RESET, SFILANO COME TESTIMONI PEZZI DEL MONDO CRIMINALE PONTINO: TUTTI NEGANO FINO ALL’INVEROSIMILE

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Francesco Viola
Francesco Viola (foto da Facebook)

È ripreso il processo “Reset” che contesta ai membri del clan Travali l’associazione mafiosa. Ascoltati diversi testimoni citati nel corso di altre escussioni

Sono sfilati dinanzi al III collegio del Tribunale di Latina, composto dai giudici La Rosa-Sergio-Romano, i cosiddetti testimoni ex articolo 195, ossia coloro che il medesimo Tribunale, chiamato a giudicare i membri del clan Travali, ha ritenuto opportuno indicare per relazionare su circostanze riferite dal collaboratore di giustizia Andrea Pradissitto.

Il processo, come noto, è quello che contesta l’associazione mafiosa alla cosca di Latina che, negli anni di “Maiettopoli” (i primi anni Dieci, fino agli arresti avvenuti con l’operazione “Don’t Touch” nel 2015), dominava incontrastato le piazze di spaccio del capoluogo pontino, tra estorsioni, intimidazioni e rapporti opachi con imprenditoria, professionisti e politica. L’indagine denominata “Reset” è stata conclusa dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e dalla Squadra Mobile di Latina, sulla scorta delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia, ex affiliati al clan Travali, Agostino Riccardo e Renato Pugliese. Trenta imputati tra cui pesi massimi della criminalità latinense come Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Alessandro Zof e Luigi Ciarelli, vale a dire il numero tre del sodalizio rom “Ciarelli” e considerato, in questo processo, come il fornitore di hashish della banda dei Travali.

Dopo diversi intoppi e varia burocrazia giudiziaria, il Tribunale sta tentando di arrivare a sentenza entro la metà di gennaio 2025 quando scadranno le misure cautelare per diversi imputati.

Oggi, prima che iniziassero i testimoni, si è concluso il contro-esame del collaboratore di giustizia Andrea Pradissitto, legato al clan Ciarelli in quanto marito della figlia del boss Ferdinando Ciarelli detto “Furt”. Dopodiché, è iniziata la sequela dei testimoni, molti dei quali ben inseriti nel mondo criminale pontino. Una serie infinita di negazioni fino al limite del surreale. Il primo a parlare è stato i figlio del boss Giuseppe Di Silvio detto “Romolo”, Antonio Di Silvio detto “Patatino”.

Patatino, già condannato in due gradi di giudizio nel processo “Scarface” (associazione mafiosa) e condannato definitivamente nel processo Caronte (il procedimento che stroncò per la prima volta l’egemonia criminale dei clan rom a Latina), ha negato qualsiasi circostanza sollevata nei suoi confronti da Pradissitto, sostenendo peraltro di non conoscere il pentito, né di averci mai parlato. Detenuto dal 2011, con una breve parentesi negli anni 2019 e 2020, quando venne arrestato di nuovo nell’ambito dell’operazione Movida, Patatino ha affermato di non aver mai parlato con Pradissitto in carcere (al contrario di quello che dichiara il medesimo Pradissitto), né di conoscere altri imputati come Gianluca Ciprian e Valeriu Cornici, considerati dagli inquirenti come fornitori della droga per i Travali

Quando il pubblico ministero Luigia Spinelli chiede a Patatino per quale motivo si trova in carcere (il giovane Di Silvio parlava video collegato), questo risponde candidamente: “Sono ignorante e faccio fatica a leggere“.

“E allora – gli chiede il pubblico ministero – come ha fatto a leggere la formula d’impegno con cui dichiarava di dire tutta la verità come testimone?”. “L’ho imparata a memoria – dice Patatino – grazie a un ragazzo che mi ha aiutato”.

