No ai permessi premio per Giuseppe Di Silvio detto Romolo, considerato dalla DDA capo del Clan Di Silvio di Gionchetto
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del boss del clan nomade negandogli la possibilità di usufruire di permessi premio.
I permessi premio sono permessi, di durata non superiore a quindici giorni, che possono essere concessi ai condannati che hanno tenuto regolare condotta e che non risultano socialmente pericolosi, per consentire loro di coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro.
Romolo Di Silvio aveva impugnato il provvedimento disposto dal Tribunale di Sorveglianza di Roma per cui non era stato riscontrata nel detenuto “la volontà di coltivare un approccio costruttivo con la vicenda processuale” che lo ha coinvolto.
Il capo-famiglia del Giochetto sta scontando, infatti, una condanna di circa trenta anni, conseguenza di vari reati tra cui quello più grave riferibile all’omicidio di Fabio Buonamano detto “Bistecca”, ucciso nel corso nella guerra criminale pontina del 2010.
Nonostante la difesa di “Romolo” adduca motivi, per quanto concerne il detenuto, di “maturata consapevolezza della necessità di rispettare le leggi penali” – un aspetto che non sarebbe stato colto dall’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma datata marzo 2021 -, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.
Per Di Silvio, su cui pende ad oggi anche l’indagine di DDA romana e Squadra Mobile di Latina, denominata “Scarface”, che lo indica come capo del Clan Di Silvio di Gionchetto che continuava a comandare dal carcere, contestandogli l’associazione mafiosa, niente permessi da Rebibbia dove è recluso.