“Reset”, prosegue il processo che vede alla sbarra i 30 imputati, molti dei quali accusati di aver costituito a Latina un’associazione mafiosa
L’impresa di arrivare a sentenza prima delle vacanze di Natale appare ardua, eppure il processo “Reset”, che contesta l’associazione mafiosa al clan Travali/Di Silvio” di Latina, sta proseguendo a tappe forzate versa la sua conclusione, dopo circa due anni di rodaggio lento.
In questa settimana, quella di oggi, 25 novembre, sarà stata l’unica udienza celebrata davanti al III collegio del Tribunale di Latina, presieduta dal giudice Mario La Rosa, il magistrato che ha impresso una svolta all’andamento del dibattimento. Non manca però molto alla requisitoria dei due pubblici ministeri Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri che potranno pronunciare le loro proposte di condanne intorno alla prima decade di dicembre. Dopodiché sarà la volta delle difese che impiegheranno diverse udienze, tra le tre e le quattro, per svolgere le loro arringhe. E ancora, considerate le prevedibili repliche dei pubblici ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia, è probabile che la sentenza venga emessa agli inizi di gennaio 2025. Staremo a vedere.
Dall’udienza odierna è stato confermato che esiste una sorta di “Reset bis”, una indagine che vede come indagati i cosiddetti pusher del sodalizio a cui la DDA non contesta l’aggravante mafiosa, bensì l’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di droga. Era emerso già la scorsa settimana, ora è confermato dal fatto che uno dei testimoni odierni, Simone Lemma, è indagato per procedimento connesso inerente alla droga con alcuni membri del clan Travali. Il suo nome è stato iscritto nel registro degli indagati lo scorso 13 giugno, così come quello del controverso testimone ed ex pentito, Roberto Toselli.
Oggi, 25 novembre, dopo aver ascoltato due testimoni, tra cui Ugo Mingozzi, più volte citato dai collaboratori di giustizia, Agostino Riccardo e Renato Pugliese, il Tribunale ha sciolto due importanti riserve su questioni emerse nelle scorse udienze. Innanzitutto, il III collegio ha stabilito che i verbali dell’ex pentito Maurizio Zuppardo, che aveva rifiutato a ottobre di testimoniare in quanto lo Stato gli ha revocato il programma di protezione per comportamenti inopportuni e pericolosi, non saranno acquisiti agli atti e rimangono così fuori dal processo. Inoltre, per quanto riguarda Roberto Toselli, il 34enne di Latina che, la scorsa settimana, è riuscito a negare incredibilmente qualsiasi circostanza anche da lui stesso riferita negli anni scorsi alla magistratura, saranno acquisite dal Tribunale solo le dichiarazioni del 2016, ossia quelle riconducibili al momento in cui aveva deciso di collaborare con lo Stato.
Inoltre, il Tribunale ha deciso che verrà ascoltato, su determinate circostanze, anche un investigatore della Squadra Mobile, che ha partecipato alle operazioni “Don’t Touch” e “Reset”.
Ad ogni modo, il processo odierno ha visto anche rilasciare spontanee dichiarazioni a due imputati: Angelo Travali, ritenuto il boss del clan omonimo, e Valeriu Cornici, ossia colui che da DDA di Roma e Squadra Mobile di Latina è considerato il fornitore di marijuana negli interessi del clan.
“Palletta”, al secolo Angelo Travali, video collegato dal carcere di Benevento, ha letto i suoi appunti, negando qualsiasi accusa: “Non sono mai stato a capo di nessun clan – ha detto il 38enne pontino – Né ho sparato, né fatto sparare in vita mia a qualcuno. Vendevo droga perché né facevo uso smodato”. In sostanza, vendere sostanza stupefacente era un modo per finanziare la sua tossicodipendenza. Travali, inoltre, ha detto di non aver “mai fatto estorsioni” con il cognato Francesco Viola, di conoscere Luigi Ciarelli e gli altri dell’omonima famiglia in quanto frequentava le loro case ed era uno di famiglia e conoscerebbe il broker del narcotraffico Gianluca Ciprian e Cristian Battello detto “Schizzo”, perché il primo “era amico del mio amato cognato, Tiziano Radicioli, morto sparato“, il secondo “l’ho conosciuto nelle patrie galere e siamo diventati fratelli”. Travali, inoltre, ha detto di non conoscere Patrizio Forniti, il boss della cosca di Aprilia considerato dagli inquirenti suo fornitore di droga, nonché massimo fornitore di gran parte della provincia di Latina.
“Zof, invece, lo conosco perché andavo con la famiglia a mangiare nel suo locale”, mentre il poliziotto Carlo Ninnolino, imputato di nuovo dopo il processo “Don’t Touch”, da cui è uscito assolto, secondo Travali, non ha mai ricevuto alcun soldo da lui.
E allora perché viene tratteggiato dai collaboratori di giustizia Agostino Riccardo e Renato Pugliese, ex affiliati al clan, come il capo del sodalizio? Travali la spiega così: “Sono sempre stati due truffatori e per questo io li ho allontanati e li anche ho sputtanati e denigrati in quanto erano confidenti di polizia. Rovinano la vita delle persone per gelosia e cattiveria e per accorciarsi la vita carceraria“.
Anche Valeriu Cornici ha scelto di rappresentare al Tribunale la sua innocenza: “Mi avete massacrato – dice rivolto al pm Francesco Gualtieri – ma io giuro sui miei due figlio che non ho mai fornito droga né preso un euro da Angelo Travali, con cui non ho mai preso un caffè. Potete farmi anche la macchina della verità”.
Il processo riprenderà il prossimo 2 dicembre, intanto il pm Gualtieri, nel corso dell’udienza odierna, ha chiesto che sia acquisito agli il fascicolo di indagine “Assedio”, l’inchiesta che ha terremotato l’amministrazione comunale di Aprilia e contestato alla cosca Forniti l’associazione mafiosa. Chiesta l’acquisizione anche dell’indagine sulle intimidazioni per i chioschi del lungomare di Latina e l’indagine sul carcere di Latina denominata “Astice”, che ha stabilito sentenze passate in giudicato.