TOSELLI DIVENTA SUPERTESTIMONE PER LA MORTE DI UN DETENUTO IN CARCERE

TOSELLI DIVENTA SUPERTESTIMONE PER LA MORTE DI UN DETENUTO IN CARCERE

Roberto Toselli
Roberto Toselli

Il giallo della morte di un detenuto al Mammagialla di Viterbo finisce nella trasmissione “Le Iene” con un testimone pontino

A parlare, nel corso dell’inchiesta andata in onda sul noto programma televisivo di Italia Uno “Le Iene”, firmata da Alessandro Sortino e Veronica Di Benedetto Montaccini, è un “supertestimone” molto conosciuto a Latina: si tratta del 34enne Roberto Toselli, volto noto alle cronache giudiziarie per diversi aspetti.

Il nodo dell’inchiesta sulla morte del detenuto 36enne Andrea Di Nino, romano, morto al Mammagialla di Viterbo il 21 maggio 2018 potrebbe essere stato sciolto dalla testimonianza di Toselli. Il condizionale è d’obbligo visto il passato di Toselli che, per altre testimonianze nell’ambito degli interessi del clan pontino dei Travali, ha più volte ritrattato quanto aveva detto in precedenza.

“Non si è impiccato. L’hanno ucciso. L’ho visto io, ero lì”, ha detto Roberto Toselli, all’epoca detenuto e vicino di cella di Andrea Di Nino, ai microfoni della trasmissione. Toselli avrebbe riconosciuto e individuato cinque agenti penitenziari attraverso i soprannomi che utilizzavano in carcere: “Ispettore, Caramella, Bomboletta, Terminator e Sceriffo. Erano la squadretta della morte. Ho potuto scorgere tutto con uno specchietto e ho sentito urla disumane. Andrea gridava “Mamma, mamma” e piangeva. Poi sono usciti portando il corpo di Andrea in orizzontale. E dicevano ‘Aò, questo è morto, è morto”.

Toselli aveva già rilasciato una deposizione presso lo studio dell’avvocato di parte messa agli atti della Procura di Viterbo. “L’autopsia è fortemente contraddittoria – spiega il medico legale Pasquale Bacco – perché nella conclusione si parla di morte da asfissia per impiccamento, mentre all’interno sono i consulenti stessi a porre dei dubbi. Innanzitutto, non esiste un vero e proprio solco che corrisponderebbe al lenzuolo attorno al collo. Nelle foto vediamo solo due lesioni laterali, laterocervicali. Poi l’osso ioide risulta intatto ed è una cosa rarissima negli impiccamenti, è fragilissimo e si frantuma in 9 casi su 10. Il volto del ragazzo è roseo, mentre gli impiccati sono tipicamente cianotici. E nel corpo di Andrea non sono presenti neanche i segni del guanto e del calzino, ovvero del sangue che dovrebbe confluire nelle estremità”.

Alessandro Sortino ha incontrato anche uno degli agenti presenti nel reparto di isolamento di Mammagialla nel giorno della morte di Andrea Di Nino, che dichiara: “L’ho trovato a terra, era già deceduto. Ho fatto il mio lavoro, ho fatto del mio meglio”.

A novembre scorso, Toselli fu ascoltato come testimoni anche nel processo Reset, poi finito, in primo grado, con 24 assoluzioni, sette condanne e la caduta delle accuse per associazione mafiosa del clan Travali. Toselli non è una figura qualunque nella storia criminale pontina degli ultimi anni. Già escusso nel corso del processo “Alba Pontina” e ancora prima nel processo “Don’t Touch”, Toselli ha parlato come imputato di reato connesso in quanto è emerso essere indagato per spaccio di droga in concorso con i membri del clan Travali.

Fu un Toselli diverso, a novembre scorso, da quello che testimoniò nel processo “Alba Pontina” nel novembre 2019. Sei anni anni fa, Roberto Toselli, visibilmente infiacchito dai due anni di carcere che stava scontando, era stato netto nell’ammettere, protetto dallo scudo degli agenti della Penitenziaria che gli ostruivano la vista – sopratutto dai componenti dei Di Silvio presenti in Aula -, ciò che aveva dichiarato già a verbale nel 2016: dal pestaggio con tanto di pistola puntata alla tempia subito dai Travali, a un nome relativamente nuovo e non coinvolto in Alba Pontina, Salvatore “Piccolo” Di Silvio; dalle zone di spaccio a Latina divise per bande – Villaggio Trieste, Q4, Q5, Viale Nervi, i Travali; Campo Boario, i Di Silvio (se qualcuno voleva spacciare lì, doveva chiedere il permesso a Lallà, e Toselli faceva l’esempio di Maurizio Santucci), fino alla conferma di un ambiente con protagonisti i soliti che ormai tutta la città conosce: da Cha Cha a Francesco Viola, da Agostino Riccardo a Renato Pugliese e i Travali.

A novembre, invece, Toselli, non più detenuto, si era presentato in tuta, la faccia non era più impaurita e nessuno aveva fatto scudo per impedire che qualcuno avesse potuto intimidirlo. Era solo scortato da due Carabinieri. Il 34enne aveva negato praticamente tutto di ciò che aveva raccontato agli inquirenti, anche le ultime dichiarazioni rese all’Antimafia nel 2020 quando rappresentò di aver continuato a subire minacce di morte nel carcere di Viterbo per aver fatto arrestare i Travali e di essere stato picchiato da un “compare” di Angelo Travali.

Eppure nel 2016, il 34enne, con precedenti per spaccio e rapine, aveva deciso di avviarsi alla collaborazione con lo Stato, raccontando di come era finito sotto le grinfie dei Travali che si accanirono contro di lui per un debito di droga, fino a picchiare il padre e minacciare di continuo i famigliari.

A distanza di anni, nel 2024, dopo che era passata tanta acqua sotto i ponti e dopo che il 34enne, nel 2023, aveva subito l’ennesima aggressione da parte dei Baldascini, Toselli non ricordava più niente, arrivando a smentire qualsiasi circostanza, anche quella del suo tentato suicidio nel carcere di Latina perché vessato dalle minacce dei Travali. Alla domanda del pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia, Francesco Gualtieri, sul perché aveva chiesto di cambiare carcere, Toselli aveva risposto così: “Avevo chiesto di cambiare carcere per cambia’“.

Articolo precedente

CONTRATTI DI QUARTIERE “NICOLOSI-VILLAGGIO TRIESTE”: RIPARTONO I TRE PROGETTI

Articolo successivo

OMICIDIO GIUROIU, CASSAZIONE CONFERMA ASSOLUZIONE DI ANGELO TRAVALI

Ultime da Cronaca