ZINGARETTI IL GATTOPARDO E IL BLUFF DEL CAMBIAMENTO PER TORNARE AL PASSATO

Zingaretti-Renzi-Gentiloni

E così la “sinistra” italiana ha un nuovo leader, una nuova guida, un nuovo segretario, scelto per rilanciarsi dopo il punto più basso toccato un anno fa con il 18,7 percento ottenuto alle elezioni nazionali. Un dato persino diminuito nel corso degli ultimi mesi, prima nei sondaggi, a causa di continue divisioni e dure contrapposizioni interne, nell’eterna lotta per il potere e il predominio politico, proseguito poi con l’imbarazzante 11 percento ottenuto alle elezioni regionali abruzzesi e infine il 12 ottenuto in Sardegna. E lo ha fatto come di consuetudine, affidandosi al voto delle Primarie andate in scena nel weekend scorso, con 3 candidati rimasti in lizza: il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, l’ex segretario e ministro all’agricoltura del governo Renzi Maurizio Martina e il deputato e consigliere comunale romano Roberto Giachetti. La vittoria di Zingaretti è stata caldeggiata e promossa da tutto il vecchio establishment di partito, più che un rinnovamento è un ritorno alle origini, con i rottamati da Renzi che si prendono la loro rivincita grazie ad rinnovamento solo apparente di gattopardiana memoria.

Il fratello di Luca Zingaretti, l’attore noto al pubblico tv per il suo ruolo da Commissario Montalbano, vince con percentuali bulgare sfondando il muro del 60 percento – il 67 per la precisione – e lasciando Martina secondo classificato indietro di oltre 40 punti, in una consultazione che lascia tuttavia il tempo che trova per trasparenza e regolarità di voto. Una vittoria tuttavia schiacciante ma allo stesso tempo anche l’ennesima sconfitta, com’è consuetudine per Zingaretti. Nel 2018 torna a fare per la seconda volta consecutiva il governatore del Lazio, mai successo prima, vincendo le elezioni regionali, ma senza una maggioranza in Consiglio, anche questo è un record, così come ora diventa segretario nazionale del suo partito, vincendo le Primarie meno partecipate della storia delle primarie piddine: votano in appena 1,6 milioni. Nel 2007 erano stati oltre 3,5 milioni. Zingaretti è l’uomo dei record, vedremo se sarà anche quello capace di risalire la china. Sta di fatto che l’emorragia di voti non è un segnale ma una conseguenza, perché il Pd è stato il partito che ha celebrato con la sua nascita e poi con le politiche degli ultimi anni, la fine dei valori e delle battaglie della sinistra italiana. Sono stati superati a sinistra da quelli che oggi loro stessi chiamano “destra”. Mentre in Italia si discuteva di lavoro, cittadinanza, pensioni, salario, nel Pd ci si invitava a cena vicendevolmente, boicottando l’invito di uno per rilanciare l’invito a qualcun altro. Così dopo l’invito a cena di Calenda (ex ministro allo sviluppo economico) per Renzi, Minniti e Gentiloni – poi annullato – Zingaretti annunciò una controcena e Giachetti seguitò con l’annuncio dello sciopero della fame. Lo stesso Calenda poi auspicò che il Pd scomparisse e che fosse guidato da uno psichiatra.

Insomma Zingaretti conosce bene il covo nel quale dovrà muoversi, e la calma solo apparente di Renzi ne è un segnale preoccupante. Ma dopotutto lo stesso Zingaretti abita da parecchio tempo in quel covo, la figura del rottamatore è stata rottamata, si è rivelata una grossa bugia, ora si torna indietro, basti pensare che l’invito a votare alle ultime Primarie è stato confezionato addirittura da Prodi. E per Zingaretti non sono mancati gli endorsement neppure di Bersani, D’Alema e Veltroni. Lo stesso Zingaretti ha affermato “di non aver mai sgomitato”, di aver cioè rispettato le gerarchie e le correnti  dei “senatori” all’interno del suo partito. Ecco uno dei principali motivi di contrasto con Renzi, più irruento, un fuoco di paglia, che contestò a Zingaretti la scarsa ambizione ai tempi della sconfitta della Bonino alle Regionali, mentre Nicola proseguiva con calma la sua ascesa, una carriera politica che è già molto lunga e ricca di vittorie in condizioni “avverse”, come dicevamo. Nelle istituzioni Zingaretti entra nel 2004, prima eurodeputato, poi presidente della Provincia di Roma dal 2008, e due volte governatore del Lazio. Ha rottamato il rottamatore, perciò gli”anziani” lo amano.

