su colline del limitrofo circondario.
In conclusione, si riporta anche la vicenda del ritrovamento di “archeosemi” di vernaccia e malvasia risalenti al 1000 a.C. recuperati nella cisterna di un nuraghe nelle vicinanze di Cabras, nella sarda provincia di Oristano. La prova del carbonio 14 effettuata dal Centro conservazione biodiversità dell’Università di Cagliari conferma la datazione e fa ritenere che la coltura della vite nell’isola fosse conosciuta sin dall’età del bronzo. Grazie ad una scoperta tangibile si è potuto avanzare una nuova e solida ipotesi che è andata a stravolgere quanto era stato dato per assodato fino a quel momento, ossia che in Sardegna la coltivazione della vite non è stata un fenomeno d’importazione bensì una tradizione autoctona che in precedenza era stata attribuita a Fenici e Romani, i quali erano soliti frequentare l’isola al centro del Mediterraneo occidentale.
La storia viene scritta e riscritta solo grazie al prezioso lavoro degli archeologi, di tutti gli studi scientifici puntuali e della ricerca in generale, tutti step propedeutici alla scoperta di quella fu veramente la genesi di ciascuna tradizione locale.