Processo Scarface, la Corte D’Appello chiamata a decidere sull’associazione mafiosa deciderà il prossimo autunno
Sono state calendarizzate le udienze da parte della sezione della Corte d’Appello di Roma chiamata a decidere se il clan capeggiato da Giuseppe Di Silvio detto “Romolo” sia un’associazione mafiosa o meno. La prossima udienza è fissata per il 27 giugno quando il procuratore generale svolgerà la sua requisitoria. Le altre date, quando parleranno le difese, sono state fissate per il 4 e 11 luglio, il 12 settembre e, infine, il 3 ottobre quando verrà pronunciata la sentenza. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Alessia Vita, Sandro Marcheselli, Oreste Palmieri, Alessandro Farau, Alessandro Paletta, Giancarlo Vitelli, Maurizio Forte, Luca Melegari e Antonino Castorina.
A gennaio scorso, la Corte di Cassazione (quinta sezione) aveva annullato, rinviando ad altra sezione di Corte d’Appello, la condanna per associazione mafiosa a carico di alcuni degli imputati che, tramite i loro legali, avevano fatto ricorso dopo l’esito della Corte d’Appello dello scorso gennaio 2024. Il Procuratore Generale di Cassazione aveva chiesto, invece, la conferma delle condanne, ma la Cassazione aveva disposto l’annullamento per le posizioni degli appartenenti del clan del Gionchetto, retto dal boss Giuseppe Di Silvio detto “Romolo”, la cui posizione è stata stralciata.
Ad essere giudicati di nuovo i figli di “Romolo”, Antonio detto “Patatino” e Ferdinando detto “Prosciutto” Di Silvio, oltreché allo zio Costantino Di Silvio detto “Costanzo”, Costantino Di Silvio detto “Cazzariello”, Fabio e Alessandro Di Stefano, Michele Petillo, Anna Di Silvio e colui che è considerato dalla DDA il numero due del sodalizio, Carmine Di Silvio detto “Porcellino”. A Petillo e Alessandro Di Stefano non è contestata l’associazione mafiosa. Per Petillo l’annullamento della recidiva comporta l’assoluzione per prescrizione essendogli contestata la partecipazione all’associazione fino al novembre 2016: per tale ragione, il reato si è prescritto a maggio 2024.
La Suprema Corte aveva dichiarato inammissibile il ricorso di Manuel Agresti e ha annullato le sanzioni a carico degli imputati. Nello specifico, sono state annullate con rinvio in Appello anche due estorsioni: una a carico dei fratelli Di Stefano, l’altra a carico di Anna Di Silvio.
Per quanto riguarda il leader del sodalizio, “Romolo” Di Silvio, la Cassazione, rinviando alla Corte d’Appello, ha vergato una sentenza che ha messo in forte dubbio l’associazione mafiosa. La Cassazione ritiene che “le deduzioni difensive colgono nel segno, non avendo la Corte di appello fatto corretta applicazione dei criteri interpretativi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione agli elementi costitutivi del delitto 416-bis”.
Leggi anche:
“SCARFACE”, PER LA CASSAZIONE “ROMOLO” NON È A CAPO DI UN CLAN: SARÀ UN NUOVO APPELLO A DECIDERE
Secondo gli ermellini, “la commissione da parte di alcuni membri della famiglia Di Silvio, operanti “uti
singuli” o in concorso, di condotte estorsive in danno di esercenti attività commerciali dell’agro pontino, ovvero di soggetti loro debitori, non depongono in maniera univoca per l’esistenza, tra coloro che se ne sono resi autori, di un accordo associativo espressivo di un vincolo permanente“. Non è sufficiente l’omertà, l’assoggettamento del territorio e il rimando alla fama criminale della famiglia.
Tornando agli imputati odierni, già a gennaio 2024, la sentenza della terza sezione della Corte d’Appello di Roma aveva ridimensionato significativamente le pene di primo grado, dimezzando le condanne inflitte ai membri del Clan Di Silvio, sponda Gionchetto.
Alcuni degli imputati, condannati col rito abbreviato in primo grado, avevano scelto di accettare la proposta di concordato formulata a novembre 2023 dal sostituto procuratore generale della Corte d’Appello di Roma Marco Ardigò.
