Omicidio Moro: le utenze telefoniche che hanno incastrato il commando che ha ucciso Massimiliano Moro nella serata del 25 gennaio 2010
Dell’uccisione di Moro comincia a sapersi ormai tutto, sebbene rimanga non ancora accertata la mano che ha sparato contro Carmine “Porchettone” Ciarelli, il boss del clan-famiglia del Pantanaccio il cui ferimento ha scatenato i due omicidi tra il il 25 e il 26 gennaio: il suddetto Moro e Fabio “Bistecca” Buonamano ucciso dai due personaggi più carismatici dell’ala Di Silvio stanziale al Gionchetto, Giuseppe “Romolo” Di Silvio e Costantino “Patatatone” Di Silvio.
Per il clan Ciarelli, “Porchettone” fu attinto dai colpi d’arma da fuoco di fronte al Bar Sicuranza per mano di Gianfranco Fiori, fedelissimo di Moro. Tuttavia, Fiori condannato in primo grado per il tentato omicidio è stato assolto in Appello. Il tentato omicidio di Carmine Ciarelli rimane per lo Stato, ad oggi, un fatto per cui non ci sono colpevoli, mentre per il clan rom fu proprio Fiori dal momento che si tentò di farlo fuori in due occasioni, una delle quali persino fuori Regione (leggi al link di seguito la sequenza dei tentati omicidi, compreso un pestaggio, contro Fiori).
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Sappiamo, ora, dalle dichiarazioni del neo collaboratore di giustizia Andrea Pradissitto, intraneo alla famiglia Ciarelli per aver sposato la figlia di Ferdinando Ciarelli detto Furt, che quest’ultimo aveva ipotizzato che a sparare al fratello Carmine fosse un sicario della cellula casalese tra Cisterna e Nettuno, gli Schiavione-Noviello. Un cognome pesante, visto che Rosaria Schiavone era la figlia del pentito Carmine Schiavone, l’uomo che inventò il business dei rifiuti del clan di Casale con interessi forti nella discarica di Borgo Montello.
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Ma per il figlio di Carmine Ciarelli, Macù – secondo Pradissitto – quella era una pista sbagliata: a tentare di uccidere il padre era stato Massimo Moro e non altri. Lui il mandante, lui l’uomo da eliminare.
A dare concretezza probatoria alle investigazioni eseguite dalla Squadra Mobile di Latina, che ha dovuto riscontrare le dichiarazioni dei tre collaboratori Pugliese, Riccardo e, soprattutto, Pradissitto, c’è un certosino lavoro di anali dei tabulati telefonici alla ricerca delle celle che, secondo i detective, risultano agganciate nel tragitto che vide il Commando Moro riunirsi nella Piazza omonima del Piccarello e poi dirigersi, non prima di avere preso l’arma al Pantanaccio, verso la Q5 a Largo Cesti. Lì, secondo quanto dichiarato da Pradissitto, Grenga e Macù salirono nell’appartamento di Moro trovando il portone aperto. Addirittura, sempre secondo Pradissitto, fu Grenga a dire “è fatto, è fatto” dopo essere uscito dal condominio di Largo Cesti e, in seguito, ad ammettere di avere sparato i due colpi mortali sostenendo pure di avere commesso una leggerezza avendo con sé un telefono cellulare.
Per quanto riguarda Macù e i due nuovi arrestati, accusati di aver partecipato all’ammazzamento, Antoniogiorgio Ciarelli (fratello di Carmine) e Ferdinando “Pupetto” Di Silvio (figlio di Armando “Lallà” Di Silvio, quello di Alba Pontina per intenderci), ci sono posizioni diverse rispetto ai risconti degli investigatori sulle celle telefoniche.
MACÙ – Macù Ciarelli non risulta dall’analisi dei tabulati telefonici – così come spiega il giudice per le indagini preliminari di Roma Francesco Patrone che ha firmato la doppia ordinanza di arresti per i killer – essere presentE a Largo Cesti. Ma per gli investigatori c’è un dato significativo che quantomeno non smentisce ma conferma le dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia. L’utenza del figlio di Carmine non ha generato traffico telefonico né riferimenti sulla sua posizione per settimane dalle ore 13,40 del 25 gennaio 2010, giorno del delitto Moro e della decisione presa al Santa Maria Goretti, dove era ricoverato Carmine Ciarelli, di uccidere Moro: “come se Macù – spiega il Gip Patrone – avesse voluto evitare di fornire agli inquirenti riferimenti sulla propria posizione utilizzabili contro se stesso“.
ANTONIOGIORGIO CIARELLI – Diversa la situazione probatoria per Antoniogiorgio, il fratello più piccolo dei quattro Ciarelli figli del capostipite Antonio, colui che è considerato da sempre il meno portato alla leadership del clan-famiglia.
Per gli investigatori, l’utenza di Antoniogiorno si muove all’unisono con quelle di Pradissitto e Grenga e si trova in tutti i luoghi topici prima dell’omicidio. La sua cella ricade nella cabina pubblica di Piazza Moro da cui è partita la telefonata verso Moro per accertarsi della sua presenza a Largo Cesti. Alle 20,55 del 25 gennaio la sua cella si trova presso l’abitazione di Pradissitto in Via G.B. Grassi dove vennero rinvenute alcune armi clandestine, utilizzate anche per il tentato omicidio di Fabrizio Marchetto.
