Processo Alba Pontina: stamani in udienza ascoltato nell’Aula della Corte d’Assise di Latina Antonio Fusco, detto Zi’ Marcello
Imputato per reato connesso, Fusco sarà giudicato in udienza preliminare a Roma, il prossimo 27 gennaio, per favoreggiamento personale dal momento che, secondo gli inquirenti, fu lui ad avvertire i Di Silvio, dal centralino del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Latina, in merito alla retata della Squadra Mobile di Latina che avrebbe in seguito arrestato nel settembre 2016 Agostino Riccardo, Renato Pugliese, Samuele e Ferdinando “Pupetto” Di Silvio.
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Si trattava, come noto, dell’estorsione madre, quella ai danni del ristoratore di Sermoneta, Davide Malfetta, ex dipendente del Latina Calcio con Paquale Maietta. E, soprattutto, come oramai ascritto nella storia giudiziaria della città, è la vicenda da cui derivò il pentimento di Pugliese, diventato collaboratore di giustizia, seguito poco dopo da Riccardo nello stesso destino.
Tuttavia, Fusco, in udienza, ha fornito una versione diversa, scagionando del tutto Armando “Lallà” Di Silvio e i suoi figli. A commettere quell’estorsione ai danni di Malfetta (gli chiedevano 15mila euro per non aver corrisposto l’affitto ai proprietari delle mura del ristorante sermonetano) furono, per Zi’ Marcello, i due pentiti, Pugliese e Riccardo, quasi a rinverdire l’etichetta, data loro in ambienti criminali, di “infami”.
Addirittura, secondo il personaggio più misterioso dell’inchiesta Alba Pontina, Lallà diede dei deficienti a Pugliese e Riccardo ordinando loro di smettere di tartassare Malfetta, ridotto, come ha detto in udienza Fusco, a dormire in macchina per i debiti. Solo Pugliese e Riccardo beneficeranno dei soldi prelevati dal bancomat dell’ex ristoratore di Sermoneta: circa 2mila euro. Una versione che condanna i collaboratori di giustizia e sgrava da ogni responsabilità la famiglia Di Silvio.
Ma c’è di più. Secondo Fusco, Malfetta, completamente soggiogato dalle angherie del “Ciccione” (ndr: Agostino Riccardo), non telefonò direttamente a lui per intercedere presso gli estortori legati ai Di Silvio, di cui aveva una paura quasi ancestrale. L’ex ristoratore, a quanto riportato da Zi’ Marcello, si rivolse a un certo Massimo Severoni, un uomo che rende ancora più tortuoso il percorso verso la verità. Perché se Zi’ Marcello lo abbiamo sempre definito il personaggio più controverso e misterioso della vicenda, Severoni lo è ancor di più.
È vero, Zi’ Marcello, secondo la Squadra Mobile di Latina, è un personaggio non nuovo alle soffiate e ai rapporti ambigui con guardie e ladri: gli investigatori della Polizia, quelli più anziani in grado e dotati di memoria storica, se lo ricordano quando avvertiva Massimiliano Moro di un suo prossimo arresto. Ma Severoni, di cui Fusco ha menzionato più volte il nome, cosa c’entra in tutto questo?
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Secondo Fusco, Severoni non si sa bene cosa faccia. E quando più di un anno fa, chi scrive ha provato a domandarlo, si faceva fatica a ricordare persino il nome. Sedicente appartenente alla Direzione Investigativa Antimafia; vicino ai Servizi Segreti; responsabile di una società operante nel settore del microcredito, tornato spontaneamente in Italia dagli Emirati Arabi Uniti il 15 novembre scorso per sottoporsi alla misura cautelare in carcere in ordine ai reati contestati di peculato e autoriciclaggio; ispiratore della Lista “La Tua Voce per Latina” (in realtà un brand/marchio politico che avrebbe dovuto presentarsi nelle maggiori città italiane) di Davide Lemma alle Comunali di Latina nel 2016; colui che portò a Latina, all’Hotel Europa, in quella campagna elettorale del 2016, addirittura l’ex Comandante del Ros ed ex direttore del Sisde Mario Mori, prima che fosse condannato in primo grado, a 12 anni, nel processo sulla trattativa Stato-Mafia. Di storie su di lui ne giravano e ne girano tante.
