RESPINTO IL RICORSO DEL POLIZIOTTO DI LATINA: “ASSOLTO, MA FREQUENTAVA CHI NON DOVEVA”

Carlo Ninnolino
Carlo Ninnolino

La Cassazione respinge la richiesta di liquidazione per ingiusta detenzione da parte dell’agente di Polizia, Carlo Ninnolino

Come anticipato da Latina Tu lo scorso 14 ottobre, l’assistente capo della Polizia di Stato, Carlo Ninnolino, per anni in servizio alla Questura di Latina, si è visto respingere il 12 ottobre dalla Corte di Cassazione la richiesta di liquidazione dell’equa riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione a misura cautelare. Un ricorso rigettato di cui, il 26 ottobre, sono uscite le motivazioni.

Il poliziotto fu sottoposto alla custodia in carcere dal 12 ottobre 2015 all’8 marzo 2016 e, in seguito, agli arresti domiciliari dal 9 marzo al 12 settembre 2016: in tutto circa 10 mesi di misura cautelare restrittiva a causa dell’indagine denominata “Don’t Touch”, il procedimento di Procura e Squadra Mobile di Latina che diede il primo colpo rilevante all’associazione, all’epoca per la magistratura “solo” semplice, retta dai fratelli Angelo e Salvatore Travali e dal parente Costantino “Cha Cha” Di Silvio.

Nel processo “Don’t Touch”, Ninnolino fu assolto, tuttavia da febbraio 2021 è indagato e al momento sotto processo nel procedimento Reset che contesta, non a lui, l’associazione mafiosa al clan Travali/Di Silvio. Tra coloro che si trovano, infatti, nel processo istruito dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, le cui indagini sono state eseguite sempre dalla Squadra Mobile di Latina, ci sono per l’appunto anche l’agente di polizia Carlo Ninnolino e l’imprenditore Riccardo Pasini, contro i quali le accuse sono affini a quelle contestate nel processo Don’t Touch.

Entrambi furono assolti nei vari gradi di giudizio del processo Don’t Touch, ma, come accennato, sono stati richiamati in causa dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ex appartenenti al Clan Travali, Renato Pugliese e Agostino Riccardo (anche loro indagati nell’operazione Reset, il cui procedimento è stato separato): secondo la DDA, Ninnolino anche per il tramite di Pasini soffiava le informazioni sulle indagini ai Travali. Più o meno la stessa accusa mossa nel processo Don’t Touch, tanto è che i rispettivi avvocati Siciliano e Marino hanno chiesto al collegio del Tribunale di Latina il non doversi procedere per il principio del “ne bis in idem” per cui un giudice non può esprimersi due volte sulla stessa azione.

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La riserva su di loro dovrebbe essere sciolta il prossimo 11 novembre quando si celebrerà una nuova udienza del processo Reset che, al momento, non ha visto ancora aprirsi il dibattimento.

Ad ogni modo, tornando alla vicenda originaria, ossia l’ingiusta detenzione reclamata da Ninnolino per l’arresto scaturito dal procedimento “Don’t Touch”, la Cassazione ha confermato quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Roma con l’ordinanza del 7 luglio 2021 quando respinse il ricorso del poliziotto.

Secondo l’ipotesi accusatoria del processo Don’t Touch, Ninnolino – all’epoca Assistente capo della Polizia di Stato presso la Questura di Latina – avrebbe partecipato ad una associazione per delinquere (Clan Travali/Di Silvio) finalizzata alla commissione di gravi delitti col compito di rivelare informazioni su procedimenti penali in corso ovvero su attività investigative e giudiziarie riguardanti gli appartenenti all’associazione. In particolare, avrebbe fornito tali informazioni a Riccardo Pasini che le avrebbe comunicate ai componenti dell’associazione. Ipotesi che, come detto, è stata negata dall’assoluzione, ma che rivive con le nuove rivelazioni nel processo Reset.

