RAPITO, PICCHIATO E MINACCIATO CON UNA SIRINGA PIENA DI ACIDO: INIZIA IL PROCESSO MA LA VITTIMA È DECEDUTA

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Rapisce imprenditore rivale e lo sequestra: è iniziato il processo a Latina a carico di uomo di 37 anni arrestato dalla Polizia

Una vicenda violente e inquietante che ha visto come teatro la città di Aprilia. L’arresto del 37enne Tommaso Anzaloni è passato sotto traccia in provincia, eppure, ad agosto 2022, le Squadre mobili di Roma e Latina, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia capitolina, hanno portato a termine il fermo dell’uomo, nato a Napoli ma residente nella Capitale, in una vicenda dai contorni truculenti.

L’allarme alla Polizia lo diede una donna tra le lacrime avvertendo il 112 che un collaboratore della loro azienda era stato stato sequestrato. La vittima del sequestro di persona fu rilasciata dopo essere rimasta cinque ore in balia di Anzaloni, secondo la ricostruzione degli inquirenti. Non solo il sequestro ma anche le botte che avevano ridotto l’uomo in condizioni molto gravi. Il viso completamente tumefatto, la cui immagine fu inviata da Anzaloni ai responsabili dell’azienda in cui lavorava per chiedere soldi in cambio delmriscatto.

E dalle indagini è emerso che il sequestratore del manager lo aveva precedentemente minacciato di morte, con una serie di messaggi sul telefono: “Te devo spanza’ sei finito. Dietro de me c’è tutta la scissione di Napoli, ricorda che dietro di me ce ne stanno duemila”. Un rimando alle guerre di camorra tra “ufficiali” e scissionisti.

Il movente del pestaggio e del sequestro, secondo gli atti d’indagine, andrebbe ricercato in alcuni lavori di ristrutturazione di un villino ad Anzio, in via Giusti, per cui era previsto il superbonus 110, che erano stati affidati ad Anzaloni, titolare di una ditta di ristrutturazioni edili e che a suo dire non era stato pagato. I fatti sono avvenuti tra Roma, Aprilia, Latina e Nettuno.

L’imprenditore arrestato, video collegato dal carcere, era comparso lo scorso 20 gennaio davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Latina, presieduta dal giudice Gian Luca Soana, a latere il giudice Paolo Romano oltreché alla giuria popolare. Deve rispondere di sequestro di persona e estorsione aggravata dal metodo mafioso, secondo l’accusa rappresentata in aula dal Pm della DDA di Roma, Corrado Fasanelli.

Il processo fu rinviato perché mancava alla parte offesa, ossia il manager rapito, Marcello Nuti, la notifica del rinvio a giudizio immediato di Anzaloni. Oggi, 14 marzo, però, nella nuova udienza in Corte d’Assise, si è scoperto che il 20 gennaio la vittima e parte offesa, Marcello Nuti, non avrebbe mai potuto essere presente lo scorso 20 gennaio. Il motivo è quello più definitivo: Nuti, secondo quanto accertato dai Carabinieri di Aprilia, è deceduto una settimana prima, il 13 gennaio 2023.

Il processo è ovviamente andato avanti, con un particolare non proprio marginale. La Corte d’Assise ha dichiarato aperto il dibattimento e in aula sono sfilati quattro dei testimoni che il 9 maggio 2022 assistettero seppur indirettamente al pestaggio e al sequestro di Nuti da parte di Anzaloni.

Di particolare rilevanza la testimonianza del titolare dell’impresa della Maglianza, che si occupa di edilizia e facchinaggio, che quella mattina vide insieme ad altri colleghi il video inviato a un altro testimone da Anzaloni che ritraeva Nuti col volto livido a causa delle botte prese.

Anzaloni, secondo quanto riportato da titolare dell’impresa romana, fu assunto con contratto determinato per la ristrutturazione del villino ad Anzio ed altri lavori. Fu proprio Nuti, che per conto dell’impresa romana aveva tali mansioni, a reclutare Anzaloni e la sua ditta per poter svolgere, in una sorta di subappalto, i lavori di efficientamento energetico previsti dal noto Superbonus 110.

Nell’ambito di una vicenda abbastanza frequente nell’edilizia, tra documenti mai presentati (vedi il Durc), cantieri sospesi dal direttore per via di varie inadempienze sul lato della sicurezza, e buste paga a zero, Anzaloni, secondo quanto confermato dal testimone, la mattina del 9 maggio 2022, intorno alle ore 9, avrebbe rapito Marcello Nuti, condotto nelle campagne di Aprilia insieme a un complice (di cui non si conosce l’identità e che non è imputato), picchiato selvaggiamente e persino minacciato con una siringa contenente acido di batteria.

Il testimone ha ricordato il video e le foto inviate a uno dei colleghi dell’azienda che mostravano il viso tumefatto di Nuti. Prima dell’episodio qualche dissidio sui pagamenti in ritardo, ma niente, secondo i testimone, che lasciava presupporre il risvolto drammatico della primavera 2022. Anzaloini chiedeva intorno ai 32mila euro perché sosteneva, secondo quanto ribadito in aula dall’avvocato difensore Scipioni, di dover avere i soldi per i lavori effettuati e mai pagati, o comunque molto parzialmente pagati dall’impresa della Magliana.

Il collega, che si occupava insieme a Nuti di procacciare appalti e personale, chiamò il titolare dell’impresa dicendo che Anzaloni aveva sequestrato il suddetto Nuti; successivamente, “in stato di agitazione ci disse che Nuti era stato rapito e ci mostrò il video“.

Contestualmente anche lo zio del titolare dell’impresa, anche lui dipendente della ditta, mostrava, inviandoli, i messaggi con cui Anzaloni reclamava i soldi che gli spettavano. Denaro che lo stesso titolare ha ammesso in aula erano dovuti, se non tutti, almeno in parte al 37enne. “Io lo invitavo a venire in ufficio – ha detto il titolare dell’impresa in aula – gli dissi che non gli avrei più dato il denaro dopo quello che aveva fatto”.

La sera stessa, dopo l’intervento della Polizia, Marcello Nuti fu portato in ospedale dalla polizia e poi interrogato. Dopo essere stato rapito, picchiato e portato a casa di un dipendente di Anzaloni ad Aprilia, Marcello Nuti, secondo quanto raccontò al titolare d’impresa e agli altri testimoni, prelevò 1300 euro per darli ai suoi sequestratori.

In aula, oggi, sono stati ascoltati altri tre testimoni, tra cui la direttrice generale dell’azienda romana, nonché moglie del titolare, lo zio di quest’ultimo e un altro dipendente. In quel drammatico 9 maggio, solo la direttrice generale ebbe la prontezza di rivolgersi alla Polizia poiché “la situazione ormai esulava dai miei compiti…nel tardo pomeriggio abbiamo saputo della liberazione di Marcello”. Una liberazione che, purtroppo, non lo ha salvato dal triste destino di morire sei mesi dopo.

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