SENZA CURE DA MESI, VITTIME SECONDARIE DEL COVID-19. UNA DONNA DI LATINA MALATA DI SCLEROSI MULTIPLA

In foto Francesca (nome di fantasia) costretta a farsi legare le gambe per evitare che gli spasmi dovuti alla sclerosi multipla la facciano cadere a terra
In foto Francesca (nome di fantasia) costretta a farsi legare le gambe per evitare che gli spasmi dovuti alla sclerosi multipla la facciano cadere a terra

La lunga trafila della pandemia delle vittime secondarie: non sono ammalati di Covid-19 ma sono persone disabili. La storia di una donna di Latina, 50enne, che, contestualmente alla pandemia, non ha più le cure di cui necessita

Francesca (nome di fantasia) è una donna di Latina, sposata, con una figlia. Francesca ha una patologia molto nota e purtroppo, ad oggi, incurabile: si tratta di sclerosi multipla con cui ormai da anni la donna deve fare i conti, accorgendosi del progressivo peggioramento del suo fisico ma non mollando di un centimetro, per sé e per la sua famiglia.

Per questa terribile malattia, come ogni persona colpita da sclerosi multipla (sono 122mila in Italia, 3 milioni nel mondo), Francesca è in cura all’Ospedale Santa Lucia di Roma, sull’Ardeatina, dove da tempo, dopo diverse cure e riabilitazioni, si sottopone a cadenzate iniezioni di botulino che, detta fuori dal lessico scientifico, le permette di evitare gli spasmi agli arti e al corpo a cui la sclerosi la condanna.

Ospedale Santa Lucia, Roma
Ospedale Santa Lucia, Roma

Una singola iniezione di tossina botulinica, infatti, migliora in modo significativo, nel giro di poche settimane, il tremore o i veri e propri scatti involontari agli arti superiori e inferiori nei pazienti affetti da sclerosi multipla. Per Francesca e per tanti come lei (non tutti gli ammalati di sclerosi presentano questo tipo di sintomatologia) si tratta non della soluzione al problema ma di un lenitivo necessario per poter quantomeno vivere il quotidiano.

Succede, però, che con il lockdown di marzo e aprile, Francesca e molti come lei (non solo malati di sclerosi ma anche di innumerevoli altre patologie) non possono ricevere le cure all’Ospedale di riferimento in ragione delle rigide restrizioni che i provvedimenti governativi di marzo hanno stabilito per tutta Italia.

Francesca chiama l’Ospedale a marzo e non può che accettare la situazione. In fin dei conti, almeno per i primi tempi, poco male: la donna, complice il lockdown, passa una primavera bellissima in compagnia di suo marito e di sua figlia che, costretti a casa come 60 milioni di italiani, hanno almeno la possibilità di stare insieme a lei. Per Francesca, il lockdown è stata una possibilità di godere della sua famiglia, tuttavia la sclerosi c’è ancora, virus o non virus mondiale, dibattiti sulle chiusure dei locai o meno, e gli spasmi, in special modo alle gambe, iniziano a manifestarsi a causa delle mancate punture di botulino.

Spasmi che non permettono a Francesca di essere al sicuro sulla sedia a rotelle su cui passa le sue giornate. Sono talmente forti e incontrollabili dalla sua volontà che rischiano, ogni volta, di farla cadere e provocare danni peggiori al suo fisico già molto debilitato dalla malattia.

Ecco, allora, che non può che trovarsi una soluzione: legare le sue gambe alla sedia a rotelle (vedi foto di copertina) come una prigioniera. Ma la responsabilità, ovviamente, non è di chi quelle gambe le ha legate, piuttosto dipende dal fatto che senza il ciclo di punture di botulino, interrotto dalla pandemia, Francesca proprio non riesce a stare su quella sedia.
L’altra soluzione sarebbe stenderla sul letto e farla vivere come una vegetale, solo che Francesca di testa e di spirito (che potrebbe insegnare a tutti tanto) c’è eccome. Non perde mai il sorriso, questa donna, neanche con le gambe legate come in quelle immagini di un tempo perduto in cui, in Italia, esistevano ancora i manicomi e le condizioni dei malati erano da Corte d’Assise.

