Spari a Gustavo Bardellino: il maxi blitz di ieri, 26 luglio, non è orientato solo a scoprire chi ha premuto il grilletto il 15 febbraio 2022. Sul caso indagano non solo la DDA di Roma, ma anche la DDA di Napoli
Ieri, come ormai noto, si è concretizzato il blitz di Carabinieri e Polizia sulle tracce del tentato omicidio di Gustavo Bardellino, avvenuto il 15 febbraio 2022 nella concessionaria di rivendita d’auto Buonerba in Via Ponteritto, a Gianola, dove il 43enne – nipote di Antonio Bardelllino, fondatore del Clan dei Casalesi, e di Ernesto Bardellino, ex sindaco di San Cipriano d’Aversa, trapianto a Formia con la famiglia dagli anni anni ottanta – fu attinto da alcuni colpo d’arma da fuoco.
Ma l’imponente operazione con decine di agenti di polizia e militari dell’Arma è proprio sicuro che fosse solo per capire chi abbia provato a uccidere Gustavo Bardellino? A crederci, ormai, non c’è più nessuno. L’indagine si è evidentemente allargata e un ruolo importante, con alta probabilità, l’hanno avute le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che molto sa degli equilibri mafiosi del sud pontino. Ma andiamo con ordine.
Carabinieri e Polizia, solo per il caso degli spari a Gustavo Bardellino, con un forte spiegamento di uomini e mezzi, hanno proseguito le indagini molto articolate per cui vi è già un imprenditore indagato, a Formia, già ascoltato dall’autorità giudiziaria nei mesi scorsi. I militari dell’Arma di Formia e Gaeta e la Polizia di Stato, in una operazione congiunta, hanno intrapreso alcune perquisizioni e diversi accertamenti per cui trapela ancora molto poco e la confusione, sul lato dell’informazione, regna sovrana.
Al momento si sa che l’operazione che si è concentrata soprattutto a Formia, ma anche a Gaeta e Minturno, ha portato al sequestro di cellulari, pc e documentazione. Ma cosa cercavano?
Il fatto più rilevante, almeno di quelli che sono emersi a fatica, è che è le forze dell’ordine, sin dalle 5 del mattino di ieri, si sono recati al Villaggio del Sole a Formia, sull’Appia, all’interno del complesso residenziale per perquisire la casa che un tempo fu di Aldo Ferrucci, originario di Sessa Aurunca, formalmente proprietario della storica discoteca Seven Up che saltò in aria quasi 40 anni fa. Ferrucci sarebbe stato incaricato dai Bardellino in un primo momento per prendere in possesso del locale.
Ad ogni modo, la casa, in Viale dei Pini 7, era uno degli obbiettivi degli investigatori. Una circostanza inquietante che non può avere a che vedere con gli spari a Gustavo, o almeno non può essere circoscritta solo a quelli. La prova regina che l’inchiesta si è allargata e di molto: dopo anni di inchieste e denunce, finalmente lo Stato vuole mettere la parola fine alla saga dei Bardellino con una operazione verità, sia sui nuovi interessi, dinamiche e leader della famiglia formiana-casertana – fazione apparentemente perdente nella scontro con l’ala casalese di Schiavone/Iovine/Bidognetti/Zagaria – sia sull’omicidio presunto e mai accertato del fondatore del clan dei Casalesi, Antonio Bardellino.
L’abitazione al Villaggio del Sole è nella disponibilità di un uomo che l’ha ereditata dal fratello, morto in un incidente stradale, il quale a sua volta l’aveva acquisita da Ferrucci. Sia l’uomo che la moglie sono stati condotti in caserma dalle Forze dell’Ordine, senza tuttavia essere stati arrestati. La casa è stata al centro, in passato, di diversi misteri, tutti legati al boss fondatore dei Casalesi, Antonio Bardellino, che si sospettava essere ancora vivo, almeno fino al 2018. C’è chi giura che lo stesso Bardellino vi sarebbe pure entrato nel passato: o lui o la sua compagna. Misteri che si aggiungono ad altri misteri.
