La lettera aperta del Sindacato Medici Italiani al Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti sull’emergenza Covid-19: segnaliamo i pazienti ma non si fanno i tamponi
È una missiva pubblica, datata 23 aprile, quella del Sindacato Medici Italiani che concentra la sua attenzione al Lazio e si rivolge, quindi, al Governatore Zingaretti. Più che una lettera, è un vero e proprio documento che rimarrà scolpito nella mente di chi lo leggerà poiché conferma ciò di cui molti, tra i milioni di comuni mortali, si sono chiesti in queste settimane durissime di emergenza sanitaria. L’argomento ruota attorno ai tamponi, a chi si fanno, con quali modalità; ma sopratutto, a dare forza a queste domande, è la fonte di chi le avanza: i cosiddetti Mmg, i medici di medicina generale. Si tratta dei medici di Assistenza Primaria e dei medici di Continuità Assistenziale: in gergo comune i medici di famiglia e le guardie mediche, ossia coloro che hanno da sempre più prossimità se non famigliarità con i pazienti, spesso punti di riferimento per persone e famiglie in rapporti di fiducia consolidati nel tempo. Insomma, figure imprescindibili del Servizio Sanitario Nazionale con cui sono convenzionate.
Il Sindacato Medici denuncia a chiare lettere, dopo quasi due mesi di pandemia, l’impossibilità di accesso ai tamponi per i pazienti a domicilio e il desiderio, o meglio la drammatica necessità, di poter andare oltre i consigli e prescrivere, oltre che al paracetamolo, anche altri tipi di cure in modo da intervenire tempestivamente su un paziente che presenta già tutti i sintomi Covid-19 impossibilitato, però, a combattere la malattia perché ancora non gli è stato effettuato un tampone.
Ecco perché fanno paura i numeri evidenziati nella lettera che pubblichiamo integralmente di seguito: i circa 5000 medici di famiglia nel Lazio hanno fatto mediamente da 7 a 10 segnalazioni di pazienti eventualmente Covid-19: “di queste – scrive il Sindacato – nella migliore delle ipotesi, ne sono state processate appena il 15%“.
Senza contare, continua la lettera del Sindacato, che “nell’ennesima ordinanza regionale del 18.4.2020” si consiglia “addirittura l’accesso senza utilizzo di mascherine ai pazienti che accedono agli ambulatori, in assenza di sintomi respiratori, come se non ci fosse già ampia letteratura sulla trasmissibilità del virus da parte degli asintomatici“.
Una situazione al limite che deve essere sanata con la realizzazione accelerata ed efficiente dei tamponi – o dei nuovi test sierologici o capillari, considerando che non si ha ancora una loro perfetta validazione e che non danno, a conoscenze scientifiche attuali, la patente d’immunità – a larghe fette di popolazione presenti sul territorio. Questa è la vera emergenza, ovviamente, non le propagande stanche di chi, ad esempio, in questa provincia, parla irresponsabilmente, sopratutto nel campo politico, di mirabolanti autostrade o opere infrastrutturali inutili, utilizzando la pandemia come “scusa” nella maniera più scorretta.
LA LETTERA DEL SINDACATO MEDICI ITALIA – Abbiamo deciso di inviare una lettera aperta al Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, scegliendo di pubblicarla, in quanto, ci duole dirlo, non abbiamo altri strumenti che ci consentano di essere ascoltati, né dal Governatore del Lazio, né dalla Task Force regionale – Unità di crisi, istituita per l’emergenza Covid. E sì che lo abbiamo chiesto in almeno una decina di comunicazioni indirizzate anche all’Assessore alla Salute Alessio D’Amato
Rappresentiamo, sul nostro territorio, medici di varie specialità e portiamo alla Sua attenzione l’impossibilità per i nostri pazienti di poter avere accesso ai tamponi per la diagnosi di Covid. Le reiterate richieste da parte dei medici di famiglia sulla necessità di prendere in carico pazienti sospetti (sintomatici o contatti) portate all’attenzione degli uffici di profilassi sono rimaste pressoché inascoltate. Ogni medico di famiglia nel Lazio, e ne abbiamo circa 5000, ha fatto mediamente da 7 a 10 segnalazioni: di queste, nella migliore delle ipotesi, ne sono state processate appena il 15%.