Francesca, ben consapevole che il botulino è una parentesi, non si perde neanche d’animo e senza le iniezioni prende contatto con il Policlinico di Catania per entrare in una lista di una cura sperimentale, un’operazione di chirurgia vascolare per impiantare lo stent Petalo nei pazienti. Un metodo approvato dal Ministero della Sanità nel novembre 2019 e messo a punto da Pierfrancesco Veroux, Professore Ordinario di Chirurgia Vascolare, Direttore dell’U.O.C. di Chirurgia Vascolare e Centro Trapianti dell’A.O.U. Policlinico/VE e Direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Vascolare.

Pierfrancesco Veroux
Pierfrancesco Veroux

L’angioplastica dilatativa delle vene giugulari nei pazienti affetti di sclerosi multipla è un metodo che, secondo i ricercatori universitari di Ferrara e Catania, risulta efficace se utilizzato in pazienti con criteri morfologici ed emodinamici selezionati e accurati. Lo studio che si chiama “Brave Dreams” ha avuto due fasi: nella prima, lo studio, pubblicato nel 2018, sostanzialmente boccia questa operazione chirurgica; nella seconda fase, vengono rivalutati alcuni parametri presi in esame e si arriva alla consapevolezza scientifica che i pazienti, con l’operazione, possono beneficiare del miglioramento del flusso venoso e di una diminuzione delle lesioni cerebrali (che costringono i malati di sclerosi ad avere una mobilità limitata o assente) ad un anno dall’intervento di angioplastica.

Una speranza, senza dubbio, che non sostituisce la realtà di ogni giorno per Francesca. È vero, è entrata in lista a Catania, ma ci sarà da aspettare, sperando che a dicembre non ci siano altri problemi dovuti alla pandemia.

Fatto sta che per la quotidianità, Francesca ha bisogno del lenitivo e, dopo il lockdown primaverile, telefona di nuovo al Santa Lucia, presso il reparto di Neuroriabilitazione. Stessa chiamata, stesso risultato. Le dicono che sarà richiamata a breve. Nessuno la richiama però, e siamo già a luglio quando ormai sono circa 5 mesi che Francesca non riceve le iniezioni (per lei ce ne vogliono tre a ciclo), comprese le cure riabilitative, che almeno le consentirebbero di stare in sicurezza sulla sedia a rotelle.

L’ultima chiamata, Francesca, l’ha fatta la scorsa settimana. E siamo ad ottobre, sono passati altri mesi, e la sua situazione è sempre la stessa: legata alla sedia a rotelle da cui si libera solo la notte quando va a dormire. Per il resto del giorno, se vuole stare sulla sedia e quindi vivere, deve costringersi a quei due lacci stretti attorno alle caviglie senza i quali rischierebbe di ruzzolare a terra.

disabili nel Lazio

Dal Santa Lucia, spiegano che l’ultima volta che Francesca ha chiamato, si sono dimenticati di richiamarla. Ad ogni modo, secondo l’interlocutore del Reparto, una infermiera dell’Unità Operativa Complessa di Neuroriabilitazione del Santa Lucia che riporta le decisioni della Dottoressa responsabile, adesso non sarebbe utile chiamare Francesca perché si trovano a fine anno e si sono accavallati altri pazienti.

Aprendo oggi la cartella, Francesca necessiterebbe, ci dicono, di 12 sedute (le iniezioni di botulino e la riabilitazione). Sono rimasti indietro e, quindi, prevedono di chiamarla per gennaio. Quindi, altri 3 mesi senza botulino e con le gambe legate. Vittime secondarie, per l’appunto. Vittime che non hanno il Covid ma che ne sono influenzati al di là di un Dpcm o di un’ordinanza regionale. Più di tutti noi.

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