Non finì bene l’avventura politica di Lemma: non tanto perché non ottenne voti sufficienti neanche per diventare consigliere comunale, ma perché l’ex dipendente (anche lui) del Latina Calcio di Maietta fu oggetto, a tornata elettorale conclusa, di ben due attentati a botte di auto bruciata (settembre 2016 quando Malfetta subiva l’estorsione) e attinta da colpi di arma da fuoco (gennaio 2017). Attentati di cui non si è mai saputo l’autore né il movente, anche se Lemma giura di non avere nemici e di non sapere chi abbia mai potuto atterrirlo con quegli spaventi.
Ma riavvolgendo il nastro, tutto rimanda a un uno, nessuno e centomila, al secolo Massimo Severoni, quasi quasi che viene il dubbio se esista davvero (esiste, però, questo è certo). “Noi non l’abbiamo mai capito cosa faceva Severoni – ha detto Fusco nell’udienza del processo “Alba Pontina” – “Girava armato e diceva che stava con la Dia…era in grado di fare un controllo su un’auto e dal numero di targa risaliva subito al proprietario…fu lui a chiamare i Di Silvio e Riccardo e a parlare napoletano” spacciandosi per uno dei Casalesi (un certo Fefè) in modo tale da spaventare il clan rom e indurlo a lasciar perdere Malfetta. Missione non compiuta come per la lista di Lemma.
L’ex ristoratore, impaurito da Riccardo e Pugliese, chiama Severoni nella cui auto, di ritorno da un viaggio al nord Italia, c’erano Fusco, Davide Lemma, “un certo Dario” (Fusco non ricorda il cognome), il commercialista Ivan Calligaris (il cui cognome è stato già menzionato da Agostino Riccardo) e l’autista, di nome Marco, del medesimo Severoni. È lì che Fusco, il quale dice di essere amico di Malfetta, prende a cuore la vicenda dell’ex ristoratore e, al ritorno a Latina, chiama Pugliese (“il numero me l’hanno dato al Bar Valery“) e poi vede il figlio di Cha Cha e Riccardo al Centro dell’Orologio a Latina. Appena lo incontra – “non avevo paura di loro” -, Fusco insulterebbe Riccardo e gli direbbe di smettere; poi, sempre secondo la versione raccontata da Zi’ Marcello, arriverebbe Lallà che dice ai suoi sottoposti di piantarla con Malfetta.
Tra opposizioni dell’avvocato Iucci che difende Fusco e qualche “non ricordo”, Zi’ Marcello se ne va via dall’udienza negando anche di conoscere l’ubicazione della Guardia di Finanza a Latina. “So solo dove si fanno i passaporti a Palazzo M“.
Ad echeggiare, però, della sua deposizione richiesta dal collegio difensivo, continua a essere quel personaggio da spy-story: Massimo Severoni, la cui identità, se non palesata, era stata adombrata da Pugliese e i Di Silvio che lo definivano, nelle intercettazioni captate dalla Polizia di Latina, come “una guardia che sta con Davide Lemma“. Ecco perché alla storia della sua appartenenza allo Stato, ci avevano creduto un po’ tutti a Latina. E se fosse vero? Ad ogni modo, un dubbio prende a chiunque segua un po’ di queste storie: forse, ancora una volta, i misteri rimarranno tali e i personaggi come Antonio Fusco e Massimo Severoni, comunque non indagato nell’inchiesta Alba Pontina, se la caveranno.
E sì che oggi, in udienza, avrebbe dovuto parlare, collegato dal carcere di Frosinone, un altro personaggio eccellente e anche lui in rapporti con veri appartenenti alle Forze dell’Ordine e persino 007 dell’intelligence italiana: l’imprenditore sonninese Luciano Iannotta, la cui testimonianza è saltata perché, risultando imputato per reato collegato con Pugliese e Riccardo (inchiesta Dirty Glass), sarà ascoltato nella prossima udienza – 26 gennaio 2021 – di un processo che non sembra mai volgere alla fine. Come, oggi, quando il pm De Lazzaro ha depositato altre intercettazioni che dovranno essere trascritte per l’udienza già fissata del 23 febbraio 2021.