Arriva l’ok del Consiglio Comunale alla mozione del PD che chiede al governo di cessare la vendita di armi allo Yemen, un’iniziativa lodevole ma del tutto inefficace.
LA MOZIONE
L’atto chiede al Governo gialloverde di avviare una riconversione del comparto bellico sostituendolo con un non precisato settore industriale, oltre che il rispetto delle norme internazionali in materia di vendita di armi perché, secondo i firmatari e il consiglio comunale, armi prodotte in Italia transiterebbero nello Yemen in cui è in corso una guerra.
Tutto molto bello, se non fosse che la mozione è un atto meramente formale, e che la vendita di armi all’Arabia Saudita non si può fermare.
La legge a cui fa riferimento la mozione è la 185 del 1990 che regola il mercato di armi in uscita dall’Italia, e che vieta la vendita di armi a Paesi in cui sono state certificate ufficialmente da un organismo internazionalmente chiare violazioni dei diritti umani.
La RWM, azienda tedesca con sede in Italia e che opera nella provincia sarda di Carbonia-Iglesias, vende bombe all’Arabia Saudita che le usa per bombardare la parte dello Yemen che, guidata dai ribelli Houthi, si è rivoltata contro il governo centrale filosaudita.
CHI SONO GLI HOUTHI
Gli Huthi (o Houthi) sono un gruppo armato di matrice sciita filoiraniana, vicino al partito armato libanese di Hezbollah, che nel 2011 diede vita ad una rivolta armata contro il governo filosaudita dello Yemen.
Dopo il fallimento della conferenza del dialogo avviata dai principali stati del golfo, l’Arabia Saudita ha creato una coalizione di nove stati impegnata al fianco del governo yemenita in una tremenda guerra civile contro gli huthi. Diverse organizzazioni internazionali hanno accusato la coalizione saudita di attacchi indiscriminati perpretati ai danni di civili inermi (diventato famigerato il bombardamento con elicottero ad un funerale).
LA VENDITA DI ARMI SI PUÒ FERMARE?
Nello specifico, la componentistica, dopo essere stata costruita in Sardegna, parte dal porto di Genova fino ad arrivare nel golfo arabico, dove viene assemblata insieme ad altri componenti che formano l’interezza della bomba.
La vendita è perfettamente legale perché, di fatto, non si vendono armi ma componentistica. Si può ovviamente discutere dal punto di vista politico ed etico riguardo alla vendita di componenti che contribuiscono alla costruzione di armi, ma dal punto di vista meramente tecnico la mozione votata in Consiglio Comunale non tiene conto di questa scorciatoia legale, e pertanto è completamente inutile.
Come dimostra un incredibile Leak di qualche anno fa, che ha fatto scalpore in tutto il mondo, i componenti delle armi arrivano negli Emirati Arabi Uniti (non in Arabia Saudita) dove vengono assemblati e inviati a Jeddah (città dell’Arabia Saudita).
Il video (sopra) mostra come l’assemblaggio dei componenti delle bombe avvenga in uno stabilimento, Burkan, sito ad Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti.
LA PAROLA AL GOVERNO
“Credo che il problema di base sia ormai abbastanza chiaro a tutti. Non esiste una norma perfetta. Il caso più discusso, quello della vendita di armi all’Arabia Saudita, che finiscono in Yemen, ad esempio, è un caso eclatante; oppure penso al caso dell’azienda sarda Rwm.
La norma oggi è al cento per cento rispettata e ha dei paletti chiari che riguardano i Paesi con chiara violazione dei diritti umani, situazione che deve essere, però, certificata da un organismo terzo, ad esempio le Nazioni Unite.
Non è il caso dello Yemen, ad esempio, dove abbiamo rapporti soltanto di organizzazioni non governative, seppur assolutamente veritieri, dal mio punto di vista. Quello di Rwm è un altro caso specifico: la triangolazione intraeuropea della vendita di componenti fa sì che l’armamento finale, assemblato, possa andare, tramite altri Paesi, a Paesi ai quali magari noi non venderemmo.
Credo che la questione possa essere risolta non tanto tecnicamente, quanto attribuendo alla vendita di armi una responsabilità politica. Ripeto: è la mia umile visione. La modifica fatta nel 2012, se non erro, della legge n. 185 del 1990, che toglieva il Comitato politico dalla firma degli appalti di vendita, ritengo sia stato un errore.
Credo che non si possa lasciare a un diplomatico, in questo caso, della UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento) alla Farnesina la responsabilità – tra l’altro, è una responsabilità limitata, poiché applica la legge e firma quello che c’è da firmare – di valutare anche il contesto politico.
Credo che un organo politico possa, nel caso contingente, ad esempio, dell’Arabia Saudita, valutare che, al di là della conclamata violazione, l’Italia possa per sei mesi, un anno sospendere le forniture, un po’ come ha fatto la Germania fino a gennaio”.
LA DENUNCIA POLITICA
Sia chiaro, la denuncia che è stata fatta tramite questa mozione a firma PD ed immediatamente sottoscritta dalla maggioranza LBC è pienamente condivisibile, anche se imprecisa e sbagliata dal punto di vista tecnico.
Forse sarebbe il caso che il Consiglio Comunale si occupi di questioni impellenti per i cittadini di Latina, o almeno che si prodighi a denunciare con più precisione quello che è uno stratagemma che consente ad un’azienda tedesca con sede italiana di vendere morte in una zona del mondo già martoriata da eterni conflitti etnico/religiosi come il Medioriente.