Udienza preliminare per i Carabinieri accusati dal collaboratore di giustizia di avergli dato la droga in cambio di soffiate
Si è celebrata un’altra tappa della lunga udienza preliminare a carico dei Carabinieri accusati dal collaboratore di giustizia Maurizio Zuppardo di avergli passato sostanza stupefacente in cambio di informazioni riservate.
Lo scorso 27 giugno, davanti al giudice per l’udienza preliminare Laura Morselli, si era svolta una udienza preliminare piuttosto movimentata, tanto che l’avvocato Mariani, che fa parte del collegio difensivo, aveva spiegato di come lo stesso Zuppardo, esibendosi in video social, in particolare su Tik Tok, avesse rivelato più volte anche il luogo protetto nel nord Italia che dovrebbe rimanere segreto per questioni di sicurezza (nda: per ovvi motivi di sicurezza chi scrive non citerà il luogo). Un fatto sollevato dal legale per mettere in dubbio l’attendibilità del pentito.
Inoltre il pubblico ministero Valentina Giammaria aveva chiesto il rinvio a giudizio per tutti i Carabinieri coinvolti nell’udienza preliminare. Dopodiché era stata la volta degli avvocati Alessandro Mariani, Gianmarco Conca, Giulio Mastrobattista e Oreste Palmieri che hanno chiesto per i loro assistiti una sentenza di assoluzione che, da legge Cartabia, può essere emessa anche in fase di udienza preliminare.
Oggi, 11 ottobre, l’udienza preliminare è stata ancora di più elettrica, in quanto non sono mancate le intemperanze da parte del collaboratore di giustizia il quale, ascoltato per dichiarazioni spontanee, è stato più volte richiamato dal Gup Morselli poiché ha interrotto in diverse occasioni gli avvocati che parlavano per conto dei Carabinieri coinvolti.
Quest’oggi, infatti, era previsto che svolgesse le sue contro-deduzioni rispetto all’accusa l’avvocato Renato Archidiacono, l’unico che ancora non aveva potuto farlo. Video collegato, per l’appunto, anche Maurizio Zuppardo, il collaboratore di giustizia e grande accusatore dei militari dell’arma, difeso dal suo avvocato. Stavolta, però, non solo critiche e batti e ribatti tra il collaboratore e gli avvocati. Zuppardo, infatti, in una interlocuzione molto accesa con l’avvocato Mariani, ha dapprima accusato il legale di aver minacciato, insieme a uno dei Carabinieri coinvolti, la sorella affinché non testimoniasse e, successivamente, ha proferito parole, interpretate dalla difesa come minacce neanche troppo velate: “Avvocato, pensi a lei e alla sua famiglia che abitate a Latina”.
Una frase che rimandava alla circostanza per cui era stato l’avvocato Mariani a puntualizzare sullo località protetta in cui vive al momento Zuppardo. Fatto sta che una volta che il collaboratore di giustizia ha rivolto al legale le succitate parole, il pubblico ministero, almeno per il momento, non ha ritenuto inviare il contenuto delle stesse in Procura per accertamenti.
Ad ogni modo, nella stessa udienza di oggi, ha rilasciato spontanee dichiarazioni un altro dei sei Carabinieri coinvolti, chiedendo all’accusa per quale ragione non gli fossero forniti gli atti che chiedeva.
Anche in questa udienza, comunque, c’è stato un rimando a quanto sollevata a giugno dall’avvocato Mariani: la circostanza per cui ci sarebbe stata una omissione di atti d’ufficio da parte di uno dei Carabinieri di Via Selci a Roma che eseguiva le indagini sui sei colleghi indagati nel procedimento odierno. Secondo il legale, quando fu ascoltato in una intercettazione un brigadiere indagato, con l’accusa grave di aver occultato un chilo di cocaina in seguito ad un sequestro a Sezze, quest’ultimo non avrebbe detto a un collega: “Nascondi i panini”, riferibili alla droga. In realtà, come poi accertato nel corso delle indagini difensive che hanno recuperato uno scontrino con l’acquisto di pane e bibite, la frase era “A condi’ i panini”, col chiaro riferimento al pranzo che si stava facendo in caserma.