E ancora, pur essendo imparentato con i Ciarelli, avendo sposato la figlia di Luigi Ciarelli, Patatino sostiene di non conoscere nessuno del clan del Pantanaccio, al massimo per nome. E su Pradissitto? Gli chiedono i pm antimafia Luigia Spinelli e Francesco Gulatieri. “Quando ho saputo della sua collaborazione, ho pensato che per salvare le cose sue, dice le bugie“. Patatino diventa surreale quando gli richiedono perché si trovi in carcere: “Non mi interessa di sapere perché sono in carcere, non ho letto le carte. C’è il mio avvocato, chiedete a lui“.

Non troppo loquace neanche Roberto Ciarelli, il giovane e violento rampollo della casata omonimo, figlio di “Furt” Ciarelli e, soprattutto, cognato del collaboratore di giustizia Andrea Pradissitto, da cui si dissociò a mezzo Facebook. Condannato in secondo grado nel processo Purosangue anche a reati col metodo mafioso, Ciarelli junior nega tutto rispetto alle dichiarazioni attribuite a lui da Pradissitto. Della collaborazione del cognato sostiene di aver saputo solo dai giornali, del resto non sa niente.

Come intramezzo di queste testimonianze, sono arrivate le dichiarazioni spontanee dell’imputato Luigi Ciarelli che ha redarguito un po’ tutti: “Ho il cervello molto impicciato, ma che processo stiamo facendo? Non riesco a capire perché sono detenuto, mi sta scoppiando la testa. Sto sentendo tante stronzate e mi dà fastidio che venga citato mio figlio (nda: Marco Ciarelli). Io non ho mai venduto droga, sono padre di 5 figli e nonno di 6 nipoti. Sono stronzate quelle che dicono i pentiti”.

Altro testimone di giornata, sempre con la formula dell’articolo 195 del codice di procedura penale, è Marco Ranieri, padre dell’imputato Manuel Ranieri. Anche Ranieri senior nega di aver mai riferito qualcosa a Pradissitto: “La malavita l’ho sempre fatta a Roma e non qui, sto in pensione adesso. Dopo l’operazione Colosseo (nda: l’operazione che coinvolse tutti i massimi vertici della Banda della Magliana), sono venuto a Latina nel 1999, ci ha mandato il giudice Pignatone. I Travali li conosco sin da bambini, li ho visti crescere, ma niente più”.

A testimoniare anche Maurizio Santucci, cognato di Mario Nardone, entrambi obiettivi dei clan rom nella guerra criminale del 2010. Santucci fu gambizzato nel 2010 nel quadro della cosiddetta strategia stragista messa in piedi dai clan Ciarelli e Di Silvio per eliminare la criminalità non rom a Latina. Santucci, però, non solo ha negato di avere confidenza con i Travali e Pradissitto, ma ha spiegato di non sapere che nel processo in cui lui era parte offesa (in quanto gambizzato), a sedere sul banco degli imputati c’era proprio il medesimo Pradissitto (poi assolto): “Non lo so chi mi ha sparato, non vengo qui a fare la spia”.

Testimone ultimo di giornata è Francesco Viola, cognato dei fratelli Travali, il quale, presente in aula come Santucci, ha negato di aver mai parlato in carcere nel 2021 con Pradissitto: “Non era possibile parlare, era durante il Covid ed eravamo sorvegliati e in isolamento“. Insomma, in quei 20 giorni in cui si trovarono nel carcere di Velletri, non ci fu una parola tra i due secondo il fedelissimo dei Travali, peraltro condannato in due gradi di giudizio, col rito abbreviato, nel processo Reset che si è tenuto a Roma.

Tuttavia, Viola tiene a precisare: “Nella mia vita ho fatto solo estorsioni, ma non siamo mafia e non siamo un gruppi criminale. Angelo Travali abitava in una casa popolare e piena di muffa. Io ho fatto estorsioni ed è una cosa brutta, per questo sto pagando“.

Si riprende domani, quando verranno ascoltati alcuni degli imputati, tra cui l’ex poliziotto Carlo Ninnolino, accusato di passare notizie coperte dal segreto d’indagine al clan.

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