E perciò non si intravedono novità nei contenuti, se non quella di aver spodestato Renzi e la stagione delle alleanze con Berlusconi. Per adesso. Dopotutto il Partito democratico, fin dalla sua nascita, ha vissuto sostanzialmente due fasi, o quella della protesta a ciò che fa il nemico, l’antiberlusconismo, o quella della copia di ciò che fa quel nemico, col quale quindi ti allei perché non riesci a sconfiggerlo. Si riprende il discorso da dove lo si era lasciato, ma con un nemico meno forte. Non a caso Zingaretti nell’ultimo anno da “neo”- governatore non ha fatto altro che rincorrere i temi nazionali del Governo giallo-verde, dall’interno di un Consiglio regionale dove è stato quasi sempre assente, impegnato a curare anzitutto la propria corsa al ruolo di segretario nazionale. Mentre il neoministro del lavoro Di Maio incontrava nel giugno 2018 i cosiddetti “lavoratori digitali”, i riders, Zingaretti annunciava una legge regionale. E ancora nel dicembre 2018 quando il Governo si apprestava a varare il reddito di cittadinanza nella manovra di Bilancio, Zingaretti annunciava lo stanziamento regionale per il reddito di inclusione. Da sempre contrario ad ogni iniziativa sul taglio dei vitalizi in Regione, compatto con la sua maggioranza e gli altri partiti contro le proposte dei grillini nel Lazio, annuncia il rinnovo del taglio – ma è solo un contributo di solidarietà – nel maggio 2018, quando il Movimento Cinque Stelle va al governo. Poi annuncia il lancio di una piazza virtuale, alla stregua della piattaforma del MoVimento 5 Stelle “Rousseau”. E persino da neo segretario nazionale appena eletto, piuttosto che rilanciare quelle politiche di sinistra latitanti che hanno generato una vera e propria diaspora di voti e di elettori, ha preferito parlare di Tav e poi di polemizzare sull’annuncio della misura per garantire il salario minimo ai lavoratori italiani annunciata da Di Maio, giudicandola una “furbizia”.

È dunque evidente come l’impegno di Zingaretti in questi anni sia stato anzitutto votato a raggiungere i risultati elettorali che si prefiggeva, alimentare costantemente la sua ascesa politica, rinnovando tutto allo scopo gattopardesco di far rimanere tutto com’era. In un Lazio devastato dai debiti, ha prima rimpolpato il suo gabinetto – secondo la FeDirets Direr Lazio (ndr: sindacato dei dirigenti) dal 2008 al 2017 sono stati spesi quasi 53 milioni di euro in più rispetto al tetto di spesa indicato dal Ministero dell’Economia – e poi a settembre ha stretto le fila del suo esercito di trombati e fedelissimi, approvando un subemendamento nel collegato al Bilancio, così da assumere ulteriori 21 persone nel suo staff in violazione del suddetto tetto di spesa per affrontare la corsa alla segreteria del Pd ma coi soldi della Regione. Siamo a 63.
Come abbiamo detto a Zingaretti interessa vincere, per lui la politica è fatta di accordi, di compromessi, di amicizie e di campagne elettorali, a volte pagate da personaggi inquietanti. Affermò lui stesso, interrogato nel processo Mafia Capitale, di aver ricevuto contributi elettorali da Salvatore Buzzi, condannato in appello a 18 anni e 8 mesi di reclusione dalla Corte d’Appello di Roma, per associazione per delinquere di stampo mafioso. Zingaretti fu indagato nell’ambito del medesimo processo, dapprima nel 2016, per due episodi di corruzione, ed è ancora attesa la risposta della richiesta di archiviazione da parte del Gip, e poi fu nuovamente indagato per false dichiarazioni nel 2017 e anche per questo procedimento si attendono sviluppi.

Ma insomma il consenso è importante, per chiunque faccia politica, e a Zingaretti sembra non interessare più di tanto come lo si ottiene. Un concetto sul quale spiega bene il proprio punto di vista, da Formia, già a partire dalla campagna elettorale del 2013, quando alla richiesta di commentare la presenza in lista dell’ex assessore provinciale in quota Forza Italia, Eleonora Zangrillo, il neosegretario Pd replica che la cosa importante è “allargare il consenso” (minuto 5:30). Anche dall’interno del Consiglio regionale ha dato sfoggio di tutta la sua strategica sapienza di una politica dal sapore democristiano da Prima Repubblica: prima è stato capace di sovvertire i precari equilibri della sua anatra zoppa offrendo la surroga di vicepresidente del Consiglio – al posto di Palozzi finito in manette per la vicenda Parnasi – al consigliere Giuseppe Cangemi, nel frattempo fuoriuscito dal centrodestra e finito al gruppo Misto; poi facendo fare una pessima figura proprio all’intero centrodestra, che tentò di farlo cadere con una mozione di sfiducia, la quale, però, finì per ritorcersi contro, facendo emergere tutte le contraddizioni e le contrapposizioni che hanno reso Zingaretti ancora più forte.