Si tratta di Simone Di Marcantonio, condannato a 4 anni in primo grado, per cui il sostituto pg ha chiesto e ottenuto una pena di 2 anni e 8 mesi; Marco Ciarelli, la cui condanna è di 3 anni e 6 mesi più multa da 1.600 euro, a fronte di una condanna in primo grado a 4 anni e 8 mesi. E ancora, Riccardo Mingozzi: condanna a 3 anni e 1 mese, contro una condanna in primo grado a 4 anni; oppure Mirko Altobelli 2 anni di reclusione col concordato, diversamente dalla condanna in primo grado a 2 anni e 8 mesi. Hanno scelto il concordato anche gli imputati Daniel Alessandrini (3 anni e 8 mesi in primo grado), Manuel Agresti (6 anni in primo grado) e Simone Ortenzi (6 anni e 8 mesi in primo grado). Per loro sono arrivate le seguenti condanne in Appello, conseguenza della proposta di concordato: per Alessandrini 2 anni e 9 mesi; per Ortenzi 4 anni di reclusione più 17mila euro di multa; per Agresti 4 anni e 5 mesi, più multa da 1.800 euro e interdizione dai pubblici uffici per 5 anni.
Aveva accettato la strada del concordato anche Riccardo Mingozzi: a dispetto di una condanna in primo grado da 4 anni, l’Appello ha ridotto la sua pena a 3 anni.
Tendenzialmente gli imputati che avevano rimediato pene minori col rito abbreviato avevano accettato il concordato che ha ridotto considerevolmente le pene stabilite dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Angelo Giannetti, a gennaio 2023. Accettandolo, gli imputati si garantiscono, in alcuni casi, la liberazione da ogni misura restrittiva, già scontata o per cui mancano poche settimane alla sua fine.
Avevano rifiutato il concordato coloro i quali sono stati condannati a pene più alte come il fratello del boss “Romolo” Di Silvio, Carmine Di Silvio, oppure il figlio del capo famiglia, Antonio Di Silvio detto Patatino, condannato a 19 anni e per il quale il sostituto procuratore generale aveva proposta in concordato una pena di 14 anni.
Ad ogni modo, avevano rifiutato il concordato anche imputati condannati a pene più basse, come Costantino Di Silvio detto “Cazzariello”, Alessandro Zof e Michele Petillo: rispettivamente per loro, il sostituto aveva proposto pene per 6 anni, 4 anni e 2 anni e 6 mesi.
In Appello, erano stati assolti Salvatore e Franco Di Stefano, mentre Fabio Di Stefano (condannato in primo grado a oltre 19 anni) aveva guadagno per un’accusa l’assoluzione, rimediando una pena ridotta per un altro capo di imputazione a 8 anni e dieci mesi, più multa da 8mila euro. Ridotta, invece, la pena per l’altro componente della famiglia di origine catanese, trapiantata a Latina e legata parentalmente ai Di Silvio: 3 anni e 6 mesi per Alessandro Di Stefano.
Dimezzata la pena anche per il numero due del clan del Gionchetto e fratello di “Romolo”: Carmine Di Silvio detto “Porcellino”, condannato in primo grado a 20 anni, la pena è stata ridotta a 10 anni di reclusione. Pene più lievi anche per l’altro fratello: 8 anni e 4 mesi per Costantino Di Silvio detto “Costanzo”, più una multa di 7mila euro. Ridotta la pena anche per Costantino Di Silvio detto “Cazzariello”: 4 anni di reclusione e multa da 6mila euro, oltreché alla revoca della pena accessoria all’interdizione legale.
Anche i figli del boss “Romolo” Di Silvio hanno avuto la loro pena ridotta: Antonio Di Silvio detto “Patatino” condannato a 7 anni e 7 mesi, più 7.000 euro di multa; Ferdinando Di Silvio detto “Prosciutto”, invece, ha rimediato una pena di 8 anni, oltreché alla multa da 7.500 euro.
Ridotte le pene anche per Michele Petillo a 2 anni e 8 mesi, Alessandro Zof a 2 anni e 8 mesi (più multa da 600 euro) e Anna Di Silvio a 3 anni e 4 mesi, multa di 666 euro e revoca dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Avevano ottenuto 1.560 euro ciascuna le parti civili: l’associazione antimafia “Antonino Caponnetto”, il collaboratore di giustizia Emilio Pietrobono e il Comune di Latina.
Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Alessandro Farau, Alessia Vita, Sandro Marcheselli, Oreste Palmieri, Alessandro Paletta, Giancarlo Vitelli, Maurizio Forte, Luca Melegari e Antonino Castorina.
Come noto, l’operazione anticrimine risalente all’ottobre 2021, coordinata dal Procuratore aggiunto della DDA romana Ilaria Calò e portata a compimento dalla Squadra Mobile di Latina, fece eseguire 33 misure cautelari, nei confronti di soggetti, a vario titolo gravemente indiziati di aver commesso reati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di agevolazione mafiosa.