È quanto emerge, infatti, da una prima indagine condotta dal nostro sindacato, nelle più grandi Asl della nostra regione: su un campione di 21 Mmg per un totale di 26.553 assistiti, ben 160 segnalazioni inoltrate ai SISP, delle quali solo il 15% ha ottenuto un riscontro (solo 25 pazienti sono stati presi in carico ed alcuni di questi sottoposti a tampone).
Ad essere ottimisti saranno pertanto appena 10.000 i tamponi effettuati su richiesta dei medici di famiglia. Leggiamo, infatti, che nel Lazio sono stati fatti circa 100.000 tamponi. Questi avrebbero dato un riscontro di una bassa percentuale di positività (9 negativi su 10). Ci chiediamo quindi: a chi sono stati effettuati i circa 90.000 tamponi che i Mmg non hanno richiesto? E la bassa percentuale di positività si potrebbe spiegare con la circostanza che, forse, nell’esecuzione degli stessi non siano stati rispettati i criteri clinici, epidemiologici o del semplice buon senso?”.
“Lo vorremmo sapere, anche per rispondere alle domande dei nostri pazienti che sono lasciati a domicilio, con il solo nostro monitoraggio telefonico ed una terapia insufficiente, perché come deciso da circolare regionale del 3/4/2020 avente oggetto “terapia domiciliare pazienti Covid”, noi Mmg, in assenza di tampone non possiamo cominciare neanche la terapia precoce con i farmaci già previsti per Covid – 19, ma che non sono prescrivibili nei casi fortemente sospetti che non siano stati sottoposti a tampone”.
Questo ci viene difficile spiegarlo ai nostri pazienti, soprattutto a quelli che devono ricorrere poi alle cure del 118 per insufficienza respiratoria, o ai parenti dei pazienti deceduti perché segnalati e mai presi in carico.
Leggiamo da Avviso per “disponibilità regionale Attività Uscar” n° 0314552 del 10.4.2020 e come da Determina U360729 DEL 20.4.2020 (regolamento delle USCAR), che vengono istituite le Uscar (ndr: Unità Speciale di Continuità Assistenziale Regionale) che si occuperanno prevalentemente delle RSA, dove registriamo una situazione critica (che probabilmente non si sarebbe verificata se non fosse stata fatta la scelta di ricoverare lì i pazienti covid positivi) ed in maniera “residuale” dei soggetti a domicilio che non siano presi in carico da altra “forma organizzativa”.
Quali sarebbero le “forme organizzative abituali”? Non ci risulta che ne siano previste altre. A casa di questi pazienti continueranno forse ad andare a mani nude i medici di continuità assistenziale e medici di famiglia? A mani nude perché sicuramente non basterà l’unica mascherina chirurgica consegnata agli operatori di guardia medica o nessuna mascherina consegnata ai medici di famiglia più fortunati e in ASL più generose”.
In questi mesi abbiamo imparato sulla nostra pelle cosa significa non osservare le misure di biocontenimento e non vogliamo lasciare, nel Lazio, altre vittime sul campo e soprattutto vogliamo, per i nostri pazienti fare qualcosa di più che prescrivere paracetamolo e dare consigli telefonici.
Chiediamo che venga recepito il dpcm del 9 marzo 2020 e che vengano istituite le USCA (questa volta senza r), che interagiscano con i Mmg per la presa in carico dei pazienti che segnaliamo e che vogliamo curare al loro domicilio. Siamo molto preoccupati di dover affrontare una fase 2 in carenza di Dpi, in carenza di tamponi, in carenza di esami diagnostici e, soprattutto, nell’impossibilità di poter prescrivere terapia sul solo corredo sintomatologico clinico. Ci appare abbastanza incerta ed erta la situazione, sicuramente ci preoccupano le ultime raccomandazioni contenute nell’ennesima ordinanza regionale del Z00034 del 18.4.2020 che consigliano addirittura l’accesso senza utilizzo di mascherine ai pazienti che accedono agli ambulatori, in assenza di sintomi respiratori, come se non ci fosse già ampia letteratura sulla trasmissibilità del virus da parte degli asintomatici. Auspichiamo che voglia confrontarsi anche con chi rappresenta a pieno titolo tutti i professionisti dell’area medica della nostra Regione” conclude la nota SMI.