RESET, CLAN TRAVALI: ASSOLTO CIARAVINO

Operazione Reset: la Corte d’Appello si è espressa sulla posizione di Giovanni Ciaravino, imputato per associazione mafiosa

È stato assolto dall’accusa di associazione dedita al narcotraffico il 41enne di Latina Giovanni Ciaravino, difeso dagli avvocati Francesco Vasaturo e Alessandro De Federicis. La sentenza è stata pronunciata quest’oggi, 2 luglio, dalla seconda Corte d’Appello di Roma, presieduta dal giudice Roberta Palmisano, dopo che, dicembre scorso, la Cassazione aveva annullato la sentenza di condanna a 7 anni e 8 mesi di reclusione decisa da un’altra sezione della Corte d’Appello (già in quel giudizio era caduta l’aggravante del metodo mafioso). Una decisione in linea con quella del Tribunale di Latina che ha assolto in primo grado per associazione mafiosa finalizzata allo spaccio tutti i componenti del clan Travali/Di Silvio.

Il procuratore generale della Corte d’Appello ha chiesto di condannate Ciaravino, mentre la difesa ha ribadito le contraddizioni delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che avevano individuato Ciaravino come spacciatore affiliato al clan Travali.

Di contraddittorio c’era il rifornimento della droga dal sodalizio capeggiato dai Mazzucco, in realtà rivale del clan di origine rom e altre questioni poco lineari: una vola Ciaravino era descritto come pusher di hashish, un’altra volta come spacciatore di cocaina. Fatto sta che la Corte d’Appello ha assolto Ciaravino per non aver commesso il fatto.

Leggi anche:
RESET, CROLLANO LE ACCUSE DELL’ANTIMAFIA: PER IL TRIBUNALE DI LATINA NON C’È UN CLAN TRAVALI-DI SILVIO

Giovanni Ciaravino aveva scelto il rito abbreviato insieme a Francesco Viola, cognato dei fratelli Angelo e Salvatore Travali, condannato in via definitiva per estorsione con metodo mafioso a 14 anni e 3 mesi di reclusione. Una sentenza, quella della Cassazione, che era arrivata nella serata del 18 dicembre, mentre si svolgeva a Latina il processo Reset con 31 imputati.

Per Ciaravino, il procuratore generale della Cassazione, a dicembre, aveva chiesto l’annullamento con rinvio in Corte d’Appello rispetto all’accusa di appartenere all’associazione mafiosa dei Travali dedita allo spaccio di droga. Secondo la Procura Generale, ci sarebbe stato un vizio nei riscontri delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

In primo grado, sia Viola che Ciaravino avevano scelto entrambi di essere giudicati col rito abbreviato: Viola, accusato di estorsioni col metodo mafioso (per lui contestati anche episodi di usura e spaccio), e Ciaravino, imputato anche lui per il reato del 416bis finalizzato allo spaccio di sostanze stupefacenti.

Davanti al Giudice per l’udienza preliminari di Roma, il Pm Luigia Spinelli, ripercorrendo la vicenda criminale, aveva chiesto la condanna a 14 anni per Francesco Viola, e 10 anni e 6 mesi per Giovanni Ciaravino. La difesa, dopo la requisitoria del Pm, aveva chiesto l’assoluzione e i due imputati avevano sempre negato di essere stai mai parte di una clan mafioso.

Il Gup Ciancio aveva poi condannato entrambi aumentando per di più le pene: Viola a 16 anni di reclusione, Ciaravino a 10 anni e 8 mesi, riconoscendo per entrambi l’aggravante mafiosa. A quest’ultimo era contestata lo spaccio di sostanze stupefacenti in seno all’associazione capeggiata dai Travali e Costantino Di Silvio detto “Cha Cha”, come partecipe di aver gestito una piazza di spaccio a Latina.

Più corpose le accuse per il co-imputato. A Francesco Viola (già con diverse condanne sul groppone, tra cui quella definitiva per il processo “Don’t Touch”), cognato dei fratelli Travali per aver sposato la sorella Vera, una rilevante quantità di estorsioni ai danni di cittadini, ristoratori, sale scommesse, commercianti, professionisti (anche un avvocato), tra cui un uomo che aveva un credito di centinaia di migliaia di euro con una nota società nel ramo delle energie rinnovabili.

Al momento Giovanni Ciaravino rimane imputato nel noto processo che hanno ad oggetto principale la gestione dei chioschi sul lungomare di Latina. A lui è contestato un reato col metodo mafioso, in quanto sodale del clan Travali. Una circostanza che, oggi, in Appello, per un altro processo, è caduta definitivamente.

Articolo precedente

CORRUZIONE ALLA CAMERA DI COMMERCIO DI LATINA: 38 I TESTIMONI DELLA DIFESA

Articolo successivo

LAZIO, CONSIGLIO REGIONALE SEMPLIFICA LE PROCEDURE VIA E VAS

Ultime da Giudiziaria