Operazione “Status Quo”: condannata Maria Grazia Di Silvio per tentata estorsione. Riconosciuta aggravante mafiosa
Il collegio del Tribunale di Latina, presieduto dal giudice Gian Luca Soana – a latere i giudici Fabio Velardi e Francesco Coculo – ha condannato alla pena di 4 anni e 8 mesi di reclusione Maria Grazia Di Silvio la quale, in ragione della condanna, rimane in carcere. I reati sono quelli di tentata estorsione con l’aggravante mafiosa (4 anni) e spaccio di sostanze stupefacenti (8 mesi).
“Graziella” Di Silvio, difesa dall’avvocato Giancarlo Vitelli e giudicata col rito abbreviato condizionato alla testimonianza della sua vittima, era accusata di aver estorto un gestore di una pompa di benzina in Via Epitaffio, a Latina, dopo averlo accusato di aver parlato con gli inquirenti in merito a una serie di precedenti estorsioni messe in atto, negli anni, contro di lui dai figli Angelo e Salvatore Travali e affiliati del clan. Uno spaccato che, secondo quanto raccontato dal pentito Agostino Riccardo, si sarebbe reiterato nel tempo e cronicizzato per 20 anni.
Episodi che invece non furono denunciati dal benzinaio e che sono contestati nel processo “Reset”: in sostanza i membri del clan si rifornivano di benzina senza pagare. Nella scorsa udienza, il benzinaio, accompagnato dai Carabinieri, aveva reso il suo interrogatorio pungolato dalle domande del Pm Spinelli e dal controesame dell’avvocato difensore Vitelli. In aula, tra il pubblico, anche due parenti della Di Silvio i quali, dopo poco, sono andati via.
Il benzinaio aveva spiegato di gestire il proprio distributore in Via Epitaffio, vicino alla casa che fu di Vera Casamoneco, la sorella del padrino Vittorio Casamonica, e madre di Maria Grazia Di Silvio, nonché nonna dei Travali. Da sempre conosce la famiglia di origine rom e, come aveva spiegato lo scorso 12 maggio nel processo “Reset” (dove è anche lì testimone), da sempre, pur tentando di minimizzare, ha subito le tracotanze di Travali e affiliati che la metà delle volte che venivano a rifornirsi di benzina non pagavano.
Oggi, 7 giugno, nel corso della requisitoria, al termine della quale il Pm della Procura/DDA di Roma, Luigia Spinelli, ha chiesto una condanna per Maria Grazia Di Silvio a 5 anni e 4 mesi, l’accusa ha evidenziato che l’imputata si recò presso il distributore di benzina all’indomani dell’esecuzione della maxi ordinanza denominata “Reset”, che contesta al Clan Travali/Di Silvio l’associazione mafiosa, in ragione anche delle dichiarazioni dei suoi due ex affiliati, ora collaboratori di giustizia, Renato Pugliese e Agostino Riccardo.
Era il 18 febbraio 2021 quando Maria Grazia Di Silvio, arrivando dal benzinaio, cercò di pretendere prima la somma di 2mila euro, poi quella di 1000 euro. Il Pm Spinelli ha ricostruito il quadro in cui Di Silvio pretendeva quei soldi, sostenendo che la madre dei Travali, tramite quella azione, voleva sostanzialmente affermare due condizioni: veicolare il messaggio che gli arresti “non ci fanno niente e se denunci mi dai anche i soldi” e ripristinare il clima intimidatorio che in quegli anni aveva visto sempre soccombere il benzinaio.
Per la DDA, il clan Travali/Di Silvio è un clan e a riprova di ciò il Pubblico Ministero ha fatto valere anche la sentenza, emessa col rito abbreviato, nei confronti di un affiliato di peso come Francesco Viola, già condannato per i fatti emersi con l’inchiesta “Reset”. E in questo contesto mafioso, la richiesta dei soldi di Maria Grazia Di Silvio a una vittima storica del clan è un messaggio con cui la donna voleva stabilire che chiunque parla viene punito e deve pagare. Così come successo al tabaccaio di Latina, Marco Urbani, gambizzato e per il cui fatto sono stati condannati, col rito abbreviato, sempre nel medesimo procedimento odierno denominato “Status Quo”, Angelo Travali e l’ex cognato di Graziella, Mohamed Jandoubi. Riconosciuta anche in quel caso l’aggravante mafiosa. Peraltro, la gambizzazione fu messa in atto proprio perché, secondo la DDA, il tabaccaio, sette anni prima, rispetto al 2015 quando fu raggiunto dai colpi d’arma da fuoco in pieno pomeriggio e a due passi dallo Stadio del Latina Calcio, aveva denunciato Maria Grazia Di Silvio a causa di una estorsione.
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Per quanto riguarda l’episodio per cui oggi “Graziella” Di Silvio è stata condannata, sia il Pm che le parti civili – Associazione antimafia “Antonino Caponnetto” e Comune di Latina, a cui sono state riconosciute dal Tribunale le somme di risarcimento per 4700 euro ciascuno – hanno sottolineato che non vi è stata quasi una minaccia esplicita, proprio perché la nomea del clan di appartenenza faceva in modo che i cittadini cedessero subito. Di Silvio si spinse solo a dire al benzinaio “Dovemo anna’ oltre?” quando quest’ultimo si rifiutò di acconsentire alla richiesta di denaro. Più contenuta la condanna per l’episodio di spaccio di stupefacenti (8 mesi) avvenuto al piano 11 dei Palazzoni di Via Nervi, vale a dire l’appartamento da cui la figlia Valentina Travali spacciava e in cui è stata immortalata nel famigerato video rap che inneggiava ai fratelli carcerati Angelo e Salvatore Travali.
Niente da fare, invece, per la difesa di Di Silvio, rappresentata dall’avvocato Vitelli, il quale aveva chiesto l’assoluzione per entrambi i capi di imputazione, stabilendo che al massimo, per la tentata estorsione, si sarebbe potuto configurare il reato di violenza privata.
Alla fine, quella che è stata definita dal Pm una “condotta gravissima di Maria Grazia Di Silvio volta ad affermare la forza di intimidazione del clan” ha prodotto l’ennesima condanna ai danni di un sodalizio che tutti a Latina hanno imparato a conoscere.
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