Il consenso è tutto. Perciò il fine giustifica i mezzi e poco importa a Zingaretti se quei mezzi sono false promesse spese in una costante campagna elettorale utili alla sua carriera politica. Le promesse disattese – per non dire bugie – sono numerosissime. La più eclatante è certamente quella rilanciata in collaborazione con l’allora ministro della salute Beatrice Lorenzin, per cui la Regione Lazio viveva “una data storica per i nostri concittadini, dopo quasi 10 anni la sanità del Lazio si avvia alla fine del commissariamento straordinario da parte del Governo. In concreto più autonomia, più responsabilità e cure migliori per tutti”. Peccato che per l’attuale ministro, quindi a quasi un anno e mezzo di distanza, “i conti non sono in ordine e i servizi non adeguati”. Tutto il contrario di quanto diceva Zingaretti nel 2017. In quell’annuncio si parlava addirittura di servizi adeguati e nuove assunzioni. Nulla di tutto questo, anzi, la situazione è ben peggiore di quella che ci si aspettava, come ad esempio nel capoluogo pontino. Secondo il rapporto dell’Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano, pubblicato a dicembre scorso, il Lazio ha il peggior sistema sanitario nazionale, ha chiuso 16 ospedali e perso 3600 posti letto. Un’ecatombe. Per non parlare delle liste di attesa che, per alcuni esami, rappresentano una negazione nel diritto alle cure.

A sinistra Zingaretti e a destra il costruttore Caltagirone

Ma le bugie non finiscono qui. La circostanza strana è quella per cui queste si concentrano proprio a ridosso delle tornate elettorali. Così per restare in ambito ospedaliero ha recentemente promesso 3500 nuove assunzioni ma il settore ha perso il 14 percento dell’organico, a ridosso delle elezioni regionali dell’anno passato aveva promesso una nuova edilizia ospedaliera – come l’ospedale del Golfo nel sudpontino – che ancora attende una sola pietra dopo quasi un anno e mezzo, ma non perse tempo a far acquistare la nuova sede della ex Provincia di Roma nel grattacielo realizzato dal costruttore Luca Parnasi – poi finito in manette per lo scandalo corruttivo sulla realizzazione dello stadio della Roma – al Torrino, finito nel mirino del Procuratore della Corte dei Conti del Lazio Andrea Lupi per un danno erariale di oltre 200 milioni di euro. Ma Zingaretti è notoriamente amico di vecchia data della lobby dei costruttori, sin dai tempi delle cene elettorali per farsi eleggere presidente della Provincia e alle quali non mancavano i signori del cemento come Mezzaroma e Caltagirone definiti personaggi con “sensibilità democratica”. Aveva promesso un’azione di aiuto a quei Comuni che volevano cacciare Acqualatina, ma anche lì si è rivelato uno slogan da campagna elettorale.

Ma è sui rifiuti che Zingaretti si è ostinato a fare cattive figure per anni. C’è voluto l’intervento del ministro dell’Ambiente Costa, nell’ottobre scorso, che ha tirato per la giacchetta Zingaretti “minacciando” il commissariamento anche sul tema rifiuti, se il governatore non avesse provveduto ad aggiornare quel piano rifiuti fermo da anni e che Zingaretti, ben consapevole, si divertiva a dimenticare così da poter proseguire nel gioco del gatto e del topo che si rimpallano le responsabilità delle emergenze con la sindaca di Roma Virginia Raggi. Detto fatto, il piano è stato approvato a gennaio. Una speculazione politica indegna che emerge in tutta la sua ipocrisia, leggendo i programmi elettorali di Zingaretti. Infatti da presidente della Provincia aspirante governatore del Lazio la colpa della cattiva gestione dei rifiuti era riconducibile alla giunta regionale di Renata Polverini, e del suo piano rifiuti: “In quest’ottica – affermava – , il Piano Regionale dei Rifiuti approvato dalla Giunta Polverini, oltre a essere stato proprio di recente bocciato dal Tar del Lazio, è uno strumento già vecchio e da rivedere. È un piano confuso e contraddittorio nei vari scenari previsti. Al contrario, con coerenza e credibilità, la Regione deve indicare programmi e obiettivi per realizzare un innovativo ciclo integrato per i rifiuti urbani”. Quando poi è diventato governatore, nel suo nuovo programma elettorale la colpa viene passata alla Raggi: “Da domani – rilancia – approvazione del Piano Rifiuti, finora bloccato dalla mancata indicazione dei siti di smaltimento da parte di Roma Capitale, entro i primi sei mesi della legislatura e approvazione della legge di applicazione della Strategia Regionale Rifiuti Zero”. È sempre colpa del suo nemico “politico” ma mai una sua responsabilità da amministratore.

E allora dopotutto, forse, Zingaretti è allo stesso tempo allineato al passato, a quel modo di fare politica di chi il Pd lo ha fondato, ma anche in continuità con un presente non troppo lontano, alle bugie, alle false promesse, ai comitati di affari, ai lobbisti, interessato al suo ego e alla sua carriera politica. A fine agosto 2018 Zingaretti rilancia la sagra dell’Amatriciana con ancora metà delle macerie a terra, proprio come Renzi che sfilava tra quelle macerie promettendo una immediata ricostruzione mentre le povere vittime del terremoto sono ancora nelle casette. Mentre Renzi varava il Jobs Act, Zingaretti distruggeva il futuro con Garanzia Giovani, mentre Renzi smantellava le pensioni Zingaretti smantellava la sanità regionale. Insomma dopotutto le similitudini non sono così poche, mentre uno prometteva il cambiamento facendo la guerra agli “anziani”, per poi allearsi con un anziano, un altro promette il cambiamento alleandosi con “gli anziani” e facendo la guerra a chi è più giovane. L’importante è cambiare…ma solo affinché tutto resti com’è

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