Riparte il processo che vede alla sbarra ex esponenti di Ecoambiente per l’inquinamento delle falde presso la Discarica di Borgo Montello
Stavolta non si è verificato lo stesso motivo che ha fatto sì che le passate udienze fossero rinviate, vista l’assenza del consulente della Procura di Latina per motivi di salute. Stavolta, e sembra incredibile considerato che il processo procede a passi lentissimi, l’udienza sulla falda inquinata della discarica di Borgo Montello si è celebrata davanti al collegio del Tribunale, presieduto dal giudice Francesca Coculo, al pubblico ministero Giuseppe Miliano, al collegio difensivo composto dagli avvocati Marino e De Angelis (oggi sostiuito) e agli avvocati (non tutti) di parte civile. Il professore (in pensione) di Ingegneria Chimico-Sanitaria dell’Università Parthenope di Napoli, Rodolfo Napoli, è venuto in Tribunale e, a dispetto dei suoi ottantuno anni, ha dimostrato grande lucidità e chiarezza espositiva in merito alla sua corposa relazione basata sugli studi effettuati nella discarica di Borgo Montello.
E il suo giudizio, dopo gli studi effettuati, è netto: la falda è inquinata da tempo immemore e non si può prevedere cosa succederà tra diversi anni quando, come ce ne fosse ancora bisogno, l’inquinamento presenterà il conto anche in termini di salute umana, coltivazioni e allevamento del bestiame. Anche perché – uno dei punti fondamentali della testimonianza – l’inquinamento della falda ha raggiunto il fiume Astura. Una sorta di flusso carsico di degrado ambientale che, secondo, il professore, andrà avanti per gli anni a venire.
Il dibattimento del processo, come noto, ha fatto fatica prendere vita, senza contare che il rinvio a giudizio per gli imputati è datato addirittura a dieci anni fa, era il 2014. Nel frattempo, ad agosto scorso, è morto uno dei tre imputati: Vincenzo Rondoni.
Il processo, su inchiesta del sostituto procuratore della Procura di Latina Giuseppe Miliano, presente oggi in aule per l’esame del testimone, vede alla sbarra Bruno Landi, all’epoca dei fatti dirigente di Ecoambiente (gestore di parte degli invasi della discarica di Montello), e l’imprenditore Nicola Colucci. Ammessi come parti civili diversi cittadini che abitano di fronte alla discarica, tra cui la famiglia Piovesa, oltreché a Regione Lazio, Comune di Latina, Associazione Acqua Pulita, Legambiente e un comitato civico.
L’accusa contesta il reato permanente di “adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari”, vale a dire, in sostanza, l’inquinamento della falda che scorre sotto le aree gestite da Ecoambiente srl. Le indagini sulla falda millenaria di Borgo Montello sono iniziate nella prima decade degli anni Duemila, con un incidente probatorio risalente al 2007, per poi proseguire, tramite altri passaggi, al rinvio a giudizio dei coimputati nel 2014 con la prima udienza del processo fissata e svolta il 16 giugno del 2015.
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Poco prima di iniziare l’esame del professore Napoli, pungolato dalle domande del sostituto procuratore Miliano e dell’avvocato del Comune di Latina, Francesco Cavalcanti, il collegio difensivo solleva una eccezione preliminare: la relazione del professore non è stata depositata sette giorni prima dell’udienza e si chiede un nuovo rinvio. Un rinvio che, però, è stato schivato: il collegio del Tribunale ha stabilito che la relazione è nel fascicolo del pm e visionabile dalla difesa da illo tempore. La testimonianza può iniziare.
Napoli, che è stato anche consulente ambientale della provincia di Caserta, ossia nella cosiddetta Terra dei Fuochi, spiega che il problema della discarica di Borgo Montello nasce da lontano, almeno dal 1970. Ha esaminato tutti i bacini della discarica, in particolar modo quelli di Ecoambiente, un tempo partecipata dal Comune di Latina, e oggi nelle mani del gruppo riconducibile a Manlio Cerroni. La società gestisce gli invasi S0, S1, S2 e S3 della discarica Borgo Montello, anche se nella testimonianza del professor Napoli S0 viene collocato come proprietà del Comune di Latina. Una sbavatura, l’unica, che non inficia per niente il racconto dell’esperto. Ad ogni modo, per il professore in S0, gestito da Ecoambiente e non dal Comune di Latina, si può parlare senza tentennamenti di sito “utilizzato senza nessun tipo di accorgimento, c’erano bidoni di carburante”.
Secondo il professore, la quantità dei rifiuti prevista nella discarica di Borgo Montello, praticamente sin da subito, è stata cambiata e maggiorata rispetto a quanto poteva contenerne. Un aspetto che è tra le cause del fatto che il percolato era di quantità rilevanti, per cui l’analisi tecnica ha dovuto stabilire quanto fosse impattante e vedere dove andava a finire.
