Mentre a livello parlamentare si discute sulla possibilità di avviare la riapertura delle Case Chiuse, continua la proliferazione nel territorio della nostra provincia di organizzazioni criminali che si attivano per creare una rete di prostituzione nel territorio.
Ne avevamo parlato già nell’articolo Wanda non se n’è mai andata via, e questi ulteriori accadimenti confermano quanto è noto da tempo: Latina e provincia sono luoghi in cui la prostituzione è presente e ben radicata.
LE INDAGINI
La Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Latina ha dato corso ad un’intensa attività investigativa, al fine di debellare un’organizzazione dedita allo sfruttamento e al favoreggiamento della prostituzione, costringendo alcune ragazze extracomunitarie a svolgere il “mestiere più vecchio del mondo” in appartamenti che si trovano nei comuni di Minturno e Cassino.
A tal proposito, le Fiamme Gialle di Formia hanno dato luogo ad una misura cautelare dell’obbligo di dimora congiuntamente all’obbligo di firma, emessa dal G.I.P nei confronti di una cittadina colombiana, quale capo dell’organizzazione. La donna sudamericana, supportata da alcuni soggetti locali incaricati della ricerca di nuovi clienti, si occupava non solo della gestione di diverse case d’appuntamento, ma provvedeva anche alla ricerca delle ragazze da avviare alla prostituzione, in seguito l’organizzazione tratteneva oltre il 50% dei compensi delle lucciole.
Le indagini permettevano di delineare sia il reato di favoreggiamento che quello di sfruttamento della prostituzione. Il primo poiché l’organizzazione non solo metteva a disposizione delle ragazze immobili locati “in nero” per l’esercizio dell’attività illecita, ma si adoperava anche a facilitare ogni forma di contatto tra il cliente e la prostituta; il secondo, invece, perché gli indagati erano soliti esigere parte dei proventi conseguiti dallo sfruttamento delle ragazze.
Inoltre un uomo di origine bresciana, è stato accusato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, poiché aveva dichiarato falsamente la donna colombiana come propria collaboratrice familiare permettendole di percepire un’indennità di disoccupazione di circa 50.000 Euro, oltre che di soggiornare liberamente in Italia.