Sequestrarono il collaboratore di giustizia Giuseppe Basco: la condanna diventa definitiva in Corte di Cassazione
Diventa definitiva la condanna a carico dei cinque imputati che sequestrarono Giuseppe Basco, il campano trapiantato nel sud pontino che, in questi anni, ha fatto diverse rivelazioni anche sugli affari dei Bardellino di Formia, del sistema della droga a Gaeta e altri affari sporchi nel sud pontino.
La storia di Basco si intreccia irrimediabilmente con le indagini della magistratura, dapprincipio con il processo “White Fruit” che lo scorso aprile è arrivato a sentenza con condanne rilevanti a carico di un gruppo di spacciatori su Formia. Da questo punto di vista ha aperto alcuni spunti investigativi la vicenda di Giuseppe Basco, 47 anni, domiciliato a Formia ma originario del casertano, il quale, anche sulla base di una segnalazione della Squadra Mobile casertana, sarebbe stato un tempo affiliato al clan Bidognetti.
Basco, per intenderci, avrebbe fatto parte del sodalizio dei pusher formiani guidati dalla coppia Ausiello/Fustolo in maniera defilata, una sorta di cane sciolto che riforniva la droga. E, successivamente a un episodio violento di cui fu vittima, il 47enne ha iniziato a rendere dichiarazioni importati agli organi investigativi diventando collaboratore di giustizia.
Si tratta di colui il quale viene sequestrato il 24 febbraio 2020 per un debito di droga – che da 5mila euro arrivò a 31mila euro – da un commando alla cui testa c’era Antonio Tornincasa, 54enne di Arzano, trapiantato nel sud pontino, insieme al figlio 28enne Emanuele, condannato in primo grado nel processo “White Fruit” a 8 anni e 2 mesi, e a un altro coinvolto e arrestato nell’operazione sullo spaccio (leggi approfondimento) e Enrico De Meo, 34enne di Formia, condannato nel medesimo processo a 4 anni e 1 mese.
Il “prelievo” forzato di Giuseppe Basco, nel febbraio di oltre due anni fa, avviene in un bar di Casal di Principe, dopo che l’uomo era stato invitato a recarsi lì da Emanuele Tornincasa. All’incontro, avvenuto al Bar Stadio di Casal di Principe, Basco trova anche Antonio Tornincasa, un tal Genny di Secondigliano e un altro soggetto. Costretto a salire su una Panda color melanzana, Basco fu portato a Formia presso la sua abitazione dove trovò ad attenderlo De Meo e Carmina Fustolo. Dopo essere stato schiaffeggiato per aver fatto presente di non avere i soldi del debito di droga e minacciato di morte, Basco fu condotto in auto a Castel Volturno, nei pressi di un laghetto. Legato alle mani, ai piedi e al collo, all’uomo furono sventolate di fronte due pistole.
Successivamente il capo del commando, Antonio Tornincasa, contattò anche la moglie dell’uomo su Facebook per farsi dare i 31mila euro e in cambio lasciare in vita il marito. Solo dopo l’avvertimento della moglie di Basco riguardo a una eventuale chiamata ai Carabinieri per denunciare il sequestro, l’uomo fu liberato dai militari dell’Arma a Casal di Principe. Per quei fatti Antonio Tornincasa è stata condannato in primo grado, dalla Corte di Assise di Napoli, alla pena di 17 anni di reclusione per il reato di sequestro di persona a scopo estorsivo. 6 anni e mezzo per il figlio Emanuele Tornincasa e per il formiano De Meo, colpevoli per i giudici di Napoli del reato di tentata estorsione.
Tuttavia, la vicenda è più complessa. C’è un altro uomo, Bernardino Crispino, 38 anni, ritenuto dagli investigatori uno degli esponenti del clan Pezzella di Cardito (Napoli), peraltro coinvolto in un omicidio di lupara bianco in Campania, a giocare un ruolo rilevante nel sequestro Basco. Crispino è accusato di aver, in concorso con i Tornincasa, Nicola Sergio Kader (38 anni) e Francesco Frascogna (43 anni), sequestrato Giuseppe Basco al fine di conseguire quella somma di 31.000 euro quale “debito” riconducibile a precedenti rifornimenti di cocaina.
Tuttavia, Francesco Frascogna, Nicola Sergio Kader, Antonio e Emanuele Tornincasa sono, invece, accusati di aver, in concorso tra loro (Emanuele Tornincasa e Antonio Tornincasa quali istigatori, Frascogna e Kader quali esecutori materiali), offerto o promesso denaro o altre utilità: ossia individuare un avvocato a farsi carico delle relative spese, prospettare la possibilità di corrispondere somme di denaro alla compagna di Basco, Elvira Oliva, e di mantenere in carcere Giuseppe Basco nei cui confronti sarebbe stato estinto il debito per un importo di 31.000 euro.