“La discarica di Montello – ha spiegato l’ingegner Napoli che si è servito di una mole di dati impressionanti forniti dagli enti preposti come Arpa Lazio e Ispra e anche dalle due società che gestiscono gli invasi, Ecoambiente e Indeco – va considerata nel suo complesso. L’Ispra ha fatto emergere che l‘inquinamento della falda è concausa dell’inquinamento generale che raggiunge anche il fiume Astura. La discarica ha una produzione di inquinanti che prosegue e proseguirà nel tempo e che durerà per decenni“.
Per quanto riguarda il percolato, il professore spiega tecnicamente che c’era un “problema di tenuta tra la parete del polder e il fondo del polder. I due polder dovevano incastrarsi e i due semi cilindri non si sovrapponevano perfettamente. C’erano dunque due perdite che non assicuravano la tenuta del percolato che così passava fino a insinuarsi nella falda acquifera. In tutto c’erano 300 metri dove il percolato filtrava nella falda di Borgo Montello e in particolare nell’invaso S1″.
Le analisi chimiche delle sostanze trovate furono affidate all’Arpa di Latina a far data dal 2005. “Il problema della discarica – prosegue il professore – esiste dal 1995. Alcuni enti tra cui Enea scelsero Latina come sito inquinato da indagare. Emerse che i terreni di quella zona sono molto variegati e soprattutto che la permeabilità dei medesimi terreni era 500 volte inferiore secondo i parametri di idoneità prescritti dalla legge“. In pratica, non era terreni gusti per ospitare una discarica così impattante, non per nient la quarte dell’intero BelPaese per grandezza.
Ebbene, quegli studi ferali furono consegnati addirittura nel 1998, senza che la politica muovesse un dito. Ecoambiebte affittò i terreni dal fallimento della precedente società, la Ecomont. “Il bacino S1 – scandisce chiaramente il professore – era già una ex discarica. Ecoambiente propose di bonificare e in cambio di fare un’altra discarica. Fino a qui niente di allarmante, ma il problema nasce perché in quell’invaso non fu fatta né bonifica né messa in sicurezza“.
Per la bonifica di un terreno occorre allontanare tutti i rifiuti, mai più conferirne altri e poi fare opere di ingegneria; per la messa in sicurezza invece possono rimanere i rifiuti abbancati, ma non si possono più portare rifiuti. Ecco, per il professore, Ecoambiente non fece né l’una né l’altra; sicuramente non fu realizzata la bonifica perché i rifiuti sono rimasti lì. La società, quindi, avrebbe compiuto una messa in sicurezza a metà perché non sarebbero più potuti accedere altri rifiuti che, invece, hanno continuato ad essere conferiti almeno fino al 2016. Insomma un ircocervo tra bonifica e messa in sicurezza che ha fallito nel ripristino dei luoghi e lasciato la discarica a marcire nell’inquinamento, influenzando tutto il territorio circostante.
C’è di più perché, come ha ricordato il professore, secondo i dati Arpa, nel cosiddetto piezometro del bacino S1 che pescava in falda c’era del ferro 25mila volte superiore oltre il limite consentito dalle regole, in un rapporto che avrebbe dovuto contenersi entro le 200 volte. “Da un momento in poi – dice l’ingegnere – non è stato più possibile accertare se il percolato arrivava nel fiume”. Fu la stessa Arpa ad autorizzare la rimozione del piezometro per permettere alcune attività in discarica.
Comunque un fatto è certo: “l’inquinamento era abnorme“. Oltreché al ferro, sono stati trovati manganese, piombo, arsenico e altre sostanze che inquinano e sono velenosi per tutti. “Queste sostanze sono collegate alle fughe di percolato – spiega il professore – Noi discutiamo di qualcosa, l’inquinamento, ché è superato già, bisogna vedere se nel bene o nel male. Comunque ad oggi l’inquinamento non può dirsi cessato e la discarica dovrebbe essere bonificata. Ecoambiente ha fallito il suo obiettivo”.
Purtroppo, ha concluso il professore, “il sito di Borgo Montello è investito da fenomeni di inquinamento che hanno raggiunto l’acqua di falda”. Senza contare che “il processo di percolazione è una immissione lentissima, si diffonde nel terreno e arriva alla stessa falda. E anche se fuori dal perimetro della discarica non è arrivato questo processo di inquinamento, le incognite di inquinamento possono palesarsi nel futuro”.
“Non possiamo immaginare cosa potrà succedere con la falda inquinata, se si costruisce nelle vicinanze c’è il rischio che la salute umana venga colpita. Di questo bisogna essere consapevoli“.
Il processo, che vedrà di nuovo la presenza del professor Napoli, atteso dalle domande degli avvocati difensori che hanno chiesto un termine per poter studiare approfonditamente la consulenza dell’ingegnere, è stato rinviato al prossimo 14 maggio.