Formia, il Tar ha deciso sul ricorso presentato dalla Csa di Castelforte contro la decisione dell’amministratore unico di Frz di conferire i rifiuti in Ciociaria
Il Tar di Latina, alla luce dei motivi aggiunti presentati dalla Csa di Castelforte, assistita dagli avvocati Gianluca Sasso e Luigi Imperato, si è pronunciato a distanza di un paio di settimane sul ricorso proposto dalla società che gestisce l’impianto nel sud pontino e dopo l’udienza di merito dello scorso 22 novembre. Ad essere in gioco, la disputa che vede contrapposti l’impianto di trattamento rifiuti nel sud pontino e la società del servizio d’igiene urbana di Formia e Ventotene, “Frz”.
Il collegio composto dai giudici Savoia-Romano-Torano ha deciso che il ricorso della Csa è inammissibile, condannando la società al pagamento delle spese: 8mila euro ciascuno per Frz e Saf spa (la società che gestisce l’impianto di Colfelice), 4mila euro per il Comune di Formia. Per quanto riguarda la Regione Lazio, il Tar ha disposto la compensazione delle spese. Un particolare che potrebbe aprire altre ipotesi dettate dal fatto che il Tar ha anche disposto la trasmissione degli atti alla Procura di Cassino e alla Corte dei Conti “per gli eventuali seguiti di competenza”. Nel mirino, infatti, potrebbero esserci le autorizzazioni fornite dalla Regione Lazio alla Csa di Castelforte che non avrebbe, a monte, potuto ricevere i rifiuti.
Come noto, nel giudizio proposto dalla Csa si sono costituiti la Frz, la Saf di Colfelice e la Regione Lazio. Assenti, invece, i Comuni di Formia e Ventotene.
Una decisione presa dall’amministratore unico di Frz, Raffaele Rizzo, che sin da subito (si era a fine aprile), ha fatto discutere e più di qualcuno ha cominciato a domandarsi se il passaggio diretto dello smaltimento dei rifiuti indifferenziati formiani dal conferimento al Csa di Castelforte all’impianto in provincia di Frosinone fosse a norma di legge.
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I rifiuti dell’indifferenziato dei Comuni di Formia e Ventotene, che dipendono entrambi dalla gestione della Formia Rifiuti Zero, guidata da Rizzo, sono stati conferiti fino ad aprile nell’impianto di Castelforte, gestito dalla Centro Servizi Ambienti srl (Csa). La società è interamente privata, a differenza della Saf Spa di Colfelice che è partecipata dai Comuni ciociari e dalla Provincia di Frosinone. Privato contro pubblico, questa è stata una delle ragioni addotte dall’amministratore unico Rizzo in Commissione comunale a Formia quando se ne è discusso.
Spostare il conferimento dell’indifferenziato a una tariffa di oltre 207,6 euro a tonnellata fuori provincia – questo era il ragionamento di chi dubitava di quello strappo – avrebbe potuto cozzare con il principio di prossimità stabilito dalle norme: ossia, conferire rifiuti nell’impianto più vicino. Il costo sino al 31 dicembre 2023 è stato calcolato in un 1 milione di euro
A domandarsi se si viaggiasse nella giusta direzione, sono state anche le consigliere comunali d’opposizione di Formia, Paola Villa e Imma Arnone.
La Csa, tramite gli avvocati Luigi Imperato e Gianluca Sasso, aveva interpellato il Tar contestando la “decisione” ritenuta “illegittima e al contempo illecita”. I legali facevano rilevare che l’applicazione del decreto legislativo 121/2020 “riguarda le discariche e non gli impianti di trattamento come il Csa con la conseguenza che il richiamato limite del 65% della raccolta differenziata non è assolutamente applicabile. Semmai l’unico limite, normativamente previsto, per il conferimento dei rifiuti al Csa è soltanto quello del 15% del materiale organico, limite sempre rispettato nel corso degli anni come dimostrano gli esami merceologici”.
Un ricorso che sollevava altre questioni con Csa che ribatteva punto su punto alle argomentazioni dell’amministratore Rizzo, sostenendo di essere un impianto autorizzato regolarmente e in grado di trattare i rifiuti nella maniera corretta.
Contestata dalla società di Castelforte anche la conseguenza della scelta di Rizzo: spostando il conferimento fuori provincia, il manager avrebbe trasgredito il principio di prossimità (ossia conferire i rifiuti nell’impianto meno distante). Così facendo, motiva il ricorso della società Csa, “la Frz sta consapevolmente affrontando maggiori rischi per la sicurezza ambientale in considerazione della maggiore percorrenza dei rifiuti e dei maggiori costi di trasporto, il tutto a danno dei cittadini”.
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Ora, però, il Tar ha ribaltato il contesto, spiegando che già nel 2021, anno della determina dirigenziale autorizzatoria della Regione Lazio, “l’impianto della Csa non fosse idoneo a trattare i rifiuti indifferenziati urbani aventi una frazione umida superiore al 15%, quali sono indubbiamente quelli provenienti dai Comuni di Formia e Ventotene”. Per tale ragione, Frz “ha legittimamente deciso di conferire in altro impianto di trattamento idoneo”, vale a dire quello gestito a Colfelice dalla Saf Spa. Frz, quindi, ha operato correttamente, laddove, peraltro, secondo il Tar, la stessa Csa è consapevole dei limiti della propria azienda in riferimento al fatto che può trattare sì la frazione secca ma non quella umida dei rifiuti indifferenziati.
L’indifferenziato che Frz conferiva aveva un valore superiore al 30% in termini di frazione umida, quindi il doppio del consentito in un impianto come quello di Csa considerato indietro tecnologicamente.
Al di là del fatto puramente tecnico, c’è anche quello autorizzativo. Il Tar sottolinea che “per molti anni” il servizio reso dalla Csa è stato compiuto da “un operatore privato sulla base di un titolo giuridico inesistente”. Ecco perché gli atti vengono trasmesse per valutazioni penali e contabili, rispettivamente a Procura di Cassino e Corte dei Conti del Lazio. Una tegola che potrebbe abbattersi ben presto sulla Regione Lazio e la direzione che ha fornito le autorizzazioni alla Csa.