Per quella vicenda, il Carabiniere capitolino che intercettava non riferì al pubblico ministero di Latina che indagava e non fu disposta nessuna perquisizione a Sezze per verificare se si trattasse di droga. Ecco perché, nel corso della udienza preliminare di giugno, il pm Giammaria aveva chiesto che fossero trasmessi gli atti in Procura.
L’inchiesta, coordinata dal Procuratore capo Giuseppe De Falco e dal sostituto Valentina Giammaria, che si sono avvalsi anche dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma, era partita dalle parole riferite a verbale dal collaboratore di giustizia le cui dichiarazioni sono state ritenute attendibili dalla Polizia di Stato in più di una indagine: Movida e Scarface sul Clan di Silvio capeggiato da Giuseppe Di Silvio detto “Romolo” (emesse già diverse condanne) e Reset che vede ad oggi il processo per mafia al clan retto da Costantino “Cha Cha” Di Silvio e dai fratelli Angelo e Salvatore Travali.
Ad essere indagati dalla Procura, sono diversi Carabinieri che nelle circostanze descritte alla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma erano in servizio presso la Caserma del Comando Provinciale di Latina “Vittoriamo Cimarrusti”. Secondo Zuppardo, per circa 11 anni, egli stesso avrebbe ricevuto quantitativi di droga in cambio di soffiate rese ai Carabinieri che sequestravano la sostanza stupefacente e procedevano ad arresti. In un caso, descritto da Zuppardo, la sua “paga” sarebbe stata di un chilo di erba per aver permesso ai militari dell’Arma di bloccare un carico di droga proveniente dall’Olanda.
Dapprincipio erano diversi i capi d’imputazione a carico degli indagati che, sospesi da incarichi operativi all’interno dell’Arma, devono rispondere di reati quali corruzione, falso, spaccio e concussione. Le richieste di arresto nei confronti dei Carabinieri indagati sono state, come noto, respinte dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Giuseppe Cario. Tuttavia la Procura di Latina, che dopo l’emergere della notizia a marzo 2023 ha voluto rilasciare un comunicato per ribadire la sua fiducia nell’Arma, si era opposta ricorrendo al Tribunale del Riesame sulle misure cautelari. Alla fine fu lo stesso Gip Cario, anche dopo una pronuncia della Corte di Cassazione, a ribadire, in riferimento alla posizione di uno dei militari, che Zuppardo non sarebbe stato credibile in quanto ricorrevano motivi di risentimento nei confronti dei Carabinieri.
Secondo il collaboratore, ad ogni modo, i Carabinieri non possono permettersi un’auto costosa o l’acquisto di una casa e per tale ragione non solo avrebbero dato a lui il premio della droga in cambio dei sequestri e delle soffiate, ma a un certo punto avrebbero anche voluto parte dei proventi derivanti dallo spaccio messo in piedi con la droga sequestrata.
Un quadro investigativo che dal Gip di Latina Giuseppe Cario non è stato considerato attendibile e che oggi, tra prescrizioni e ridimensionamenti, è approdato in una udienza preliminare che è diventata piuttosto travaglia e zoppicante. Ad essere contestati solo i fatti più recenti per sei Carabinieri, tra cui due operazioni antidroga per le quali vi sarebbe stato il passaggio di soffiate in cambio di sostanze stupefacenti e il caso dei panini scambiati per panetti. Non è un episodio rivelato da Zuppardo, ma emerso durante le indagini scaturite dalle dichiarazioni di quest’ultimo e captato in una delle intercettazioni: al telefono, con un capitano, comandante dell’epoca che lo stava raggiungendo in caserma, un militare avrebbe parlato dei panini che stava preparando, ma secondo l’accusa avrebbe chiesto all’ufficiale di nascondere panini, da interpretare come panetti. In realtà, come già emerso, si tratterebbe di un grosso equivoco: i panini erano realmente panini.
Un altro aspetto da chiarire, così come risulta marginale la contestazione di porto abusivo d’arma da fuoco, in relazione alle legge sulla caccia, a carico di uno dei Carabinieri. Già il Gip Cario si era pronunciato rispetto a tale contestazione, smontandola.