Anni 2000: conclusa l’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, ieri l’udienza preliminare che ha disposto i rinvii a giudizio
L’udienza fissata dal Gup del Tribunale di Roma Valerio Savio si è svolta ieri 11 ottobre. A chiedere il giudizio per i componenti dei clan Antinozzi e Mendico di Santi Cosma e Damiano e Castelforte era il sostituto procuratore della DDA romana Corrado Fasanelli.
Gli arresti, come noto, sono scattati a gennaio scorso e ad essere coinvolti gli appartenenti ai due nuclei, o clan, Antinozzi e Mendico, un tempo sodalizio affiatato, ora scisso e con affari ben distinti tra loro. Sebbene permanga un tacito rispetto. Traffico di droga, estorsioni, minacce a ditte locali, rapina, danneggiamento, incendio, armi illegali: queste le principali accuse rivolte ai due sodalizi per ipotesi di reato aggravati anche dal metodo mafioso.
L’organizzazione originariamente detta “Mendico-Riccardi-Antinozzi” si muove da anni tra le province di Latina, Frosinone e Caserta, sebbene la loro “casa” sia nei piccoli comuni del territorio aurunco come Santi Cosma e Damiano e Castelforte. I due comuni più al sud della provincia di Latina. La sentenza “Anni 90” – inchiesta e poi processo progenitrici di Anni 2000 – fu ragguardevole ma i due sodalizi famigliari facenti capo a Ettore Mendico, detto “Bertoldo”, e Antonio Antinozzi, detto Trippetta, hanno continuato a gestire i traffici, il territorio e l’omertà pervasiva.
Il Gup Savio ha disposto il rinvio a giudizio per 22 persone mentre Antonio Antinozzi detto “Bertoldo”, Vincenzo De Martino e Agostino Di Franco hanno fatto richiesta del rito alternativo e saranno processo in abbreviato. Si è costituita come parte civile, tramite l’avvocato Licia D’Amico, l’Associazione antimafia Antonino Caponnetto. Parte civile anche l’impresa Volturnia Industria Costruzioni di Maddaloni, in provincia di Caserta, vittima di due incendi dolosi nell’ambito della strategia di minacce e tensioni messa in atto dal Clan Antinozzi.
È contestata dalla DDA capitolina l’associazione mafiosa a “Bertoldo” Antinozzi, già condannato per l’omicidio del meccanico Andrea Di Marco avvenuto nel lontano 1997, e ai suoi affiliati: Agostino Di Franco, Antonio Reale, Vincenzo De Martino, Marika Messore e il figlio Decoroso Antinozzi.
L’associazione mafiosa avrebbe praticato peraltro diverse estorsioni ai danni di ditte locali e atti d’intimidazioni. Un clima di vero e proprio assoggettamento del territorio, con collegamenti e interlocuzioni riferibili a clan campani e non solo nonostante diverse pronunce del Riesame, per singoli appartenenti ai due gruppi, abbiano, nei mesi, in parte ridotto la portata dell’accusa.
Oltre a ciò, vengono contestate ben due associazioni per delinquere dedite allo spaccio di sostanze stupefacenti. L’una facente capo sempre ad Antinozzi e i suoi affiliati: il figlio Decoroso, Vincenzo De Martino, Agostino Di Franco, Adolfo Pandolfo, Marika Messore e Antonio Reale.
L’altra, invece, gestita da Ettore Mendico, l’uomo che alla fine degli anni novanta avrebbe voluto prendersi il mercato delle estorsioni nel capoluogo pontino (fu respinto dal Clan Ciarelli), e dai suoi sodali: Maurizio e Pierluigi Mendico, Ciro Bonifacio, Fabio Buonamano i due “cileni” Eduardo e Francisco Parente.
I ventidue imputati che verrano processati col rito ordinario dinanzi al Tribunale di Cassino (la prima udienza è fissata il 21 dicembre 2021) sono Decoroso Antinozzi, Marika Messore, Adolfo Pandolfo, Fabio Buonamano, Ettore Mendico, Maurizio Mendico, Armando Puotì, Gianluigi Mendico, Pierluigi Mendico, Sergio Canzolino, Ciro Casaburi, Ciro Bonifacio, Salvatore Di Franco, Giancarlo Di Meo, Alessandro Forcina, Luigi Parente, Eduardo e Francisco Parente, Giuseppe Sola, Antonio Reale, Carla Tomao e Marco Viccaro.