CLAN CIARELLI, IL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA: “COMANDAVANO LORO A LATINA”

Agostino Riccardo
Agostino Riccardo

Clan Ciarelli: ad essere ascoltato come testimone nel processo “Purosangue”, il collaboratore di giustizia Agostino Riccardo

È ripreso il processo scaturito dall’operazione denominata “Purosangue” in cui si contesta l’associazione mafiosa al clan di origine rom Ciarelli. L’indagine, come noto, è stata finalizzata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e dalla Squadra Mobile di Latina, portando ad arrestare i vertici della famiglia a giugno 2022.

Il processo è iniziato da tempo e vede alla sbarra i capi, tranne Luigi Ciarelli (il numero tre del sodalizio, processato nell’altro processo antimafia sui clan rom denominato “Reset), di quello che tutti a Latina conoscono come il clan Ciarelli, la famiglia che aveva eletto la propria base nel quartiere Pantanaccio, alla periferia di Latina.

Archiviato il rito abbreviato che si è celebrato davanti al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma che ha emesso la condanna a 9 anni per il giovane rampollo più violento del clan, Roberto Ciarelli, figlio di Ferdinando detto “Furt”, oggi, 26 gennaio, è stato interrogato dal Pubblico Ministero Luigia Spinelli il collaboratore di giustizia Agostino Riccardo, ex affiliato al clan Travali e, poi, in seguito agli arresti dei membri del suddetto sodalizio (arrivati ad ottobre 2015 con l’operazione denominata “Don’t Touch”), diventato organico al clan Di Silvio, sponda Campo Boario, retto da Armando Di Silvio detto “Lallà”, fino agli arresti culminati con l’operazione “Alba Pontina”.

Riccardo, che è stato negli ambienti criminali di Latina per un ventennio, aveva parlato dei Ciarelli sostanzialmente in quattro verbali resi alla DDA e lo ha fatto anche stamani davanti al collegio del Tribunale Soana-Velardi-Coculo, alla presenza del collegio difensivo composto dagli avvocati Montini, Melegari, Forte, Carradori, Vittori, Vasaturo, Farau, Nardecchia, Coronella e Palmiero.

Sul banco degli imputati, ci sono personaggi di rilevante caratura criminale come Carmine Ciarelli detto “Porchettone” e suo fratello Ferdinando Ciarelli detto “Furt”. Tra i reati più importanti, oltreché all’associazione mafiosa, varie vicende di estorsione, violenza privata, danneggiamento, usura. Dieci in tutto gli episodi estorsivi raccolti dagli investigatori e finiti nel processo.

Ho conosciuto i Ciarelli negli anni 2000, il loro feudo è il Pantanaccio e a comandare è Carmine Ciarelli“. Così ha cominciato la sua deposizione il collaboratore di giustizia. Dopo aver ricostruito brevemente gli assetti del clan-famiglia, Riccardo ha spiegato quali fossero i loro interessi. “Io all’epoca facevo parte della famiglia Travali. I Ciarelli si occupavano di usura, estorsioni e poi dal 2006 sono passati alla droga. A Latina comandavano loro, i Ciarelli”.

“Roberto Ciarelli – ha continuato il pentito – è il figlio di Ferdinando Ciarelli detto “Furt” e nipote di Armando Di Silvio detto “Lallà”. Era dedito allo spaccio e effettuava estorsioni in zona pub con Matteo Ciaravino”. Il nome di Ciaravino è risuonato più volte nelle parole di Riccardo e ha costituito il passaggio clou della sua testimonianza in quanto il giovane è imputato e video collegato dal carcere in cui si trova ristretto.

