Ieri è andata in onda una breve clip nella trasmissione Geo di Rai Tre incentrata sul Parco Nazionale del Circeo. Si può azzardare che l’interesse televisivo per questa zona, al momento, è stato rintuzzato dal caso mediatico di portata nazionale dell’eccessivo numero di daini che, in un primo momento, poneva in essere l’abbattimento di una porzione dei capi ungulati che popolano il bosco di Sabaudia.
Il focus del breve servizio è stato quindi orientato ad uno sguardo d’insieme del Parco nel preoccupante contesto che lo circonda, piuttosto che sull’esaltazione dell’innegabile bellezza dei luoghi tutelati dalla riserva nazionale pontina.
Non più Geo&Geo, come siamo stati abituati a chiamarla sin dagli esordi, ma comunque un programma incentrato sulla natura, sulla sostenibilità ambientale e sulle tradizioni locali connotate da saggezza millenaria che non hanno bisogno di certificazioni scientifiche per essere riconosciute come interazioni antropiche con un impatto ecologico davvero trascurabile. Ma così non è più nella piana pontina.
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Francesco Petretti, autore del servizio, è un biologo e ornitologo, che insegna Biologia della Conservazione all’Università di Perugia, oltre ad essere uno dei membri del team della ventennale trasmissione Geo di Rai Tre. Dall’alto del promontorio del Circeo, Petretti ha dipinto con pennellate forti un quadro non molto rassicurante, un punto di vista scevro del campanilismo locale che acceca davanti alle incoerenze ambientali di cui si fa difficoltà a dire ad alta voce. Con molta probabilità, questo atteggiamento di negazione viene attivato per non dover ammettere che lo sviluppo che è seguito alla bonifica degli anni ‘30 non è stato fondato sulla sostenibilità ambientale ma sul costante depauperamento delle risorse naturali di cui il territorio pontino era ricco.
“Quante trasformazioni in questo tratto della costa tirrenica che doveva essere uno dei più belli del mondo, perché questa è la costiera che va, praticamente, dal Circeo fino al golfo di Napoli. Ma in poco meno di un secolo questo ambiente è stato radicalmente trasformato dagli uomini perché questa piana qui sotto di me era un’immensa foresta e una grande palude, le famose Paludi Pontine di cui sono rimasti pochi lembi, pochi frammenti. Ecco, la foresta è quella che si vede lì giù, marrone, una sorta di rettangolo che è il cuore del Parco Nazionale del Circeo; tutto il resto è stato trasformato, messo a coltura. La bonifica è degli anni ‘30 del secolo scorso e la terra venne redenta, l’acqua mandata via e gli uomini cominciarono a coltivarla. Poi, via via, la coltivazione è diventata più moderna e tutto questo mare di serre ha preso il posto dei campi di frumento e adesso sotto quelle serre si coltivano gli ortaggi. Quelle serre sono di plastica e ovviamente impongono tanti trattamenti alle colture, un grande consumo di acqua e sicuramente questa è un’agricoltura industrializzata.
Laggiù è rimasto un lembo di laghi costieri, laghi retrodunali salmastri, separati dal mare da una sottile striscia di sabbia, la duna, continuamente erosa dalle correnti marine per colpa dell’uomo, e qui si vede perché. Perché l’uomo ha modificato, facendo anche dei moli, il movimento delle correnti sotto costa che vanno a battere proprio perpendicolari, scavando. Cerca di risolvere il problema l’essere umano con queste massicciate di pietre ma l’acqua del mare passa dietro e scava ancora di più. Sembra quasi che qualche grande sarto si sia messo a fare un merletto alla costa: diga e merletto, diga e merletto. Quindi, quella che doveva essere una bellissima spiaggia ampia è diventata adesso una spiaggia erosa.
Laggiù ci sono le montagne: i Monti Lepini, i Monti Ausoni, più giù gli Aurunci. Ecco, questo è un paesaggio in cui la vita selvatica ha difficoltà a sopravvivere, perché non può spostarsi dalle montagne fino al mare perché deve attraversare queste barriere di plastica, di strade, di case, di campi coltivati in modo intensivo. Quei poveri laghi sopravvivono a stento, potrebbero essere invasi da un giorno all’altro dall’acqua marina e la foresta è lì, un lembo, un rettangolo, insidiata sott’acqua dall’ingressione dell’acqua marina perché quest’agricoltura è una vorace consumatrice di acqua dolce: l’acqua viene pompata ma al posto dell’acqua dolce arriva l’acqua del mare e le radici degli alberi prima o poi finiscono nell’acqua salata. E gli alberi muoiono.
Un quadro abbastanza drammatico, drammatico per capire in fondo come abbiamo trasformato radicalmente il nostro territorio in pochi decenni e come questi parchi, queste aree protette, questo è il Parco Nazionale del Circeo, sono l’ultima testimonianza di come doveva essere la natura un tempo, da difendere a tutti i costi”.
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