Le perquisizioni di ieri, inoltre, hanno interessato la zona di Vindicio, Minturno, Gaeta, e sono stati raggiunti dalle forze dell’ordine altri pregiudicati e componenti della famiglia Bardellino.
Secondo un articolo pubblicato su “cronachedì” da Giuseppe Tallino, sul caso Bardellino c’è anche la DDA di Napoli con una inchiesta del sostituto procuratore Vincenzo Ranieri. A dare benzina agli inquirenti partenopei c’è il collaboratore di giustizia Vincenzo D’Angelo. Dopo la maxi operazione di DDA di Napoli e Carabinieri di Caserta nei confronti dei clan Bidognetti e Schiavone, avvenuto a novembre 2022, come noto, D’Angelo, marito delle figlia minore di Francesco Bidognetti detto “Cicciotto e’ mezzanotte”, storico capo clan dei Casalesi, ha scelto di collaborare con lo Stato dopo l’arresto. E D’Angelo, da dicembre scorso, ha riempito pagine di verbali che probabilmente sono stati valorizzati anche nel blitz di ieri.
L’inchiesta della DDA di Napoli, secondo “cronachedì”, ha evidenziato un patto tra bardelliniani e casalesi e il nuovo gruppo mafioso vedrebbe la presenza di Calisto Bardellino, 53enne di Formia, e proprio Gustavo Bardellino (quello attinto dai colpi d’arma da fuoco a febbraio 2022), 43enne, rispettivamente figli di Ernesto e Silvio (non indagati). Oltreché a loro, tra i pezzi grossi del gruppo, sulla sponda casalese nel casertano, Romolo Corvino, 56enne, e Vincenzo Di Caterino, 39enne, detto ‘o piattar.
I due cugini Bardellino, secondo la Procura napoletana, sarebbero gli organizzatori della compagine, collegata ai Casalesi, attiva nella zona di Formia e del basso Lazio. In sostanza, i Bardellino controllerebbero il sud pontino, così come ventilato anche da altri collaboratori di giustizia come Giuseppe Basco e Agostino Riccardo. Questo nuovo gruppo, ovviamente, si nutrirebbe di interessi illegali, dalla droga all’usura, fino al reinvestimento dei soldi in attività legali come il settore delle automobili e dell’immobiliare.
Ecco perché, ieri, la Direzione Investigativa Antimafia, su ordine della Procura di Napoli, ha perquisito le abitazioni dei quattro – i due Bardellino, Corvino e Di Caterino – e altri soggetti ritenuti vicini alla famiglia trapiantata a Formia.
Calisto Bardellino, secondo il pentito D’Angelo, sarebbe “il personaggio più rilevante della famiglia”. “Avrebbe dovuto vendicare la sua famiglia se avesse voluto riaffermare il suo potere”, dice D’Angelo alla Direzione Distrettuale Antimafia. “So che i Bardellino potevano ad esempio rilevare attività economiche nei territori di Formia, Sperlonga, Gaeta, Scauri e Minturno, ma solo se tali attività non erano di interesse degli Schiavone. Mi risulta, in quanto dettomi da Katia Bidognetti (nda: la cognata di D’Angelo e come noto residente a Formia), che i Bardellino potevano muoversi come clan autonomo, ma sempre senza disturbare gli Schiavone”. E a confermare gli interessi criminali dei Bardellino ci sarebbe anche il collaboratore di giustizia Antonio Lanza il quale, come capozona per i Bidognetti nell’area di Lusciano, scoprì che per estendere gli interessi del business della droga sul litorale pontino bisognava prima parlare con i Bardellino.
Insomma, secondo quanto emerge, si andrebbe concretizzando quanto ventilato e anche scritto, ma solo suggestivamente, in tutti questi anni: i Bardellino, dopo essere rifugiati a Formia nell’ambito di una apparente sconfitta con l’ala del clan dei Casalesi di Schiavone and Co, avrebbero di nuovo stretto i rapporti con i medesimi eredi dei Casalesi, quelli sopravvissuti agli arresti dei capi, e avrebbero messo in piedi una onorata società nel sud pontino.
