Braccianti sfruttati, processo bis per Antonello Lovato e il padre Renzo Lovato accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro
Il giudice monocratico del Tribunale di Latina, Clara Trapuzzano Molinaro, ha accolto tutte le parti civili che avevano fatto richiesta nella scorsa udienza del 19 novembre. Accolti gli enti pubblici e accolti i famigliari, i lavoratori e la compagna Soni Soni perché, a parere del giudice, diversamente da quanto sollevato dalla difesa, possono comprendere la lingua italiana. Non sono fondate neanche le eccezioni mosse dalla difesa rispetto a un presunto “ne bis in idem” dovuto alla compresenza delle stesse parti civili nell’altro processo che vede alla sbarra Antonello Lovato per omicidio doloso.
Una volta letta l’ordinanza di accoglimento di tutte le parti civili, il giudice Trapuzzano Molinaro ha dichiarato aperto il dibattimento. Il pubblico ministero Marina Marra, titolare dell’indagine, ha chiesto di ascoltare i testimoni e l’esame degli imputati. Le stesse richieste sono state avanzate dalle parti civili e dalle difese. Tra i testimoni citati dalla parte civile Soni Soni anche il sociologo esperto in temi di caporalato, Marco Omizzolo, verso cui la difesa si è opposta affinché sia ascoltato nel corso del dibattimento, in quanto estraneo alla vicenda oggetto del processo.
La difesa ha chiesto l’esclusione di tutti i testimoni citati da Soni Soni, tra cui anche i sindacalisti Giuseppe Massafra, Laura Kaur e Stefano Morea. Testimoni generici e irrilevanti per la difesa. Chiesta l’esclusione dalla lista testimoni anche dell’amministratore giudiziario della ditta Lovato: Fabrizio Iapoce. Un punto sul quale l’avvocato Antinucci ha eccepito lungamente in quanto l’azienda Lovato non sarebbe stata più attiva al momento della nomina del Tribunale di Latina. La difesa ha chiesto anche la sostituzione delle misure cautelari per entrambi gli imputati: Antonello Lovato è in carcere; Renzo Lovato ai domiciliari. Per il primo la difesa chiede gli arresti domiciliari, mentre il secondo la misura dell’obbligo di firma anche con braccialetto elettronico. Il pm Marra si è opposta alla richiesta della difesa.
Il giudice sulle eccezioni della difesa e sulla richiesta della sostituzione delle misure cautelari si è riservata, rinviando al prossimo 7 gennaio. In quella data, verranno ascoltati tutti i Carabinieri che hanno svolto l’indagine.
“Pochi giorni fa a Cisterna – commenta il sindaco Valentino Mantini che era presente in aula – abbiamo inaugurato “L’Albero della Sicurezza” per dire basta alle vittime sul lavoro. Oggi è stata accolta la nostra richiesta di costituzione di parte civile in questo procedimento, richiesta presentata alla luce della gravità del comportamento messo in atto nei confronti di numerosi braccianti, a conferma che questa amministrazione è impegnata nella difesa dei lavoratori contro ogni forma di sfruttamento. È necessario diffondere e attuare la cultura della prevenzione e del controllo – conclude il primo cittadino – senza dimenticare le aziende sane del nostro territorio”.
Il processo odierno è quello per caporalato e ad essere imputati sono Antonello Lovato e il padre Renzo Lovato, entrambi di Latina. I due, padre e figlio, difesi dagli avvocati Mario Antinucci, Stefano Perotti e Valerio Righi, devono affrontare il processo in cui viene contestata loro l’uso di manodopera costituita da braccianti agricoli in condizioni di irregolarità sul territorio nazionale, sottoponendoli a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Gli imputati sono stati entrambi presenti in aula; Antonello Lovato è stato trasferito dall’agenzia penitenziaria in Tribunale, essendo detenuto nel carcere di Frosinone. Presenti anche oggi le parti civili: Comune di Latina e Cisterna assistiti rispettivamente dagli avvocati Cinzia Mentullo e Maria Belli, i sindacati Flai Cgil e Cgil Frosinone Latina, difesi dagli avvocati Andrea Ronchi e Massimo Di Celmo, oltreché a quattro vittime dei Lovato, tra cui la moglie di Satnam, Soni Soni, e i famigliari del defunto 31enne bracciante indiano, rispettivamente assistiti dagli avvocati Roberto Maiorana e Giuseppe Versaci. A costituirsi parte civile anche la Regione del Lazio, tramite gli avvocati Carlo D’Amata e Lisa Angarano.