Queste promesse furono prospettate al fine di indurre Giuseppe Basco e Elvira Oliva a rendere falsa testimonianza attraverso la ritrattazione delle dichiarazioni già rese nell’ambito del procedimento penale nel quale Emanuele Tornincasa, Antonio Tornincasa ed De Meo sono stati arrestati ed accusati del sequestro di persona a scopo di estorsione ai danni del Basco, avvalendosi del metodo mafioso consistito nell’evocazione dell’appartenenza e dell’interessamento del “Clan dei Casalesi”.
Per tali fatti, Crispino, accusato del reato del sequestro di persona, è stato condannato alla pena di 12 anni di reclusione. Frascogna, Kader e i due Tornincasa, Antonio e il figlio Emanuele, sono stati condannati dal Tribunale di Napoli, rispettivamente, alla pena di 2 anni e 4 mesi, 3 anni, 3 anni e 3 anni e 4 mesi in ordine al delitto di intralcio alla giustizia aggravato dall’avvalimento del metodo mafioso.
I ricorsi proposti in Cassazione sono andati a vuoti: quello di Crispino è stato dichiarato inammissibile, gli altri rigettati.
Uno spaccato, tale vicenda, di un quadro di affari sporchi ancora da chiarire. È stato proprio Basco a dichiarare alla Direzione Distrettuale Antimafia che alla fine del maggio 2019 sarebbe stato mandato da due esponenti del Clan dei Casalesi, fazione “Schiavone”, a ritirare il ricavato delle estorsioni (2mila euro a settimana) per portarle a Formia, per un periodo di venti giorni, da Gustavo Bardellino. I soldi, in parte, sarebbero stati girati (500 euro) ai due luogotenenti Vincenzo Di Caterino e Romolo Corvino (indagati dalla DDA partenopea insieme a Gustavo e Calisto Bardellino per associazione per delinquere di stampo mafioso).
Per quanto riguarda lo spaccio a Formia, però, la consegna dei soldi si sarebbe interrotta, a detta del Basco, perché quest’ultimo, legato ai Bidognetti, a un certo punto, si è rifiutato di continuare in quanto Gustavo Bardellino apparteneva a un clan rivale. Solo dopo un chiarimento, in quanto Basco abitava nella stessa via di Bardellino, l’uomo si sarebbe convinto di continuare a versare i soldi delle estorsioni.
Nel giugno 2019, in un vertice a Gaeta, alla presenza di Tornincasa, sarebbe stato detto a Bardellino che non avrebbe più ricevuto i 2mila euro a settimana. L’esito dell’incontro chiarificatore sarebbe stato un accordo: in cambio di un mensile da 1000 euro, Bardellino avrebbe consentito ai Tornincasa (nel frattempo alleatisi anche con i Casalesi) di allargare il giro di spaccio.
Secondo il giornale casertano “Cronachedi”, che riporta le dichiarazioni della compagna di Basco, quest’ultimo, però, oltreché all’episodio violento del sequestro di persona, sarebbe stato vittima in precedenza di una ritorsione ordinata dai Bardellino. Il motivo sarebbe stato originato proprio dalla circostanza per cui Basco avrebbe permesso ai Tornincasa di non pagare i 2000 euro come “tassa” sullo spaccio a Formia. Basco, secondo la compagna, “venne accoltellato alla testa e tuttora porta una cicatrice sul lato posteriore del cranio, in quanto non si fece curare per evitare segnalazioni all’autorità giudiziaria. L’aggressione avvenne nel giugno 2019”. Una ritorsione che sarebbe stata messa in piedi dai Bardellino.
Un mese, quella del giugno 2019, che è antecedente al sequestro di persona poi subito dallo stesso Basco ed eseguito dai Tornincasa a febbraio 2020. Se tutto fosse confermato, è chiaro che tra giugno 2019 e febbraio 2020 qualcosa deve essersi mutato negli equilibri tra Basco, Tornincasa e Bardellino.
Due anni, nel febbraio 2022, gli spari a Gustavo Bardellino. A luglio 2023, la scoperta del bunker del fondatore del Clan dei Casalesi, Antonio Bardellino, della cui morte nel 1988 ad oggi ci sono molti più dubbi che certezze. Di certo c’è che quella maxi indagine che vuole accertare i traffici dei Bardellino, gli spari a Gustavo e il giallo della morte di “Zio Antonio”, sfociata in perquisizioni tra Formia, Gaeta, Minturno e Casal di Principe, al momento non ha portato a sviluppi. E dal tentato omicidio avvenuto il 15 febbraio 2022, presso l’autosalone Buonerba a Formia, contro Gustavo Bardellino, sono passati due anni e mezzo.