Latina, i Carabinieri eseguono una misura cautelare personale per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro
Facevano lavorare in nero gli immigrati Antonello e Renzo Lovato, rispettivamente figlio e padre, che nell’azienda del primo – una ditta individuale, gestita di fatto dal padre – impiegavano almeno sette braccianti in nero, tra cui la moglie di Satnam, Soni Soni. È questa, in estrema sintesi, il perno centrale delle nuove accuse che hanno portato al secondo arresto di Antonello Lovato (39 anni), da luglio in carcere e in attesa del processo per l’omicidio doloso di Satnam Singh, e del padre Renzo Lovato (64 anni), già indagato nella maxi indagine per caporalato denominata “Jamuna”. A firmare i nuovi arresti, uno dei quali notificato dai Carabinieri nel carcere di Frosinone dove è ristretto Lovato junior, è il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Barbara Cortegiano.
Oggi, 23 gennaio, su disposizione del sostituto procuratore della Repubblica di Latina, Marina Marra, sono stati i militari della Compagnia Carabinieri di Latina, in collaborazione con personale del Nucleo Ispettorato del Lavoro Carabinieri del capoluogo pontino, a dare esecuzione all’ordinanza applicativa di misura cautelare personale nei confronti Antonello Lovato, legale rappresentante dell’azienda “Lovato Antonello” per cui lavorava la vittima Satman Singh, e il padre di questi, Renzo Lovato, amministratore di fatto della ditta individuale, ritenuti, in concorso tra loro, presunti responsabili di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro pluriaggravata, per avere utilizzato manodopera costituita dai braccianti agricoli in condizioni di irregolarità sul territorio nazionale, ossia privi di permesso di soggiorno, tra cui il predetto Satnam Singh, a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
L’attività investigativa è stata condotta dalla Compagnia Carabinieri di Latina, in collaborazione con i militari del locale Nucleo Ispettorato del Lavoro Carabinieri, a partire dal 17 giugno 2024, giorno del grave infortunio occorso a Satnam Singh, poi deceduto, coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica di Latina, Marina Marra.
L’indagine è stata portata avanti anche mediante un’accurata analisi delle utenze telefoniche e dei social in uso ai lavoratori irregolari trovati sui campi al momento del predetto infortunio, nonché grazie al contributo dichiarativo offerto da quattro lavoratori irregolari, che su richiesta del Comando Compagnia Carabinieri di Latina, hanno ottenuto il permesso di soggiorno per “casi speciali”. Le testimonianze, su cui si fonda la nuova ordinanza, hanno consentito di delineare il grave quadro indiziario nei confronti degli indagati.
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Le indagini hanno permesso di circostanziare le condizioni di sfruttamento e la volontà degli indagati di approfittare dello stato di bisogno dei lavoratori irregolari attraverso la corresponsione di retribuzioni difformi dai contratti collettivi nazionali; la violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo e al riposo settimanale; la violazione delle norme in materia di sicurezza.
Analogamente, è stato possibile delineare le aggravanti del reato contestato, avendo gli indagati impiegato, da agosto 2022 a giugno 2024, più di 3 lavoratori irregolari, esponendoli a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro, nella fattispecie impiegando i lavoratori a mansioni improprie mediante l’utilizzo di attrezzatura artigianale e pericolosa.
L’Autorità Giudiziaria ha disposto anche il controllo giudiziale dell’azienda a vario titolo riconducibile ai due indagati, nominando un amministratore giudiziario nei cui confronti si è proceduto alla notifica del predetto provvedimento.
La prima ad essere ascoltata dagli inquirenti in merito allo sfruttamento lavorativo è stata Soni Soni, la compagna di Satnam, prossima a costituirsi parte civile nel processo per omicidio doloso. La donna ha raccontato di come sono arrivati in Italia con Satnam, passando per Croazia, tra carta Visa e permessi provvisiori.
Prima di arrivare a Latina, la coppia è arrivata nel nord Italia, tra Trieste e Milano, per poi arrivare a Cancello Arnone (Caserta) dietro il pagamento di 800 euro a un indiano. Nel casertano, Satnam lavorava in un’azienda agricola con allevamento bufale dalle ore 2,30 alle 12,30, per poi riattaccare alle 15 e finire alle ore 20. 800 euro al mese, mentre per Soni Soni i soldi ammontavano a 700 euro pur lavorando le stesse ore. È a luglio 2022 che i due decidono di spostarsi a Latina: “Lavoro meno fatico e retribuzione più alta”. Dopo un mese, entrambi iniziano a lavorare per i Lovato.
Inizia la routine dei campi per raggiungere l’azienda di Lovato a Borgo Santa Maria: “Tutte le mattine sia io che mio marito raggiungevamo l’azienda con la nostra bicicletta, dista circa 15 km, impieghiamo 40 minuti circa a tratta con la bicicletta”. Le mansioni erano quelle dei contadini: taglio dell’insalata in inverno e raccolta di meloni e cocomeri, più zucchine, in primavera, senza contare il taglio ortaggi e frutta.
E la paga? La paga era di 5 euro e 50 centesimi l’ora, successivamente nel 2024 6 euro all’ora per 8/9 ore al giorno d’estate e a primavera, compresa la domenica fino a mezzogiorno. La paga in nero, appuntata in un quaderno tenuto da Lovato junior su un quaderno. Gli orari a Latina, così come descritto da Soni, sono effettivamente più blandi rispetto al casertano: d’estate dalle 6 e mezzo del mattino fino alle 12, per poi riprendere dalle 13 e staccare alle 16 o 17. In inverno, il lavoro è dalle ore 7 fino alle ore 12 o 13. Se qualcuno manca per malattia o altro non viene pagato. Per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro e gli strumenti, nulla è mai stato fornito: “Non ho mai visto estintori o vie di fuga…ho comprato da sola guanti e scarpe anti infortunistiche…né ho mai fatto corsi sulla sicurezza, né so cosa sia l’Inail”.
