Stabilimento balneare in fiamme a Sabaudia: sentenze diverse per madre e figlia, ritenute le mandanti dell’incendio
Le due donne, Mariella D’Indio e Tatiana Rizzi, rispettivamente madre e figlia, erano chiamate a rispondere dell’incendio doloso avvenuto il 6 gennaio 2022 presso lo stabilimento balneare “Duna 31.5” sul lungomare di Sabaudia. Al termine di una lunga udienza, il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Mario La Rosa, tramite rito abbreviato, ha assolto la 34enne Tatiana Rizzi con formula piena e condannato a 2 anni e 8 mesi la 67enne Mariella D’Indio per il reato di incendio doloso. Le due donne sono assistite entrambe dall’avvocato Guido Calisi.
I titolari dello stabilimento balneare, costituitisi parte civile, potranno rivalersi in sede civile per l’eventuale risarcimento. Ad ogni modo, dopo la pubblicazione della sentenza, entro 90 giorni, è scontato il ricorso in Corte d’Appello da parte della difesa.
A ottobre, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, dopo le misure cautelari disposte dall’allora Gip Giorgia Castriota, sia madre che figlia avevano spiegato di essere state minacciate da Valerio Toselli, il giovane che, secondo gli inquirenti, sarebbe l’esecutore materiale del rogo con la collaborazione dell’altro trentenne di Sabaudia, Simone Petrucci. I due giovani sono tuttora sotto processo per questo episodio avendo scelto il rito ordinario.
Dopo l’incendio dello stabilimento “Duna 31.5”, i sospetti dei Carabinieri della Stazione di Sabaudia, coordinati dal Procuratore Aggiunto Carlo Lasperanza e dal sostituto Daria Monsurrò, ricaddero sulle due donne. Secondo la ricostruzione dei militari dell’Arma, l’incendio sarebbe stato effettivamente commissionato da loro, in qualità di titolari di una concessione per noleggio di sdraio e ombrelloni, cessata a seguito di ripetute violazioni accertate dai Carabinieri Forestali del Parco di Fogliano.
Le ulteriori indagini dei Carabinieri avrebbero permesso di individuare in Toselli l’autore dell’incendio che, insieme a Petrucci, per 500 euro, avrebbero materialmente dato fuoco allo stabilimento, per poi allontanarsi mentre lo stesso bruciava.
Il movente, secondo chi ha svolto le indagini, è da ricercare in vecchie acredini tra le donne: da una parte la madre D’Indio e la figlia Rizzi, impegnate all’epoca degli screzi nell’attività di noleggio sul lungomare pontino e interessate, in passato, alla concessione demaniale, aggiudicata invece alle cosiddette rivali; dall’altro le sorelle della Capitanucci Srl (società che gestisce il “Duna 31.5), risultate vincitrici della procedura di gara per l’aggiudicazione della concessione contesa.
Oggi però la sentenza del Gup La Rosa ha scagionato completamente la più giovane delle donne, ritenute mandanti.
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