Caso Karibu-Aid, il Tribunale del Riesame di Latina ha respinto il ricorso di Marie Therese Mukamitsindo e i del figlio Michel Rukundo
Il collegio dei giudici del Riesame di Latina, presieduto dal giudice Gian Luca Soana, ha respinto i ricorsi presentati dalla fondatrice della coop Karibu, Marie Therese Mukamitsindo, e dal figlio Michel Rukundo, assistiti dagli avvocati Luca Marafioti e Fabio Pignataro.
Mukamitsindo e il figlio Rukindo chiedevano la revoca della misura disposta dal Giudice per le indagini preliminari, Giuseppe Molfese, in riferimento ai sequestri subiti nell’ambito dell’indagine della Guardia di Finanza: alla donna sono stati posti i sigilli per un valore equivalenti di quasi 640mila euro, al figlio 13mila euro.
Diversa la strategia per la figlia della fondatrice e moglie del deputato Aboubakar Soumahoro, Liliane Murekatete, difesa dall’avvocato Lorenzo Borrè, che ha rinunciato a presentare ricorso. Il 6 febbraio, invece, presso il riesame di Roma, saranno discussi i ricorsi di Mukamitsindo e Rukundo in ordine all’altra misura interdittiva: ossia la sospensione di lavorare con la pubblica amministrazione applicata sempre dal Gip Molfese.
Strategie separate così come, a dicembre, da separati si erano presentati in Tribunale a Latina per l’interrogatorio di garanzia. Da una parte Marie Therese Mukamitsindo e il figlio Michel Rukundo, dall’altra Liliane Murekatete.
Tutte e tre devono rispondere dei reati fiscali che hanno comportato il provvedimento di applicazione di misure cautelari interdittive del divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione e di esercitare imprese e uffici direttivi di persone giuridiche, per la durata di 1 anno; oltreché a un sequestro da oltre 650mila euro, di cui 639.455,28 euro nei confronti di Muakmitsindo.
Insieme a loro risultano indagati anche l’altro figlio di Mukamitsindo, Richard Mutangana, oltreché a Ghislaine Ada Ndongo e Christine Ndyanabo Koburangyira, legali rappresentanti delle società satelliti di Karibu.
Da parte della fondatrice della cooperativa Karibu e del figlio, assistiti dagli avvocati Luca Marafioti e Fabio Pignataro, nessuna risposta al Giudice per le indagini preliminari, Giuseppe Molfese, che ha firmato l’ordinanza che prevede le due misure che hanno colpito i tre indagati nell’indagine portata avanti dal Nucleo Pef della Guardia di Finanza di Latina e dalla Procura, con il coordinamento dei sostituti Andrea D’Angeli e Giuseppe Miliano. Entrambi i due indagati si erano avvalsi della facoltà di non rispondere.
Anche nel merito è stata diversa la strategia difensiva per Liliane Murekatete. Parole ridotte all’osso per la moglie del deputato di Sinistra Italiana e Verdi, Aboubakar Soumahoro, e una lunga memoria presentata da parte dell’avvocato Lorenzo Borrè.
La donna, accusata di evasione fiscale, insieme a madre e fratello, ha negato ogni addebito. Il suo avvocato ha deposito certificati medici che attestano il suo stato di gravidanza all’epoca dei fatti contestati, oltreché a screenshot con messaggi che dimostrerebbero di come la donna non stesse lavorando attivamente nella cooperativa Karibu. L’avvocato Borré ha comunque dichiarato di avere depositato istanza al Tribunale del Riesame contro l’ordinanza che impone l’interdizione alla sua cliente.
Alla fine, il Gip Giuseppe Molfese, dopo il parere negativo del Pm Andrea D’Angeli, aveva respinto la richiesta di revoca della misura interdittiva e del sequestro presentata dal legale di Liliane Murekatete. Per la donna, il Gip Molfese ha motivato il rigetto dell’istanza di revoca perché ha continuato a prendere lo stipendio, intorno ai 40mila euro all’anno, anche durante la gravidanza e nei periodi in cui la moglie del deputato Soumahoro sostiene di non aver avuto ruoli gestionali all’intero della cooperativa. Al contrario, secondo il Gip Molfese, Murekatete ha partecipato attivamente al meccanismo fraudolento contestato anche ai famigliari. Come prova portata dalla Procura, c’è anche una firma apposta da Murekatete il 28 maggio 2019, in qualità di socia di Karibu, davanti a a un notaio di Latina. Una firma che, in seguito, è stata contestata in quanto una ex dipendente ha sostenuto di averla apposta lei stessa.