La relazione relativa al secondo semestre 2018 della Direzione Investigativa Antimafia presentata alle Camere nei giorni scorsi parte da un dato comune, ovvero che “nel tempo, le cosiddette mafie “tradizionali” hanno sintetizzato il proprio potenziale criminale coinvolgendo ed integrando l’ampio bacino della “malavita romana” con le reti di corruzione che attraversano obliquamente diversi segmenti del tessuto socio-economico romano”.
Con uno sguardo più preciso al territorio regionale laziale “sono state, infatti, nel tempo registrate consolidate presenze di camorra, di ‘ndrangheta e di Cosa nostra, che mantengono i legami con il territorio d’origine e che, allo stesso tempo, agiscono relazionandosi tra di loro e con le organizzazioni criminali autoctone”. Come già era stato segnalato nella relazione del primo semestre 2018, è stato accertato che sul litorale di Anzio e Nettuno “insistono le cosche di Guardavalle (CZ), in sinergia con esponenti delle famiglie Romagnoli-Cugini di Roma e Andreacchio di Nettuno, gruppi per lo più dediti al traffico di stupefacenti. A questo proposito, nel mese di febbraio la Guardia di Finanza ha sottoposto a sequestro il patrimonio mobiliare ed immobiliare, del valore stimato di oltre 800 mila euro, nei confronti di alcuni soggetti operanti nei comuni di Anzio e Nettuno, contigui alle menzionate cosche di Guardavalle”.
Quadro che sostanzialmente resta stabile per tutto l’anno soprattutto perché, secondo quanto sottolineato dalla Dia “il territorio della Capitale e della provincia costituisce un centro d’interesse ove le consorterie di tipo mafioso tradizionali hanno proiettano le proprie mire criminali, con convergenze di interessi che non di rado hanno visto collaborazioni tra gruppi di diversa matrice. Questa sinergia, in particolare nel settore della spaccio di stupefacenti, è stata recentemente confermata dall’operazione “Gallardo” – condotta nel marzo 2018 dall’Arma dei carabinieri, con la cattura di 19 soggetti – che ha accertato l’operatività di due organizzazioni, una di origine campana e l’altra calabrese, tra loro collegate, dedite al traffico di stupefacenti a Roma ed in parte della provincia”.
Secondo quanto emerso nel corso delle indagini che hanno portato agli arresti, infatti, “l’organizzazione campana si occupava della gestione di una piazza di spaccio situata nel quartiere San Basilio e della fornitura di stupefacente nella zona di Nettuno. La stessa faceva capo alla famiglia Esposito, già organica al clan Licciardi di Napoli, trasferitasi a Nettuno alla fine degli anni ‘90, per poi spostarsi, tra il 2005 ed il 2006, a Roma. Il riferimento della compagine ‘ndranghetista, invece, era un pregiudicato romano che agiva per conto delle famiglie Filippone e Gallico, originarie della provincia di Reggio Calabria, ma presenti anche nella Capitale. La piazza di spaccio era strutturata secondo un modello tipico della camorra, ossia con capi piazza, vedette ed una serie di pusher, obbligati a rifornirsi di droga esclusivamente dai due fratelli: veniva anche garantita l’assistenza legale agli affiliati arrestati”.
Nel sud della provincia di Roma è stata registrata, dunque, “la presenza e la coesistenza di fenomenologie criminose di diversa matrice, tra le quali rilevano in modo particolare proiezioni della camorra e della ‘ndrangheta che, pur mantenendo legami con il territorio d’origine, non disdegnano relazioni con altre compagini criminali anche autoctone. Per la camorra, una delle ragioni di tale radicamento è costituito dalla contiguità geografica con la Campania. L’area principalmente interessata da presenze di clan appare quella costiera, sino al litorale pontino, con investimenti nella gestione di sale giochi, nelle agenzie immobiliari e nelle società di servizi finanziari, con interessi anche negli appalti pubblici per lo smaltimento di rifiuti, la realizzazione di opere edili e l’estrazione di materia prima dalle cave”. La Dia sottolinea che “l’infiltrazione nell’area, storicamente risalente, è stata rilevata dalla “Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere” della XVII Legislatura che, nella già citata Relazione conclusiva definisce “…assai preoccupante la situazione nei comuni di Nettuno e Anzio, nella parte meridionale della provincia di Roma…”, interessata nel tempo dalla presenza di una proiezione della cosca Gallace di Guardavalle (CZ).
In merito da rilevare poi, per quanto attiene alle sinergie criminali, come la citata proiezione della cosca Gallace abbia operato nell’ambito di un’intesa, accertata sin dal 2013, con le famiglie Romagnoli di Roma e Andreacchio di Nettuno, per lo più attive nel traffico di stupefacenti”. Il tutto viene confermato da dati più recenti, tanto da confermare “l’attualità delle presenze. Nel febbraio 2017, la Guardia di finanza ha sottoposto a sequestro il patrimonio, del valore stimato di oltre 800 mila euro, riconducibile ad alcuni soggetti pregiudicati per reati di mafia, operanti nei comuni di Anzio e Nettuno e ritenuti contigui alla menzionata cosca di Guardavalle. Sempre nell’area del comune di Nettuno, come sopra riportato, alla fine degli anni ‘90 si erano già insediati alcuni componenti apicali del clan camorristico Esposito”. Emblematica fu l’operazione “Sfinge” del 2010 che aveva portato alla luce “l’operatività di un’organizzazione camorristica, alleata del clan dei Casalesi, che aveva riproposto il modello criminale tipico del casertano per conseguire il controllo delle attività economiche nelle zone di Latina, Aprilia, Anzio e Nettuno”.
Le attività investigative non hanno mai smesso di andare avanti e nel 2014 si è arrivati ad altri due operazioni, “Mithos” e “Appia II” che portarono alla luce la presenza sui territori di Anzio e Nettuno “della cosca calabrese Gallace, vicende a cui si ricollega il successivo scioglimento, nel 2005, del Comune di Nettuno per infiltrazione mafiosa e inquinamento dell’azione amministrativa. La citata proiezione della cosca ha operato sinergicamente nelle attività illecite, accertata sin dal 2013 con le operazioni “Venusia” – che portò ad un decreto di fermo di indiziato di delitto nei confronti di dieci persone, ritenute responsabili di far parte di una organizzazione capeggiata da un esponente di spicco della cosca Gallace con interessi a Nettuno nel mercato della droga – e l’operazione “Caracas” – che accertò che la citata organizzazione era coinvolta in un traffico internazionale di stupefacenti effettuato avvalendosi anche dell’apporto di un gruppo di dipendenti od ex dipendenti di compagnie aeree e dei servizi aeroportuali, operanti presso lo scalo di Fiumicino, che ritiravano i carichi di droga provenienti dal Sud America – con le famiglie Romagnoli di Roma e Andreacchio di Nettuno, per lo più attive nel traffico di stupefacenti. Infine, nel 2017, veniva colpita da un sequestro del valore stimato di oltre 800 mila euro”.
Gli inizi del 2019 non sono cambiati molto, come testimonia la relazione del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma, che durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario ha dichiarato “…che anche l’area limitrofa a Roma e il basso Lazio, costituiscono, anche dal punto di vista mafioso, il teatro di una presenza soggettivamente plurima ed oggettivamente diversificata, a carattere certamente non monopolistico. Non c’è un solo soggetto in posizione di forza e dunque di preminenza sugli altri, ma sullo stesso territorio coesistono e interagiscono diverse soggettività criminali…una composita galassia criminale”.