Ninnolino, nel procedimento “Don’t Touch”, fu condannato in primo grado dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, per poi essere assolto in grado di appello con sentenza del 29 settembre 2017. Il ricorso proposto contro la sentenza di assoluzione è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione con sentenza del 18 dicembre 2018.

La sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto – ricorda oggi la Cassazione – ha ritenuto che l’ambiguità degli interlocutori e il tenore delle conversazioni intercettate non consentissero di escludere una millanteria di Pasini, ossia quelle di ricevere informazioni di polizia giudiziaria, o un suo intento calunnioso in danno di Ninnolino.

Tuttavia, l’ordinanza della Corte d’Appello di Roma impugnata da Ninnolino “ha ritenuto sussistente la colpa grave dell’interessato perché egli intrattenne rapporti con Riccardo Pasini, “soggetto pregiudicato, seppure riabilitato, […] collegato e contiguo ad ambienti criminali”, circostanze delle quali Ninnolino, che per decenni aveva operato nella Squadra Mobile della Questura di Latina, era a conoscenza”.

Secondo la Corte d’Appello, “tale frequentazione consentì a Pasini di spendere il nome di Ninnolino…si trattò di una frequentazione assidua e non occasionale, come emerge dai numerosi contatti telefonici che intercorsero tra Pasini e Ninnolino…tale condotta, gravemente imprudente, ebbe un ruolo causalmente efficiente nell’applicazione della misura cautelare e nel suo protrarsi”.

Un ruolo analogo, seppur di minore rilevanza, avrebbero avuto altre condotte, non oggetto di imputazione, ma emerse nel corso delle indagini e valorizzate dal Giudice per le indagini preliminari del procedimento “Don’t Touch” a fini cautelari. In particolare, spiega la Cassazione, “il fatto che Ninnolino avesse prestato denaro ad un soggetto pregiudicato; il fatto che (come emerso da una conversazione intercettata) egli si fosse superficialmente rapportato con una persona che gli chiedeva informazioni sulla concessione degli arresti domiciliari ad un amico e, al termine della conversazione, avesse chiesto a quella persona di portargli due bottiglie di vino“.

La difesa di Ninnolino ha sostenuto che la frequentazione tra i poliziotto e Pasini “è estranea al compendio indiziario sulla base del quale è stata emessa l’ordinanza cautelare, fondata esclusivamente su intercettazioni nelle quali Ninnolino è menzionato, ma “non compare mai come diretto conversante”.

Per la Cassazione, però, il ricorso di Ninnolino non è fondato perché, pur essendo stato assolto e risultando intercettate conversazioni nelle quali il poliziotto non rivela informazioni riservate, la frequentazione con Pasini non è stata contestata: un aspetto che la Corte d’Appello ha individuato come una condotta caratterizzata da colpa grave e perciò ostativa al riconoscimento del diritto all’indennità da ingiusta detenzione. La stessa Corte d’Appello rileva, in particolare, che “una tale frequentazione ha consentito a Pasini di poter spendere il nome di Ninnolino, definendolo un “infamone” e dicendo di lui: «l’avemo fatto magnà a quattro ganasse”.

Insomma, per la Corte d’Appello e la Corte di Cassazione, la frequentazione tra Pasini e Ninnolino è dirimente per negare a quest’ultimo l’ingiusta detenzione. Tra i due intercorsero oltre 40 contatti intercettati e, sottolineano gli ermellini, è un “fatto pacifico” che Pasini abbia rivelato a Marco Pugliese (nda: zio del collaboratore di giustizia Renato Pugliese) notizie coperte da segreto istruttorio”. Il ricorrente Ninnolino documenta che questo dato è stato ritenuto non provato nel giudizio di merito perché Pasini è stato assolto con sentenza definitiva dall’accusa di aver rivelata segreti d’ufficio; eppure “nell’economia del provvedimento impugnato, questo fatto non ha particolare rilevanza: la condotta colposa ascritta a Ninnolino, infatti, non è la rivelazione di segreti (che quand’anche avvenuta non sarebbe ascrivibile a lui), bensì la frequentazione con Pasini“.

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