Il metodo messo in piedi da Regione Lazio per contrastare gli odiosi problemi del trasporto dei braccianti agricoli, almeno per ora, non ha sortito gli effetti che tutti auspicavano: su Latina, solo 3 aziende si sono iscritte all’app licenziata lo scorso luglio. A scriverlo è Il Fatto, in un articolo pubblicato il 28 ottobre a firma di Roberto Rotunno.
Fu annunciata con tutta la soddisfazione del caso a luglio scorso, l’app “Fair Labour”, l’applicazione in 5 lingue (italiano, inglese, francese, rumeno e punjibi) che permette al singolo lavoratore di iscriversi automaticamente alle liste di prenotazione dei Centri per l’impiego, in modo tale – spiegava in un comunicato ufficiale Regione Lazio – che “se un datore sceglie la sua figura professionale, avverrà uno scambio di dati per permettere all’impresa di contattare il bracciante. Il contratto di lavoro e l’iscrizione alle liste di prenotazione, permettono al lavoratore di accedere a un importante servizio: quello del trasporto pubblico verso e da i campi“.
Un provvedimento tecnologico ideato dopo lo scandalo di qualche mese prima, quando con l’inchiesta “Commodo”, la Procura di Latina scoperchiò un vero e proprio giro di sfruttamento dei lavoratori immigrati architettato da una cooperativa che li smistava in provincia e nel Lazio, trasportandoli come “bestiame”, con la complicità – secondo gli inquirenti – di rappresentanti di Ispettorato del Lavoro e del sindacato Fai Cisl Latina. Con la beffa finale della mancata costituzione di parte civile nel processo da parte del sindacato medesimo e del Comune di Latina. Ma questa è un’altra storia.
Fatto sta che la Regione Lazio, in collaborazione con LAZIOCrea, la S.P.A. che affianca l’ente nelle attività tecnico-amministrative, creò a luglio l’app, dopo aver siglato, a gennaio 2019 (all’indomani dello scandalo summenzionato), un protocollo d’intesa con le organizzazioni sindacali e le parti datoriali “per un lavoro di qualità in agricoltura”.
“In questa prima fase sperimentale – spiegava il comunicato ufficiale – le azioni sono concentrate in alcune aree della provincia di Latina e riguardano due azioni principali: l’incontro trasparente tra la domanda e l’offerta di lavoro e i trasporti gratuiti per i lavoratori agricoli. L’obiettivo di questi interventi, finanziati con 500mila euro del bilancio regionale, è contrastare lo sfruttamento, in difesa dei lavoratori e a tutela delle aziende sane, introducendo meccanismi virtuosi e facilitazioni“.
Tutto giusto e virtuoso, nonostante l’app fosse indirizzata solo ai lavoratori con regolare contratto il che eliminava quella larga fatta di “nero” che, purtroppo, ammorba il tessuto agricolo-produttivo. Sempre meglio di niente, si dirà, anche perché l’idea è oltremodo buona: i lavoratori iscritti all’app ottengono una tessera per viaggiare gratis sugli autobus Cotral (in tutta la provincia di Latina) e sulle linee secondarie comunicali SaC 2019, evitando così di finire nei giri criminali di pullmini, modello schiavista, organizzati dagli intermeidiari. Niente più e niente meno di ciò che è venuto a galla con l’inchiesta “Commodo”.
Oggi, però, si scopre che la sperimentazione della app su Latina non sta andando come si sperava. A distanza di tre mesi, scrive il quotidiano diretto da Marco Travaglio, i datori di lavoro che si sono registrati e hanno aggiunto posizioni sono solo in 3.
Un mezzo flop, almeno per ora, che però non deprime l’assessore al Lavoro di Regione Lazio Claudio Di Berardino che dichiara: “Abbiamo appena iniziato e non ci vedo una voglia di sfilarsi da parte delle aziende, ma solo un po’ di lentezza. E comunque, anche se i dati possono sembrare negativi, per noi sono positivi perché sono il germe di una buona pratica“. In attesa che il germe della legalità si trasformi in virus, cosa pensa di fare l’ente per ovviare alla lentezza?