Tuttavia, l’ipotesi del nuovo abbraccio mafioso tra Bardellino e i “nuovi” Casalesi non è l’unica pista su cui indagherebbe la DDA, senza contare che sulla famiglia formiana hanno lavorato negli ultimi anni anche la Squadra Mobile e il Nucelo Investigativo dei Carabinieri pontini.
Per fare luce sull’altra questione aperta, si deve tornare alla perquisizione nella casa che fu di Ferrucci, quella ubicata al Villaggio del Sole a Formia. Infatti, i detective indagano anche sulla misteriosa morte del capostipite, Antonio Bardellino, ufficialmente ucciso nel 1988 da Mario Iovine. Una versione che non ha mai convinto.
Gli investigatori sono ripartiti, secondo quanto scrive “cronachedì”, da un vecchio reperto: una foto che ritrae un uomo a mezzo busto trovata dalla Squadra mobile di Latina il 24 novembre 2011 nella disponibilità del formiano Angelo Bardellino (all’epoca coinvolto nell’operazione di polizia “Golfo”, con tanto di arresti e sequestri milionari, ma poi finita in una bolla di sapone). I poliziotti sequestrarono la foto in occasione proprio dell’arresto di Angelo Bardellino, figlio di Ernesto e nipote di Antonio, successivamente condannato per estorsione commessa a Formia (processo scaturito dall’inchiesta “Formia Connection”). La polizia scientifica avrebbe comparato quella foto a mezzo busto con la foto segnaletica del boss (quella pubblicata in questo articolo come foto di copertina) e l’analisi avrebbe dato esito positivo: ossia “compatibilità totale” tra le due immagini, quella che ritrae l’ignoto e quella ufficiale di Antonio Bardellino. Quest’ultimo, quindi, se vivo nel 2011, non sarebbe stato quindi assassinato nel 1988 come certificato dalla sentenza Spartacus nel 2005.
Inoltre, a parlare agli agenti della Squadra Mobile di Latina rispetto alla presenza di Bardellino vi sarebbe stato anche Giuseppe Favoccia, 70enne di Formia. Per la precisione, ad 4 agosto 2015, l’uomo raccontò agli agenti della Digos di aver incontrato Antonio Bardellino “presso lo scalo aeroportuale di New York”, dove aveva accompagnato la figlia di Ernesto Bardellino. Poi, nel 2017, Favoccia, sempre agli agenti della Mobile, avrebbe raccontato che Bardellino si era spostato tra il Paraguay e l’Uruguay, per interessi nel settore ittico. Un racconto credibile visto che Favoccia aveva fatto un viaggio nella Grande Mela proprio nel 2010.
Sul lato delle foto che accerterebbero la presenza di Antonio Bardellino, ci sarebbe anche una immagine datata 2007 e trovata in un covo del fratello Ernesto Bardellino, analizza e ritenuta compatibile col Nucleo speciale frodi tecnologiche della guardia di finanza.
Una cosa è certa: Antonio Bardellino, fondatore del Clan dei Casalesi, il cui cadavere mai fu trovato in Brasile dove era latitante, resta un mistero. Ad accrescerlo c’è il fatto che solo nel 2018 i famigliari chiesero alla giustizia di dichiararne la morte presunta, eppure il suo omicidio era datato nel 1988, l’anno in cui la storia giudiziaria ci dice essere stato ucciso da Mario Iovine (poi ucciso a sua volta in Portogallo, nel 1991) con l’appoggio degli eredi casalesi Francesco Schiavone e Vincenzo De Falco. Perché aspettare 30 anni? E se Antonio Bardellino fosse morto, serenamente, dopo un accordo stretto con Sandokan, Capastorta e gli altri Casalesi, per garantire alla sua famiglia la pace mafiosa? Tu fai finta di passi per morto, noi gestiamo gli affari da Casal de Principe e la tua famiglia prospera nel sud pontino. Una ipotesi certamente, ma quell’incursione nella casa del passato al Villaggio del Sole non può essere solo una delle tante perquisizioni realizzate ieri.