SCHEGGIA, IL “COLLABORATORE” CHE ATTACCA RICCARDO: “VOLEVA DISTRUGGERE CETRONE E MELONI”

Agostino Riccardo
Agostino Riccardo

Processo Scheggia: è ripreso in Aula il dibattimento per il procedimento che vede sul banco degli imputati l’ex consigliera regionale Gina Cetrone

Non proprio un’udienza ordinaria quella che si è celebrata oggi, 28 giugno, di fronte al Collegio presieduto dal Giudice e Presidente di Tribunale Caterina Chiaravalloti, dal momento che ad essere chiamato come testimone è stato il 47enne collaboratore di giustizia Angelo Riccardi, originario di Formia, recentemente assolto in un rilevante processo sull’immigrazione clandestina pontina, dove le sue dichiarazioni sono risultate decisive per gli esiti penali. Mai intraneo al clan fondano Zizzo ma a conoscenza di particolari decisivi per l’indagine anti-droga denominata “Amnesia” (anno 2017), Riccardi ha voluto raccontare aspetti carcerari non ancora noti, che sarebbero avvenuti tra il 2018 e il 2020. E non sono mancati momenti di tensione in aula.

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Nel processo odierno in cui, come noto, sono imputati, a vario titolo, per estorsione, atti di illecita concorrenza, violenza privata, più gli illeciti connessi alle elezioni amministrative di Terracina 2016 l’ex consigliera regionale Gina Cetrone, l’ex marito Umberto Pagliaroli, i due del clan Di Silvio – Armando detto “Lallà” e il figlio Gianluca – oltreché ad Agostino Riccardo, il collaboratore di giustizia Riccardi è stato chiamato dall’avvocato Magnarelli che assiste la sunnominata Cetrone.

Gina Cetrone
Gina Cetrone

Riccardi, interrogato dall’avvocato Magnarelli che è anche il suo legale, sostiene di aver conosciuto le vicende che hanno coinvolto Gina Cetrone da Agostino Riccardo quando erano entrambi detenuti nella casa di reclusione ciociara di Paliano. Era l’anno 2018 e, secondo quanto riportato da Riccardi, l’ex affiliato ai clan Travali e Di Silvio e, ora collaboratore di giustizia, Agostino Riccardo, si trovava lì nel frangente dei 180 giorni concessi da norma a chiunque scelga di collaborare con lo Stato per rendere dichiarazioni alla magistratura.

Riccardi ha dichiarato che nel carcere c’era un detenuto che partecipava alle attività di musica e cultura: si tratta di Mauro De Bernardis detto “Spaghetti”, broker della droga romano coinvolto, nel 2017, nella maxi operazione denominata “La Romana”, portata a termine da Guardia di Finanza e Polizia con l’arresto di 19 persone. Un giorno, Riccardi avrebbe visto quel detenuto piangere mentre entrava in infermiera. Il medesimo avrebbe spiegato a Riccardi che Agostino Riccardo lo stesse convincendo, facendo pressioni, a scrivere una lettera di accuse per incriminare determinate persone.

“Riccardo – ha sostenuto Riccardi – parlava dei giudici antimafia Spinelli, Zuin e Fasanelli, dicendo che qualsiasi cazzata avrebbe potuto dire sarebbe stato creduto. Diceva che l’antimafia pendeva dalle sue labbra“. Secondo Riccardi, ci sarebbero altri testimoni che avrebbero sentito Riccardo vantarsi della sua credibilità agli occhi dei magistrati.

In sostanza Riccardo, secondo Angelo Riccardi, tra le altre cose comunque non menzionate né accennate, avrebbe vantato di poter distruggere Cetrone perché l’Antimafia credeva a tutto ciò che lui avrebbe potuto dire. E ancora, a quanto raccontato da Riccardi, anche il direttore del carcere non avrebbe visto bene Agostino tanto da avergli detto che la sua vita sarebbe stata dura così da costringerlo ad andarsene via da Paliano. “Cosa che poi avvenne”, ha chiosato Riccardi che ha più volte voluto rimarcare di come Agostino si sarebbe costruito fama di millantantore. “Mi chiedeva anche di Giuseppe D’Alterio detto ‘O Marocchino e di Carlo Zizzo”, ha riportato Riccardi, quasi a voler testimoniare di come l’ex affiliato ai clan rom fosse inopportuno.

Insomma, la deposizione di Angelo Riccardi è stata tutta tesa a ridimensionare l’attendibilità di Agostino Riccardo, cercando di punteggiare aspetti oscuri, se non meschini, e evidenziando le presunte pressioni contro un altro detenuto per far sì che questo sostenesse accuse contro imprecisati terzi. Un aspetto che sarebbe stato segnalato dal Riccardi stesso a un assistente del carcere. “Tutti i santi giorni – ha dichiarato in aula Angelo Riccardi riferendosi a Riccardo – diceva che avrebbe distrutto la Cetrone e anche alla Meloni le avrebbe dato “il biscotto”.

