Operazione Smoking Fields: è ripreso il processo che vede sul banco degli imputati 18 persone coinvolte nell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma. Dall’indagine scaturì il sequestro degli impianti di compostaggio di Pontinia, Sep e Sogerit
Si è svolta una nuova udienza del processo scaturito dall’inchiesta per traffico illecito di rifiuti che aveva come base l’impianto di compostaggio denominato “Sep”, a Mazzocchio (Pontinia). Nella scorsa udienza, il Tenente Colonnello del Nucleo Investigativo dei Carabinieri Forestali, Vittorio Iansiti, che ha coordinato parte delle indagini, ha ripercorso le fasi delle indagini partite da Pontinia (leggi al link di seguito).
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Davanti al giudice monocratico del Tribunale di Latina, Clara Trapuzzano, è stato ascoltato il consulente della Procura, interrogato dal Pm della DDA di Roma, Rosalia Affinito.
Il processo che contesta il traffico illecito di rifiuti portò, quasi quattro anni fa, al sequestro dell’impianto di Mazzocchio, Sep, più gli altri impianti che facevano capo alla famiglia romana Ugolini. Insieme a Vittorio e Alessio Ugolini, principali imputati, ci sono nel processo anche le parti civili: i Comuni di Pontinia, Cori e Ardea, oltreché all’associazione Fare Verde onlus, un’altra società srl, un privato cittadino, l’associazione Accademia Kronos e le aziende appartenute a Ugolini. Si tratta, ovviamente, di quelle aziende che furono oggetto di sequestro a giugno 2019 e che sono al momento sotto amministrazione giudiziaria: Sep e Sogerit di Pontinia, Demetra (società che si occupa di trasporti dei rifiuti) e Adrastea, la società titolare della discarica di inerti in Via Canestrini a Roma.
Ad essere imputati, oltreché agli Ugolini, anche Alessandro D’Innocenti, amministratore della Sogerit e ritenuto dagli inquirenti prestanome degli Ugolini; Sergio Mastroianni, titolare del laboratorio Osi di Isola del Liri (provincia di Frosinone) che ha effettuato i rapporti di prova (ritenuti falsi) sul compost prodotto dalla Sep; Luca Fegatelli, ex dirigente della Regione Lazio nel settore rifiuti e nello stesso tempo consulente delle varie società amministrate dalla famiglia Ugolini. E ancora: Franco D’Innocenti, Stefano Pappa, Nazzareno Toppi, Ugo Pazienti detto Mauro, Mario Reale, Marco Sanna, Stefano Volpi, Iulian Rosca, Ion Cosmin Toader, Giovanni Bonaiuto, Fabrizio Carletti, Gianfilippo Coronella e Alfonso Gaito.
Gli inquirenti hanno registrato sversamenti anomali su 11 terreni privati e ben 55 sversamenti di rifiuti non conformi all’interno della discarica Adrastea gestita dagli stessi Ugolini e non autorizzata a ricevere quel tipo di rifiuto: dal 1 gennaio 2014 al 5 ottobre 2018 57.577.500 tonnellate di rifiuto sarebbero state sparse sui terreni, trasformati in discariche abusive. I reati contestati sono per tutti gli indagati concorso in traffico illecito di rifiuti, nonché, per alcuni di essi, anche il falso ideologico in atto pubblico nella predisposizione di certificati di analisi, abbandono di rifiuti e discarica abusiva, e infine l’intralcio all’attività di vigilanza e controllo ambientale.
Il consulente della Procura di Latina ha ripercorso le fasi del suo lavoro interrogato dal Pm Affinito. Un lavoro durato dal 2014 fino al sequestro del 2019. Come noto, l’inchiesta si svolge in due fasi: un primo procedimento dal 2014 sino al 2017, un secondo procedimento a partire dal gennaio 2018.
La prima autorizzazione per l’impianto di Mazzocchio, Sep risale al 2003, mentre la prima sospensione dell’Aia è del 2012 recapitata alla gestione privata dalla Provincia di Latina; successivamente la Sep presentò i documenti per dimostrare l’ammodernamento della struttura e la Sep ripartì nello stesso anno.
