Gli assessori della Giunta Coletta, Gianmarco Proietti e Cristina Leggio sul video che inneggia al Clan Travali: “I giovani hanno il diritto di sbagliare. E gli adulti il dovere di essere credibili”. Di seguito la lettera aperta dei due Assessori che hanno la rispettiva delega della Pubblica Istruzione e delle Politiche Giovanili
“Abbiamo visto, come molti altri, il video Rap di sostegno alla famiglia Travali e abbiamo scelto, insieme, di condividere una riflessione che ci consenta, come adulti, di rallentare e comprendere.
Non abbiamo l’intento di suscitare né sensi di colpa né avanzare una responsabilità generazionale che significherebbe, in entrambi i casi, evitare il problema. Né vogliamo proporre oggi soluzioni o risposte puntuali, perché sappiamo sarebbero quantomeno inefficaci. E nel dire questo vorremmo davvero non apparire evitanti, soprattutto per la responsabilità politica che ci impone almeno la condivisione di un ragionamento.
Noi pensiamo che i giovani abbiano sempre ragione, anche quando hanno torto.
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È per noi rischioso dirlo e anche molto difficile oggi guardando quel video, ascoltando quel testo rap, guardando quei bambini (ci sono anche bambini nel video) e adolescenti inneggiare al potere di un clan, alla violenza, all’omertà, ai soldi facili.
Vogliamo dunque allontanarci dal caso singolo in questione per proporre una riflessione più generale sul rapporto con gli e le adolescenti, cercando proprio di argomentare perché i giovani abbiano sempre ragione.
Spesso gli adulti più evidentemente sensibili vorrebbero capire quelle ragioni, anche quando sono espresse in un video che fa paura, dove il branco ghigna e mostra i denti. Ci si dimentica però di un aspetto molto evidente che si può recuperare dai ricordi o dalla letteratura: gli adolescenti non ci chiedono di essere compresi. Loro hanno bisogno di essere rispecchiati e di trovare, nella relazione con gli altri, la possibilità di definirsi ed integrarsi, in un tempo difficile e in un corpo che cambia nella forma e nelle capacità. E l’adolescente protegge bene questa sua fragilità, la dissimula anche. Crediamo infatti che l’adolescente – che ha difficoltà a fare i conti con se stesso e non ha ancora così chiaro chi è – non parla di sé ben volentieri come l’adulto che, al contrario, ha bisogno di narrare subito i propri tormenti. Piuttosto gli adulti devono conoscere la complessità di quel loro mondo in trasformazione, del tumulto che accompagna un’identità che entra in crisi e che oggi, fortemente, fa i conti con un profondo senso di inadeguatezza e per la prima volta spesso con la fallibilità dei propri sogni.
Ma ci chiediamo, è davvero solo una questione educativa?
In un tempo in cui abbiamo ansia di voler comunicare davvero tutto di noi, dove i social sono sempre più popolati da adulti, prossimi all’età senile, inesperti di tecnologie e senza rispetto di alcun confine, gli adolescenti urlano il loro essere, anzi, il loro esserci, marcando una differenza, come è nella loro natura umana e come hanno sempre fatto dando voce al loro dissenso o al loro dolore, con silenzi o parole più o meno composte. E comunque in quel mondo virtuale loro, più che noi, vivono pienamente e realizzano parti ormai essenziali del loro processo di integrazione. E gli adulti dovrebbero percepire queste differenze e queste fragilità e, restando nel mondo degli adulti, contrapposto, porsi domande di senso e pensare a come essere modelli credibili ai quali quei giovani possano scegliere di rivolgersi, per rispecchiarsi o aggrapparsi, se ne sentono il bisogno.
E invece c’è un mondo degli adulti che rimane indifferente, un altro che fa di tutto per capire e si sente in colpa, un altro che immagina la punizione esemplare ed un altro, che si intravede anche nel video, cinico e arrogante, che sfrutta, plagia e conta i soldi: tutti mondi non solo ugualmente incapaci di prevenire il disagio che viene così chiaramente comunicato, ma purtroppo, volenti o nolenti, capaci anche di causarlo.
Consapevoli anche del mondo criminale che probabilmente c’è dietro il video, vorremmo argomentare che ogni luogo educativo, sia esso il cortile di un oratorio, l’aula di una scuola, la cucina di un appartamento o la piazza di un quartiere, non deve essere il laboratorio per forgiare i giovani che gli adulti vorrebbero, ma dovrebbe essere uno spazio libero di elaborazione di sé, dove, con l’aiuto di adulti responsabili, l’adolescente si possa sentire libero di crescere esternando ciò che di positivo e di faticoso ha dentro di sé. E di quei giovani del video si dirà tanto, ma nessuno potrà dire che siano liberi.
Dalla nostra posizione, però, vediamo educatori spaventati, ossessionati dal controllo, pronti a lamentarsi delle nuove generazioni e a ragionare sulla pena da infliggere, sia essa il voto in meno in comportamento, il sequestro della Play per una settimana o le settimane di carcere duro da proclamare. Oppure adulti interessati ma esasperati nel tentativo di comprendere, capire, ragionando di povertà educativa o di contesti emarginalizzanti. Ne troviamo pochi, invece, attenti a comunicare consapevoli che potrebbero non avere una risposta immediata perché la relazione educativa è, per sua natura, asimmetrica e non cerca reciprocità.
Crediamo che posta in questi termini la questione possa assumere una valenza squisitamente politica e, come questione politica, è una questione che mette in discussione il nostro concetto di democrazia.
La nostra democrazia oggi è competitiva, fondata sul consenso, opportunisticamente utile al government. Il cittadino, sia esso bambino, adolescente, giovane o adulto, è trattato come pari, oggetto di interesse se può rispondere immediatamente restituendo consenso diretto o indiretto. E la questione è invece affrontare il rapporto della politica con il dissenso e con le sue espressioni, più o meno corrette e strutturate se non addirittura estreme. Per costruire una relazione educativa a fondamento della complessità democratica, dovremmo necessariamente cambiare prospettiva, costruire un sistema deliberativo, non competitivo, dove ognuno è importante per quel che è e non per quanti rappresenta. E quindi elaborare luoghi educativi in cui ognuno possa essere libero di esprimersi e trovare nelle relazioni con gli altri un credibile incontro. Ognuno, sia esso bambino, adolescente o adulto, uomo o donna. Dunque la costruzione di processi intermedi necessari (non utili) alla governance e non al government: questo è ciò che è insito in quel concetto di partecipazione, di amministrazione condivisa, che sta alla base dell’Economia Civile, forse la risposta attuale più intelligente e integrale, ma probabilmente non con risultati immediati, ai disagi della contemporaneità.