Alle 21,05, la cella di Antoniogiorno aggancia perfettamente l’abitazione di Moro e vi permane fino alle 21,19: l’omicidio Moro avviene tra le 21,15 e le 21,24 da ipotesi investigativa con tanto di testimonianze dei vicini di casa che sentirono i due spari senza vedere gli autori. Alle 21,30, invece, la cella telefonica è al centro di Latina. Un minutaggio congruo che stabilisce la distanza dalla Q5 a Latina città dopo l’ammazzamento eseguito, secondo Pradissitto, da Grenga accompagnato da “Macù”. Su Antoniogiorgio peraltro pende anche una condanna per il tentato omicidio di Fabrizio Marchetto, esponente di spicco della fazione avversa ai rom, quella di Moro/Nardone e Carlo Maricca: il fratello minore di Carmine Ciarelli viene considerato come appartenente alla spedizione contro Marchetto, i cui sicari sarebbero dovuti essere Pradissitto e Grenga. Come noto, l’omicidio di Marchetto si inseriva nella strategia stragista dei clan rom, uniti all’epoca, Ciarelli e Di Silvio.
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“L’analisi dei tabulati telefonici – tornando all’omicidio Moro in riferimento alla partecipazione di Antoniogiorgio Ciarelli – in tale contesto permise di acclarare che l’utenza cellulare trovata in possesso di Simone Grenga (che ha sposato la figlia di Luigi Ciarelli) era in contatto con quella utilizzata da Antoniogiorgio Ciarelli che aveva quindi funzioni di vendetta, come ampiamente emerso dalle intercettazioni ambientali“. Antoniogiorgio, peraltro, fu indagato dal sostituto procuratore di Latina Marco Giancristofaro tra il 2012 e il 2015 come appartenente al Commando Moro. L’indagine, come noto, fu archiviata per assenza di prove ma, all’epoca, non c’erano i collaboratori di giustizia e quell’inchiesta è tornata utile agli investigatori di oggi.
PUPETTO DI SILVIO – Infine, la presenza di Ferdinando Di Silvio detto “Pupetto”, ossia il figlio di Lallà Di Silvio, che doveva sigillare l’unione delle due famiglie sinti – quella del Pantanaccio e quella di Campo Boario. Inoltre, “Pupetto” è il nipote di Ferdinando “Furt” Ciarelli che ha spostato Rosaria Di Silvio, sorella del boss Lallà.
“Pupetto” è la new entry nel Commando Moro. Era rimasto escluso dall’ordinanza eseguita nel febbraio 2021 e neanche i due collaboratori di giustizia Riccardo e Pugliese gli avevano attribuito ruoli nel delitto Moro.
È stato Pradissitto a fare il suo nome: dichiarazioni attendibili dopo i riscontri sui tabulati telefonici effettuati dalla Squadra Mobile di Latina.
Ci sono, infatti, contatti telefonici con Pradissitto avvenuti in concomitanza con l’assassinio e, inoltre, l’utenza di “Pupetto” “si trovava in una cella adiacente al luogo teatro dell’omicidio, “come rilevabile dall’annotazione redatta dalla Sezione Indagini Elettroniche del servizio di Polizia Scientifica di Roma, datata 19-04-2011”.
Per gli investigatori, Pupetto chiama l’utenza in uso a Pradissitto alle 21,12 del 25 gennaio quando quest’ultimo si trova a Largo Cesti e alle 21.22 quando sempre Pradissitto si trova nei pressi della casa di “Furt” Ciarelli a omicidio avvenuto.
“Tale comportamento – annotano i detective riguardo a Pupetto – in una logica di suddivisione dei ruoli è compatibile con le funzioni di vedetta, parallelamente a quanto messo in atto da Antoniogiorgio Ciarelli”.
Inoltre, secondo la Squadra Mobile di Latina, tre almeno sono le circostanze che incastrano Pupetto come appartenente al Commando Moro. La prima è che anche il figlio di “Lallà” era presente alle riunioni presso il Santa Maria Goretti dove si decise di farlo fuori. La seconda è che Pupetto è fratello di Giuseppe Pasquale Di Silvio detto Fiore, ossia l’uomo da cui il primo collaboratore di giustizia Renato Pugliese ha appreso le informazioni sull’omicidio Moro. “È allora evidente – secondo il Gip – e logicamente spiegabile che Giuseppe Pasquale Di Silvio ha volutamente omesso di fornire al Pugliese il nome del fratello al fine di evitarne l’eventuale futuro coinvolgimento“.
La terza e ultima è la rabbia manifestata da Andrea Pradissitto che parla in carcere con la moglie Valentina Ciarelli perché nessuno dei Di Silvio ha portato a compimento la missione di uccidere Marchetto e temendo di finire ucciso poiché recluso nella medesima casa circondariale del suddetto Marchetto. Questa sarebbe la prova di un’organicità del sodalizio che partiva dall’uccisione di Moro e avrebbe dovuto sterminare gli altri competitor criminali.
Non solo: risulta anche la preoccupazione di Pradissitto e del suocero “Furt” per una eventuale fuga di notizie tramite Christian Liuzzi collegato a “Pupetto” Di Silvio (condannati per l’attentato ad Alessandro Zof sempre nell’ambito della guerra criminale pontina). Pupetto, in poche parole, pur avendo partecipato al Commando, non era più considerato affidabile. E la rivalità che si sarebbe sviluppata in futuro tra i Ciarelli e i Di Silvio di Campo Boario lo testimonierebbe anche oggi.