Dalla testimonianza del consulente ciò che si ricava è che l’impianto Sep non era nella condizione di produrre ammendante compostato perché c’era mala gestione. Praticamente, da sempre. Vi erano problemi di rifiuti in entrata e rifiuti in uscita; criticità nella lavorazione dell’ammendante; cattiva manutenzione; difformità sia per quanto riguarda le prescrizioni contenute nell’Aia, sia per le previsioni fissate nel progetto della gestione privata. In sostanza, era la stessa Sep a non centrare gli obiettivi che i suoi titolari si erano dati.
La stragrande maggioranza dei rifiuti biodegradabili che entravano nella struttura di Pontinia – ha detto il consulente – derivava da cucine e mense (81%), poi c’erano altri materiali già lavorati (12,5%) e infine lo sfalcio di erba (5%). Per di più l’autorizzazione all’impianto prevedeva anche la miscelazione a monte del rifiuto prima di entrare nelle biocelle e, secondo, il consulente anch’essa difettava. Tutti i parametri erano disattesi, soprattuto per l’eccessiva presenza di rifiuti da cucine e mense che i Comuni conferivano all’impianto. Il consulente, infatti, ha spiegato che quel tipo di rifiuto presenta spesso al suo interno plastica, dal momento che è usuale che non si divida l’umido del cibo da bicchieri e piatti di plastica.
Non solo. Anche i rifiuti lavorati nelle biocelle della Sep non erano trattati correttamente dal momento che sono stati rilevati problemi di ossigenazione: in sostanza, le pompe di insufflazione che avrebbero dovuto immettere ossigeno nel rifiuto, destinato a diventare compost, venivano accese solo la sera e non tutto il giorno: avrebbe dovuto essere pompata aria dalla mattina alla sera, solo così il compost a valle sarebbe stato un buon ammendante per i campi agricoli che, invece, venivano nutriti di compost difforme e inquinante.
I tempi di maturazione del compost avrebbero dovuto essere di di 90 giorni, mentre, spessissimo, ha sostenuto il consulente, ci si fermava a 60 giorni, senza contare che il rifiuto non era trattato in modo adeguato.
“La frazione organica – ha detto il consulente della Procura – è ricca di umido e ha una struttura simile a una argilla, ma se viene inserita in una biocella senza possibilità che circoli aria, il rifiuto si contamina“. È questo il motivo per cui c’erano odori nausebondi a discapito dei cittadini che vivevano nelle zone limitrofe. Il cattivo odore aveva diversa origine: sia dal trattamento non adeguato nelle biocelle, sia dall’affrettare i tempi di maturazione del compost.
Il consulente ha evidenziato che non c’erano neanche report corretti da parte della Sep: mancavano diversi mesi di registrazione in vari anni controllati. In questo modo “mancava la tracciabilità dei rifiuti che entravano nella Sep“. Il consulente, che svolse l’ultimo sopralluogo nel 2018 e che successivamente partecipò anche al sequestro a opera della DDA e della Polizia Giudiziaria nel giugno 2019, ricorda la fuoriuscita di percolato dalle porte della Sep: “Lo abbiamo visto quando verificavamo il compost. Quando abbiamo aperto le porte di sicurezza, siamo stati inondati da percolato“.
In realtà, il percolato sarebbe normale solo nella fase di biodigestione, non in quella di produzione. Quando l’ammendante è fatto e finito non dovrebbe produrre percolato, invece “invadeva il piazzale della Sep e veniva convogliato nei pozzetti di scarico“.
Dalla Sep usciva compost al 26%, mentre da previsione avrebbe dovuto essere del 35%. Nel 2016, addirittura, il compost prodotto fu appena del 16%. E per di più nel compost vi era presenza di materiale quali plastica e vetro: in una delle aziende controllate, dove veniva dato alla terra l’ammendante uscito dalla Sep, fu rinvenuto nel compost la presenza del 4,6% di plastica. Basti pensare che il valore consentito da legge è dello 0,5%. “La presenza di materiale estraneo – ha spiegato il testimone – è dovuta a una scarsa vagliatatura del prodotto lavorato, ma anche perché Sep faceva entrare rifiuti di materiale estraneo, accettando dai comuni conferitori materiale estraneo fino all’8% del totale di quello che entrava”.
Alla prossima udienza fissata per il 15 maggio, verranno ascoltati come testimoni i dipendenti dell’Arpa Lazio.