La Corte di Appello di Roma ha confermato la confisca dei beni per un valore complessivo di oltre 22 milioni di euro nei confronti dell’imprenditore Vincenzo Zangrillo, ritenuto vicino al clan dei casalesi
Nel marzo 2018, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Latina, accogliendo la proposta del Direttore della DIA, aveva già confiscato il suo patrimonio nelle province di Latina, Frosinone, Napoli e Isernia, e provveduto a sottoporlo anche alla misura della sorveglianza speciale di Polizia per tre anni.
Con un passato da carrozziere, nel corso degli anni, Zangrillo ha fatto registrare un’improvvisa e ingiustificata espansione economica, affermandosi come imprenditore in diversi ambiti commerciali, divenendo titolare, direttamente e/o indirettamente, di numerose società operanti nei settori del trasporto merci su strada, del commercio all’ingrosso, dello smaltimento di rifiuti, della locazione immobiliare e del commercio di autovetture.
Le indagini della DIA hanno dimostrato il nesso tra l’espansione del suo patrimonio individuale e imprenditoriale (a fronte di redditi dichiarati al fisco nettamente inferiori alle reali capacità economiche) e le attività illecite da lui commesse nel corso degli anni, tra cui spiccano il traffico internazionale di sostanze stupefacenti e di rifiuti illeciti, nonché l’associazione a delinquere, il riciclaggio e il traffico internazionale di autoveicoli, reati per i quali risulta anche essere stato arrestato.
La Quarta Sezione della Corte di Appello di Roma, dopo essersi avvalsa per la decisione anche di un consulente tecnico esterno (procedura già adottata dal Tribunale in primo grado), ha di recente respinto il ricorso della difesa, confermando il risultato delle indagini patrimoniali svolte dalla DIA e quindi la confisca del patrimonio dello Zangrillo, al quale è stata ridotta la sorveglianza speciale da tre a due anni.
Tra i beni oggetto del provvedimento spiccano oltre 200 mezzi (autoarticolati, autovetture, motocicli, furgoni), 150 immobili (abitazioni, uffici, opifici e magazzini), 21 ettari di terreni ubicati nelle province di Latina e Frosinone, 6 società, 21 conti correnti e rapporti bancari di varia natura, per un valore complessivo di oltre 22 milioni di euro.
Come scriveva Latina Tu, dopo la pubblicazione di una delle ultime relazioni dell’Antimafia, c’è un livello di possesso del territorio da parte, soprattutto, della camorra a tal punto che nascono delle vere e proprie cellule autonome che operano sì per conto dei clan, ma con rinnovata autonomia operativa, come accaduto per l’imprenditore formiano Vincenzo Zangrillo. La Dia puntualizzava così: “Sintomatica del grado di permeabilità del territorio in parola è la confisca, eseguita il 21 febbraio 2018 dalla DIA di Roma, del patrimonio circa 20 milioni di euro riconducibile ad un imprenditore vicino al clan dei CASALESI – gruppo BIDOGNETTI, impegnato in molteplici attività, quali la gestione di cave di marmo, il trasporto di merci su strada, lo smaltimento di rifiuti e il commercio di autoveicoli”.
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Eppure, a raccontare di Zangrillo non è stato semplice in terra pontina. Ne sanno qualcosa i giornalisti Francesco Furlan e Adriano Pagano che, per un articolo scritto nel 2015, in cui raccontavano il fatto che Vincenzo Zangrillo ha due fratelli all’interno dell’Arma dei Carabinieri (anche lo stesso Vincenzo Zangrillo fece il volontario in ferma breve per tre anni nei militari dell’Arma), passarono sotto la scure della querela. L’articolo apparve sul portale H24 di cui i due erano collaboratori, mentre ora è visibile solo sul sito dell’associazione Caponnetto poiché rimosso dal sito d’informazione dove in origine fu pubblicato. Furlan e Pagano raccontarono della parentela dei tre Zangrillo, Vincenzo, Pietro e Raffaele: “Pietro, ha indossato la divisa dell’Arma – oggi è in pensione – soprattutto in Campania, negli ultimi anni operativo nell’area di Carinola e poi a Mondragone dove fu trasferito, prese casa e dov’è tutt’oggi domiciliato. Il secondo invece, Raffaele, è ancora in servizio ed in organico, con compiti di polizia giudiziaria, presso la tenenza di Gaeta. Insomma non è certamente la circostanza del rapporto di sangue che obbligava i due fratelli a sapere dei legami e dei traffici che hanno riguardato Vincenzo, a parte quanto emerso dalle cronache giudiziarie del passato e, ormai da tempo, ben noto a tutti. Non è cioè scontato che i due sapessero più di quanto non sapesse l’opinione pubblica, e grazie alle cronache, sull’universo dei rapporti, dei legami e delle attività intrattenute da Vincenzo. Tutto sommato restano pur sempre i suoi fratelli e rispetto alla professione che svolgono Pietro e Raffaele hanno certamente maturato negli anni competenze, e probabilmente una certa forma mentis, circa la volontà e la capacità d’indagine contro il crimine, proprio in quanto militari“.
Per tale articolo furono denunciati per diffamazione da Raffaele Zangrillo – la cui difesa chiese per i due giornalisti più di due anni di reclusone oltreché a un’ammenda di 6mila euro – ma assolti perché il fatto non costituisce reato dal giudice del Tribunale di Cassino Lucio Epifanio nel 2018. In seguito all’assoluzione Zangrillo e anche la Procura di Cassino sono ricorsi in Appello.
L’ennesima storia di quanto sia difficile fare informazione se ci si vuole discostare dal lavoro di ufficio.
AGGIORNAMENTO – Il Presidente della Osservatorio regionale Antimafia Gianpiero Cioffredi ha voluto ringraziare la Dia.
“Ringrazio il Centro Operativo della Dia di Roma e il suo capo Colonnello Francesco Gosciu per la complessa e raffinata operazione di confisca dei beni di Vincenzo Zangrillo, imprenditore di Formia, secondo gli investigatori legato al clan dei Casalesi. È di grandissima importanza la decisione della Corte di Appello di Roma che ha confermato l’impianto accusatorio formulato dalla Dia. Il basso Lazio è da decenni un territorio privilegiato di influenza camorrista. Una camorra imprenditrice che trova la disponibilità di alcuni investitori e professionisti, alimentando quell’area grigia in grado di garantire il riciclaggio di soldi e l’inquinamento dell’economia pulita. Nel sud pontino operano clan campani come l’alleanza di Secondigliano, il clan Moccia e le strutture criminali eredi del clan dei Casalesi. Aggredire i patrimoni illeciti delle mafie, restituire alle comunità locali i beni confiscati sono la nuova frontiera per una rigenerazione sociale ed economica dei territori”.