“So queste cose perché io, dopo gli arresti dei Travali a ottobre 2015, sono stato affiliato al clan Di Silvio di “Lallà”. Ciaravino e Roberto Ciarelli estorcevano coetanei in zona pub e, inoltre, hanno estorto in carcere, nel 2018, l’avvocato Fabrizio Colletti, uno dei prestanome di Pasquale Maietta. Me lo disse un detenuto di Aprilia, un certo Elvis di cui non ricordo il cognome, cognato di Ottavio Spada di Ostia. Elvis mi spiegò che Colletti era stato estorto per 2mila euro e i soldi richiesti per la protezione in carcere furono dati tramite postepay. Elvis mi ha raccontato di questa vicenda perché ero di Latina e lui era stato in quel carcere”.

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“Ciaravino – ha proseguito Riccardo – tra il 2012 e il 2016 camminava insieme con Roberto Ciarelli, estorcevano e spacciavano insieme. Io lo conoscevo perché era cugino di Giovanni Ciaravino (nda: condannato in Appello per il processo Reset), che vendeva droga ed era affiliato ai Travali”.

Non solo estorsioni di “strada” tra coetanei. Secondo il collaboratore, sollecitato dalle domande del Pm Spinelli, anche un titolare di una orificeria a Latina si rivolse ai Ciarelli per chiedere protezione. “Lui chiese protezione a Luigi Ciarelli che, però, in cambio lo ha estorto a sua volta e gli ha tolto 20mila euro”.

Interrogato dall’avvocato Francesco Vasaturo, difensore di Matteo Ciaravino, Agostino Riccardo ha ribadito i concetti su affiliazione e affari: “Matteo Ciaravino faceva parte della famiglia Ciarelli nel senso che frequentava e commetteva reati insieme a Roberto Ciarelli: camminava con lui. Poi, vendeva droga per il cugino Giovanni Ciaravino che è rimasto affiliato al clan Travali fino agli arresti del 2015″. Una versione, quella dello spaccio di droga, messa in dubbio dall’avvocato Vasaturo che ha ricordato di come il suo assistito, Matteo Ciaravino, fosse in carcere per l’omicidio Vaccaro (nda: Matteo Vaccaro, il ragazzo di 30 anni ucciso al Parco Europa di Latina nel 2011) dal 2011 al 2014.

Ad ogni modo, l’avvocato Vasaturo ha chiesto conto a Riccardo anche sull’estorsione ai danni di Colletti da parte dei Ciarelli: “Conosco benissimo Fabrizio Colletti. Dal 2011 al 2014, ero stipendiato da lui e Maietta per comandare nella curva del Latina Calcio, insieme a Francesco Viola e Giancarlo Alessandrini. Viola e Alessandrini prendevano 1500 euro al mese, mentre a me Colletti dava 250 euro a settimana. Per l’estorsione a Colletti fu fatto un bonifico alla madre di Roberto Ciarelli, Rosaria Di Silvio”. In realtà, come testimoniato dallo stesso avvocato estorto, i 2mila euro furono dati alla madre dell’ex affiliato ai Ciarelli e oggi collaboratore di giustizia, Andrea Pradissitto.

Su un punto, però, Riccardo è chiaro: “Se fossimo stati noi del clan Travali fuori, a Colletti non sarebbe mai stata fatta nessuna estorsione. Lo fecero perché eravamo tutti detenuti”.

Conclusa la testimonianza, Matteo Ciaravino ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee, chiedendo un confronto con Agostino Riccardo: “Il suo racconto assomiglia a un film, una soap opera, è vergognoso“. E su quell’Elvis che rivelò ad Agostino Riccardo l’estorsione in carcere all’avvocato? Ciaravino ritiene che Riccardo abbia fatto confusione, tanto che la difesa ha chiesto al Tribunale e alla Procura di identificarlo e citarlo come testimone. Secondo Ciaravino, Elvis si chiamerebbe Pellerani (da non confondere con l’Ermes Pellerarini, affiliato ai Travali e a giudizio nel processo Reset): “Era di Campo di Carne, un ragazzo tutto tatuato, anche in faccia”.

Il processo, che riprenderà il prossimo 23 febbraio, al di là sul mistero di “Elvis”, vedrà la testimonianza di altri tre collaboratori di giustizia: Renato Pugliese, Maurizio Zuppardo e Emilio Pietrobono.

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