Giorgia Meloni
Giorgia Meloni

Talché, finito l’interrogatorio del collegio difensivo, è intervenuta il Pubblico Ministero Luigia Spinelli la quale, alla domanda del collaboratore collegato dalla località protetta (Angelo Riccardi) che chiedeva di sapere con chi stesse parlando, ha preferito non specificare il suo nome. Una circostanza ripresa dal Presidente del Collegio Chiaravalloti che ha indotto il Pm Spinelli a rendere noto il suo nome, proferito il quale, Riccardi, platealmente e sarcasticamente, ha fatto capire di avere finalmente l’opportunità di conferire con lei. Un comportamento irrispettoso, non proprio da aula di Tribunale, tanto da generare la dura reazione del Presidente del Collegio che ha richiamato il testimone.

Superato il primo scoglio, il Pm Spinelli ha chiesto a Riccardi come si inquadri, al momento, la sua posizione amministrativa rispetto al suo ruolo di collaboratore. E ciò che ne è venuto fuori ha presentato un aspetto non conosciuto sin dall’inizio dell’udienza. Infatti, è stata la stessa Pm Spinelli a ricordare che, ad oggi, il programma di protezione e di collaborazione con lo Stato per Riccardi non è stato prorogato: la commissione centrale, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, ha avviato il procedimento di decadenza/revoca della collaborazione di Riccardi.

Le parole del Pm hanno provocato la reazione del Riccardi stesso il quale, collegato dalla località protetta, ha detto che il procedimento di revoca è stato un abuso da lui subito. È nel maggio 2021, però, che effettivamente si è proceduto a imbastire la pratica di revoca dal programma di collaborazione, a cui è seguito un ricorso al Tar da parte di Riccardi che ha prodotto un annullamento della revoca nel marzo 2022. Al che sia DDA che commissione hanno reiterato il provvedimento di revoca verso il quale, al momento, pende un nuovo ricorso al Tar. A dar manforte alla veridicità della vicenda, il Pm Spinelli ha prodotto a favore del Tribunale la documentazione e i tre verbali della DDA sulla collaborazione di Riccardi con lo Stato.

In poche parole, un collaboratore di giustizia “sub judice” per una vicenda che si è giocata senza esclusione di colpi: se all’inizio, e da quando è partito questo processo, la difesa ha cercato di dimostrare l’inattendibilità di Agostino Riccardo, di rimando, oggi, è stata la pubblica accusa a voler palesare, provvedimenti alla mano, che il collaboratore di giustizia Angelo Riccardi, chiamato a minare la credibilità di Riccardo, non era lui stesso così attendibile.

Conclusa la testimonianza di Riccardi, sicuramente animata e controversa, persino con un breve accenno, senza entrare nel merito, alla vicenda personal-sentimentale che coinvolse Agostino Riccardo, la ex compagna e un agente di Polizia, è stato ascoltato uno dei due poliziotti che nella primavera 2016, insieme ad un collega ormai deceduto, aveva fermato il medesimo Agostino Riccardo e i due terracinesi Matteo Lombardi (deceduto anche lui) e Gianluca D’Amico nella città del Tempio di Giove Anxur.

Agostino Riccardo
Agostino Riccardo

A giugno 2016, i tre furono fermati a Terracina, in una circostanza nota nella quale furono trovati in una Citroen svariati manifesti di liste e politici (Noi con Salvini, Zicchieri, Calandrini Lungo, Cuori Italiani) che si presentavano alle elezioni di Terracina e Latina. Secondo l’agente di Polizia, tutti e tre dissero che si erano incontrati perché avrebbero dovuto essere pagati, circa 100mila euro, da un politico locale. In particolare, Matteo Lombardi – ha specificato il poliziotto interrogato dall’avvocato Magnarelli – avrebbe detto che stavano facendo la campagna elettorale per Corradini sindaco con la Cetrone candidata come consigliere comunale nella lista “Sì Cambia”.

Infine, come ultima testimonianza, è stata la volta della sorella dell’imputato Umberto Pagliaroli. Una escussione che non ha aggiunto molto al processo rinviato al prossimo 12 luglio e che sta arrivando alle battute finali. È probabile, però, che non vi sia più la speditezza degli ultimi tempi poiché è sicuro che, pur venendo meno le misure cautelari per Armando Di Silvio e Gianluca Di Silvio nell’ambito di questo procedimento, i due imputati non usciranno dalle patrie galere: entrambi, infatti, condannati nel processo “Alba Pontina”, non maturerebbero le condizioni per essere liberati. Il primo, Lallà, perché condannato in primo grado a 24 anni per fatti di mafia, il secondo perché sta scontando la sua pena a 12 anni con sentenza passata in giudicato. Alla richiesta dell’avvocato Palmieri di revocare le due misure cautelari (comunque senza effetti ai fini della scarcerazione), anche il Pm Spinelli si è trovata d’accordo.

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