L’intervista che il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti ha fatto a Luca Palamara, “Il sistema. Potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana”, è sicuramente uno dei testi più seguiti di recente. Tra le righe del libro confezionato dall’ex magistrato ed ex membro del Csm alcuni passaggi sono dedicati al caso che ha riguardato Stefano Fava, ex sostituto procuratore alla Procura di Roma e dal 2019 presso il Tribunale Civile di Latina
La richiesta del trasferimento a Latina fu presentata dallo stesso Fava e accolta all’unanimità dal plenum del Csm. L’ex pm Fava è stato indagato dalla Procura di Perugia per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio nell’inchiesta originata dall’ex presidente dell’Anm Luca Palamara indagato a sua volta per corruzione. Palamara, come noto, è al centro dell’inchiesta che ha squarciato il velo sulle trattative tra le correnti delle toghe per distribuire incarichi e ruoli nella nomenclatura delle Procure e dei Tribunali italiani. È stato il trojan inoculato nel cellulare di Palamara dalla Procura di Perugia che ha captato i colloqui che intercorrevano tra magistrati.
Lo scorso novembre, il giudice Fava è stata chiamato a dover rispondere di un’azione disciplinare dal Csm, accusato di aver esposto a Palamara i contenuti di una nota trasmessa al Csm medesimo e di avergli consegnato alcuni allegati “pur nella consapevolezza che sarebbero stati utilizzati dal suo interlocutore per gettare discredito” sull’allora Procuratore Capo di Roma Giuseppe Pignatone e sul suo aggiunto Paolo Ielo. Un procedimento sospeso su istanza di ricusazione dello stesso giudice Fava nei confronti del presidente della Sezione disciplinare David Emini e del consigliere Giuseppe Cascini.
Fava, calabrese come Palamara, è il magistrato della Procura capitolina che aveva presentato un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura (a marzo 2019) in cui evidenziava gli incarichi professionali conferiti dall’avvocato Pietro Amara, ex legale esterno dell’Eni sotto inchiesta a Roma in un’intricata vicenda di mazzette e petrolio, al fratello dell’ex procuratore della Capitale Giuseppe Pignatone, Roberto professore associato di Diritto tributario con studio a Palermo, e al fratello del procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo. Vicende che sono state ritenute irrilevanti dalla Procura di Perugia. Fava è accusato dai magistrati umbri di aver rivelato a Palamara i motivi per i quali era indagato dalla procura di Perugia.
Ed è proprio questa vicenda a trovare uno spazio nel libro “Il Sistema” di Sallusti e Luca Palamara quando l’ex enfant prodige della magistratura italiana chiama in causa l’ex giudice del pool di Mani Pulite Piercamillo Davigo.
“Per quanto riguarda Davigo, “autopromozione” anche la sua?” – chiede il giornalista.
“Cerchiamo di capirci – spiega Palamara – e per farlo bisogna immergersi in una vicenda chiave della parte terminale di questa storia. C’è un mio collega alla procura di Roma, Stefano Fava, uscito dal mio stesso concorso, un ragazzo nato e cresciuto nel paese calabro accanto a quello di mio padre, Santo Stefano d’Aspromonte. In procura ha una nomea da duro, da integerrimo, voi giornalisti direste da “manettaro”. Quando, finita la mia esperienza al Csm, rientro in procura, lo rincontro e lui, casi della vita, in quel momento è, insieme al procuratore Pignatone e al sostituto Paolo Ielo, sull’inchiesta che riguarda Centofanti e l’avvocato faccendiere dell’Eni Piero Amara, l’intrigo in cui, senza successo, tenteranno di tirare dentro anche me. Mi confida un suo problema che riassumo così: lui vorrebbe andare più a fondo e allargare l’indagine, ma è stoppato sia da Pignatone sia da Ielo. E ha il sospetto che ciò avvenga per un conflitto di interessi, in quanto sia il fratello di Ielo sia quello di Pignatone hanno in qualche modo avuto a che fare con l’Eni da cui avevano ottenuti incarichi ben remunerati. E per questo viene emarginato e osteggiato, di fatto gli tolgono l’indagine. Lui mi chiede consiglio su come muoversi e mi dice di essere intenzionato a fare un esposto al Csm“.
“Perfetto, ma cosa c’entra Davigo?” – ribatte Sallusti.
“Per la sua fama di procuratore integerrimo – continua Palamara – Fava viene avvicinato da Davigo e dal suo braccio destro Sebastiano Ardita, componente del Csm, che stanno mettendo su una loro corrente, Autonomia e Indipendenza, che si presenterà per la prima volta alle elezioni per il Csm del 2018. Ma su questo è meglio fare parlare lo stesso Fava. Ecco che cosa ha raccontato in un verbale di «informazioni sommarie» ai miei avvocati il 6 novembre 2019: “Conosco il dottor Ardita dal 2017, in quanto mi propose di entrare nella sua corrente per le elezioni del 2020 dell’Associazione nazionale magistrati. Ho avuto più incontri con lui, con il collega Amelio e con il dottor Davigo, sia al ristorante Sicilia in Bocca sia al Baccanale al 59, dove nei primi di marzo del 2019, Davigo ha giudicato le mie rimostranze per il conflitto di interessi di Pignatone e Ielo di indubbia rilevanza che merita approfondimenti da parte del Csm“.
“Quindi Fava l’esposto contro Pignatone e Ielo, il vertice della procura di Roma, alla fine lo fa?” – domanda Sallusti.
“Ha la data del 27 marzo 2019 – risponde Palamara – E a quel punto l’atteggiamento di Davigo e Ardita, che pure lo avevano spinto su quella strada, cambia. Lo racconta Fava nella stessa deposizione spontanea: “Ardita ritiene, e me lo comunica, che non fosse più opportuno sentirci e vederci e che se avessi avuto qualcosa da comunicare avrei dovuto farlo attraverso il collega Amelio“.
“Non è esattamente un atteggiamento coerente” – sostiene Sallusti.
“Non solo, c’è di più – dice Palamara – Concludiamo il racconto messo a verbale da Fava: “Il 3 giugno 2019, giorno antecedente il mio interrogatorio» si legge “davanti ai colleghi di Perugia, in quanto coinvolto nelle chat di Palamara, il collega Amelio mi convoca nel suo ufficio, dal suo cellulare chiama Ardita che mi chiede quale sarebbe stata la mia linea difensiva. Si diceva preoccupato che se io avessi detto certe cose dei nostri colloqui lui avrebbe dovuto dimettersi dal Csm“. Il collega Amelio, interrogato su questo fatto dalla procura di Perugia il 2 luglio del 2020, conferma i rapporti con Fava e con Ardita ma sostiene, senza smentire, di “non ricordare” la telefonata tra Fava e Ardita avvenuta nel suo ufficio“.
“Strana amnesia, una cosa o è successa o non è successa“. – incalza il Direttore de Il Giornale.
A che Palamara conclude: “Questo sarà compito della magistratura accertarlo e sono sicuro che ciò avverrà. L’avvenuta conferma che Davigo fosse a conoscenza dell’esposto Fava e la triangolazione telefonica tra un membro del Csm e due magistrati della procura di Roma, di cui uno indagato a Perugia, impongono di non lesinare alcuno sforzo per comprendere quello che è realmente accaduto, così come avviene per i comuni mortali che in circostanze simili vengono indagati per reticenza“.