Nella scorsa udienza, la difesa dei Lovato aveva depositato una memoria con le eccezioni nei confronti delle parti civili. Era stato l’avvocato Righi, a cui si erano associati anche gli altri legali, a sottolineare che per la Cgil Frosinone Latina, così com per la Flai Cgil, sarebbe stato in essere un “ne bis in idem”, ossia un duplicato processuale, in quanto i sindacati sono già parti civili nel processo principale, quello che contesta l’omicidio doloso di Satnam Singh ad Antonello Lovato. I sindacati lamentano di aver subito un danno non patrimoniale (danno d’immagine e alla reputazione) e la difesa obiettava che non si potesse avanzare una richiesta risarcitoria per uno stesso fatto storico.
Per il Comune di Cisterna, vi sarebbe stata una sovrapposizione poiché la documentazione per la richiesta risarcitoria sarebbe identica a quella presentata per il processo “madre”: stesse richieste e quindi “un assurdo ricevere un risarcimento del danno doppio”, ha spiegato l’avvocato Righi. Ci sarebbe stato anche un problema di territorialità in quanto l’eventuale reato dello sfruttamento di lavoro si sarebbe consumato. Stesse obiezioni per Comune di Latina e Regione Lazio che facevano riferimento al procedimento penale in cui Antonello Lovato è imputato per omicidio doloso. La difesa, quindi, chiedeva l’estromissione delle parti civili dei due sindacati, dei due Comuni e della Regione Lazio. Inoltre, per la Cgil Frosinone, la difesa obiettava l’inamissibilità in quanto la richiesta sarebbe stata generica.
Secondo la difesa, anche le parti civili tra cui l’ex compagna, Soni Soni, sarebbero state inammissibili perché presentate tramite una procura speciale alle liti in italiano, sebbene le possibili parti civili non parlino la lingua di Dante.
Alle eccezioni della difesa, si erano opposte naturalmente tutte le parti civili: “Se ci fosse ne bis in idem, non ci sarebbero due procedimenti penali”, aveva detto l’avvocata del Comune di Latina, Cinzia Mentullo. Peraltro, secondo la legale, il Comune di Latina chiedeva un danno non patrimoniale in quanto la vicenda ha avuto una rilevante eco mediatica. Sul ne bis in idem, il legale della Cgil Frosinone Latina aveva sottolineato che si tratta di due reati diversi: da un parte l’omicidio doloso, dall’altra lo sfruttamento del lavoro. A opporsi alle obiezioni della difesa anche Regione Lazio e Comune di Cisterna, nonché vittime del caporalato dei Lovato. Il Comune di Cisterna aveva evidenziato che lo sfruttamento dei lavoratori avviene nei territori di Latina e Cisterna senza soluzione di continuità.
Sulla questione della lingua, il legale dei lavoratori aveva spiegato che due di loro parlano la lingua; tuttavia, lo scoglio della lingua è facilmente superabile con l’aiuto dei traduttori.

DI COSA DI PARLA – Si tratta del secondo filone di indagine derivante da quella per la tragedia di Satnam Singh che, dopo aver perso il braccio, fu scaricato da Antonello Lovato davanti casa come un pacco, per poi morire due giorni dopo al San Camillo di Roma. Per questa vicenda, come noto, Lovato è a processo per omicidio doloso. Invece, a gennaio scorso, arrivò un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere per Antonello Lovato e il padre Renzo, poi alleviata solo per quest’ultimo dal Riesame in arresti domiciliari. L’accusa era quella di sfruttamento del lavoro emerso negli approfondimenti dei Carabinieri che, indagando sulla morte di Satnam, misero in luce, coordinati dal sostituto procuratore Marina Marra, un quadro ritenuto illecito.
Secondo l’accusa, facevano lavorare in nero gli immigrati, Antonello e Renzo Lovato, che nell’azienda del primo – una ditta individuale, gestita di fatto dal padre – impiegavano almeno sette braccianti in nero, tra cui la moglie di Satnam Singh, Soni Soni. È questa, in estrema sintesi, il perno centrale delle accuse che avevano portato al secondo arresto di Antonello Lovato (39 anni), da luglio 2024 in carcere e imputato nel processo per l’omicidio doloso di Satnam Singh (riprenderà il prossimo dicembre), e del padre Renzo Lovato (64 anni), già indagato nella maxi indagine per caporalato denominata “Jamuna”.