Dopo Soni, particolare rilievo assume anche la testimonianza di un altro lavoratore indiano dell’azienda di Antonello Lovato. Si tratta dell’uomo che, nel maledetto giorno del 17 giugno 2024, quando Satnam si ferì al braccio, condusse le forze dell’ordine presso l’azienda agricola. L’uomo spiega agli inquirenti che a dare gli ordini del lavoro non è Antonello Lovato ma Renzo Lovato o un altro uomo anziano: “forse il fratello di Renzo”.
Quella mattina, insieme a Satnam Singh, c’erano altri ragazzi indiani oltreché a Soni, e anche due romeni e un africano. Con loro Antonello Lovato. Anche l’uomo indiano conferma le modalità di pagamento in nero e in contanti nell’azienda dei Lovato. Dopo essere stato interrogato, l’indiano, che è stato ascoltato a luglio anche nel corso di un incidente probatorio dal Gip del Tribunale di Latina insieme a Soni, teme che qualcuno possa fargli del male o comunque di essere minacciato.
Le testimonianze di chi lavorava dai Lovato sono tutte dello stesso tenore e confermano il quadro delineato dagli inquirenti. Uno di loro spiega: “Da quando è successo l’incidente di Satnam non vado più a lavorare per paura che possa accadere anche a me. Il giorno dell’incidente ero presente a lavoro un azienda e ho sentito le urla di dolore di Singh mentre accadeva il fatto. Non ho assistito all’incidente ma mi è stato riferito da altri connazionali che lavoravano con me quel giorno”.
Tutti i lavoratori ascoltati dai Carabinieri hanno confermato l’assenza di misure di sicurezza, senza contare che nessuno di loro, dopo la morte di Satnam, ha operato più presso l’azienda di Antonello e Renzo Lovato che veniva chiamato “Capo”. Nessuno di loro aveva documenti regolari per il permesso di soggiorno e le condizioni igieniche erano oltre i limiti sul luogo di lavoro. Uno dei testimoni spiega: “Nei campi non vi erano servizi igienici e, in caso di bisogno, ci portavamo nei pressi di qualche albero, mentre all’ingresso dell’azienda trovavamo quelli come una cabina in plastica. L’acqua da bere la portavo io da casa, mentre sul posto vi era quella non da bere che usavamo per sciacquarci le mani“. E la salute: “Mai visto un medico di azienda”.
Un altro dei testimoni ascoltati, alla stregua degli altri connazionali, spiega che nessuno di loro utilizzava i macchinari tranne Satnam Sing e un altro indiano: “Essendo quelli più anziani sul posto di lavoro, erano in grado di utilizzare alcuni macchinari tipo quello utilizzato per coprire le piante con i teli di plastica ovvero quello per la posa di tubi neri per l’irrigazione“. L’uso del macchinario porterà, come noto, alla morte di Satnam, sebbene Lovato avesse dichiarato che al bracciante non era permesso di utilizzare il macchinario medesimo.
Ad fine agosto 2024, dopo la morte di Satnam, le manifestazioni della comunità e dei sindacati e la mobilitazione mediatica, anche internazionale, tre lavoratori indiani presentano denuncia nei confronti di Lovato junior e senior. L’accusa è quella di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Gravi le accuse evidenziate dal Gip Cortegiano nel suo provvedimento a carico di Renzo e Antonello Lovato: “Si va dall’insufficienza del documento di valutazione del rischio, all’omissione della formazione ed. informazione dei lavoratori, dall’impiego di macchinari ed attrezzature non a norma, omessa fornitura di dispositivi di protezione individuale. In particolare, si è riscontrato l’utilizzo di un macchinario di fattura artigianale, cosiddetto avvolgitelo, privo di qualsiasi certificazione di conformità e di dispositivi di protezione, impiegato da lavoratori, oltre che irregolari, privi di qualsiasi formazione tecnica.
Tali violazioni portavano al grave ferimento di Satnam Singh; egli, inconsapevole dei rischi a cui andava incontro, nell’utilizzare il macchinario adoperato per riavvolgere i teli in plastica, si procurava l’amputazione del braccio e gravi lesioni in più parti del corpo che ne cagionavano il successivo decesso. In tali condizioni di pericolo versavano anche gli altri lavoratori, non informati sulla gestione di eventuali situazioni di emergenza. Dalle condizioni generali di lavoro, calate nelle situazioni personali dei singoli braccianti, si desume in maniera chiara la condizione di sfruttamento dello stato di bisogno in cui versavano gli stessi”.
I Lovato finiscono in carcere perché, a detta del Gip, c’è il rischio di inquinamento probatorio e reiterazione del reato. Renzo Lovato potrebbe avvicinare i testimoni e intimorirli, considerato lo stato di soggezione e sfruttamento dei lavoratori indiani. Inoltre, Renzo Lovato, quando ricevette l’avviso conclusione indagini dell’inchiesta sul caporalato nel 2023, “ha intrapreso un’azione massiva di cessione dei beni, nella specie negoziando contratti di fitto di fondo rustico dei propri terreni, contratti compravendita di terreni, di comodato d’uso gratuito delle aziende facenti capoto alla sua famiglia“. Ecco perché il padre come il figlio, che si è attivato a disfarsi dei suoi beni dopo l’incidente di Satnam, potrebbero reiterare i reati e inquinare le prove. “L’assenza di un presidio cautelare (nda: il carcere) metterebbe a serio rischio il bene vita delle persone offese“.