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Padre e figlio, in base all’inchiesta del pubblico ministero Marina Marra, sono ritenuti, in concorso tra loro, presunti responsabili di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro pluriaggravata, per avere utilizzato manodopera costituita dai braccianti agricoli in condizioni di irregolarità sul territorio nazionale, ossia privi di permesso di soggiorno, tra cui il predetto Satnam Singh, a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Renzo Lovato era stato prelevato in Strada del Passo, dove vive, e portato nel carcere di Via Aspromonte.

L’attività investigativa è stata condotta dai Carabinieri del Nucleo Radiomobile di Latina, guidati dal tenente Massimo Ienco, in collaborazione con i militari del locale Nucleo Ispettorato del Lavoro Carabinieri e delle Stazioni di Borgo Podgora e Borgo Sabotino, a partire dal 17 giugno 2024, giorno del grave infortunio occorso a Satnam Singh, poi deceduto.
L’indagine è stata portata avanti anche mediante un’accurata analisi delle utenze telefoniche e dei social in uso ai lavoratori irregolari trovati sui campi al momento del predetto infortunio, nonché grazie al contributo dichiarativo offerto da quattro lavoratori irregolari, che su richiesta del Comando Compagnia Carabinieri di Latina, hanno ottenuto il permesso di soggiorno per “casi speciali”.
Le testimonianze, su cui si fonda l’inchiesta, hanno consentito di delineare il grave quadro indiziario nei confronti degli indagati.
La prima ad essere ascoltata dagli inquirenti in merito allo sfruttamento lavorativo è stata Soni Soni, la compagna di Satnam, parte civile nel processo per omicidio doloso. La donna aveva raccontato di come erano arrivati in Italia con Satnam, passando per Croazia, tra carta Visa e permessi provvisori.
Prima di arrivare a Latina, la coppia era arrivata nel nord Italia, tra Trieste e Milano, per poi arrivare a Cancello Arnone (Caserta) dietro il pagamento di 800 euro a un indiano. Nel casertano, Satnam lavorava in un’azienda agricola con allevamento bufale dalle ore 2,30 alle 12,30, per poi riattaccare alle 15 e finire alle ore 20. 800 euro al mese, mentre per Soni Soni i soldi ammontavano a 700 euro pur lavorando le stesse ore. È a luglio 2022 che i due decisero di spostarsi a Latina: “Lavoro meno fatico e retribuzione più alta”. Dopo un mese, entrambi iniziarono a lavorare per i Lovato.
Le mansioni erano quelle dei contadini: taglio dell’insalata in inverno e raccolta di meloni e cocomeri, più zucchine, in primavera, senza contare il taglio ortaggi e frutta. E la paga? La paga era di 5 euro e 50 centesimi l’ora, successivamente nel 2024 6 euro all’ora per 8/9 ore al giorno d’estate e a primavera, compresa la domenica fino a mezzogiorno. La paga in nero, appuntata in un quaderno tenuto da Lovato junior su un quaderno.
Le testimonianze di chi lavorava dai Lovato sono state tutte dello stesso tenore e confermavano il quadro delineato dagli inquirenti. Uno dei lavoratori indiani spiegava: “Da quando è successo l’incidente di Satnam non vado più a lavorare per paura che possa accadere anche a me. Il giorno dell’incidente ero presente a lavoro un azienda e ho sentito le urla di dolore di Singh mentre accadeva il fatto. Non ho assistito all’incidente ma mi è stato riferito da altri connazionali che lavoravano con me quel giorno”.
Tutti i lavoratori ascoltati dai Carabinieri avevano confermato l’assenza di misure di sicurezza, senza contare che nessuno di loro, dopo la morte di Satnam, aveva operato più presso l’azienda di Antonello e Renzo Lovato che veniva chiamato “Capo”. Nessuno di loro aveva documenti regolari per il permesso di soggiorno e le condizioni igieniche erano oltre i limiti sul luogo di lavoro. Uno dei testimoni aveva spiegato agli inquirenti: “Nei campi non vi erano servizi igienici e, in caso di bisogno, ci portavamo nei pressi di qualche albero, mentre all’ingresso dell’azienda trovavamo quelli come una cabina in plastica. L’acqua da bere la portavo io da casa, mentre sul posto vi era quella non da bere che usavamo per sciacquarci le mani“. E la salute: “Mai visto un medico di azienda”.
