PROCESSO SCHEGGIA. L’INFORMATIVA RICHIESTA DALLA DIFESA E IL RACCONTO DEL SOCIO: “SE NON MI SENTI CHIAMA IL 113”

/
Gina Cetrone
Gina Cetrone

Processo Scheggia: nuova udienza presso il Tribunale di Latina del procedimento che vede tra gli imputati l’ex consigliera regionale di Sonnino/Terracina Gina Cetrone

Come noto, ad essere accusati di estorsione con l’aggravante mafiosa ai danni di un imprenditore di Pescara che si occupa di produzione alimentare ci sono, dinanzi al Tribunale di Latina, i tre Di Silvio – Armando detto Lallà e i figli Samuele e Gianluca -, l’ex consigliera regionale del Pdl Gina Cetrone e l’ex marito Umberto Pagliaroli, più il collaboratore di giustizia, all’epoca dei fatti affiliato al clan rom, Agostino Riccardo.

Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Cetrone e Pagliaroli come creditori dell’imprenditore abruzzese, in relazione a pregresse forniture di vetro effettuate dalla società Vetritalia Srl, società a loro riconducibile, avrebbero consumato un’estorsione con l’ausilio dei tre Di Silvio più l’affiliato Riccardo, chiamati a intervenire con modalità intimidatorie per la riscossione del credito. Lallà è ritenuto essere stato concorrente morale avendo autorizzato, in qualità di capo dell’associazione di stampo mafioso (Clan Di Silvio), la partecipazione degli associati all’attività estorsiva sollecitata da Cetrone e Pagliaroli.

Dopo l’udienza di aprile, quando l’imprenditore abruzzese, ascoltato nell’Aula della Corte d’Assise del Tribunale di Latina, presieduta dal giudice Caterina Chiaravalloti, dichiarò di aver corrisposto i soldi a Riccardo “per paura”, oggi è stato escusso uno dei collaboratori dell’imprenditore, ossia il direttore commerciale, addetto al ramo vendita della società.

Secondo l’accusa della DDA di Roma, oggi rappresentata in Aula dai pm Luigia Spinelli e Corrado Fasanelli, Cetrone e Pagliaroli, all’epoca dei fatti coniugi, avrebbero costretto l’imprenditore, arrivato da Pescara a Terracina, ad attendere Riccardo e i figli di Lallà – Samuele e Gianluca Di Silvio -, che, una volta giunti, lo avrebbero minacciato dicendo che se non avesse pagato entro il giorno dopo “ci avrebbero pensato loro”, raccomandandogli di “non fare arrabbiare Agostino”, e prospettando implicitamente conseguenze e ritorsioni violente nei confronti della sua persona o dei suol beni.

Il socio dell’imprenditore ha ripercorso quelle fasi, pur non essendo coinvolto in prima persona, e già ascoltato a sommarie informazioni, a febbraio 2020, dalla Squadra Mobile di Latina che ha condotto le indagini.

Ebbene, il socio ha raccontato, interrogato dai pm e, in seguito, dagli avvocati del collegio difensivo, di aver telefonato più volte a quell’ora in cui sapeva che l’imprenditore si sarebbe trovato a Terracina in casa Pagliaroli proprio perché fu l’imprenditore medesimo ad avergli detto di chiamarlo a intervalli di tempo trovandosi in una situazione “particolare”.

La loro società, infatti, aveva una esposizione debitoria nei confronti di Vetritalia dei coniugi Pagliaroli, nonostante l’uomo abbia ribadito di non aver avuto rapporti diretti con i titolari della ditta di Terracina. “Mi disse – ha dichiarato in Aula il direttore commerciale, in riferimento all’imprenditore pescarese – se non mi senti chiama i Carabinieri o il 113. Telefonai un po’ di volte in un’ora ma ha sempre risposto e poi mi ha detto riparto e ci vediamo in azienda domani“.

Una posizione che, in effetti, conferma il viaggio dell’imprenditore pescarese, il debito di quest’ultimo con Pagliaroli e Cetrone (l’uomo versò 15mila euro più le 600 euro per il “disturbo” arrecato a Riccardo), ma non aggiunge molto sul fatto presunto per cui l’imprenditore fu minacciato o meno a Terracina, né se sia stato bloccato a casa di Pagliaroli/Cetrone in attesa che venissero i Di Silvio con l’affiliato Riccardo. Infatti, il direttore commerciale ha sostenuto anche che l’imprenditore pescarese, il giorno dopo il viaggio a Terracina, non gli avrebbe dettagliato nulla rispetto all’incontro con Pagliaroli/Cetrone.

E sempre lo stesso direttore commerciale conferma che l’imprenditore pescare gli avrebbe detto di aver “preso accordi rateali” e di voler “continuare ad avere rapporti con Vetritalia”. Una versione confermata al controesame del collegio difensivo che, così, intende dimostrare come un imprenditore, in questo caso l’uomo di Pescara, se estorto e scioccato da quanto accaduto (le minacce di un gruppo agguerrito come i Di Silvio), e in posizione di sottomissione, non avrebbe potuto continuare un rapporto lavorativo dopo un’estorsione che gli inquirenti e gli investigatori ritengono invece essersi consumata nel 2016.

Prima dell’escussione del socio dell’imprenditore pescarese, l’avvocato Lorenzo Magnarelli, che difende Gina Cetrone, ha chiesto che sia integrata nel processo un’informativa datata 8 giugno 2016, riguardante un altro capo del processo, ossia quello inerente ai reati elettorali per cui sono imputati l’ex consigliera regionale e i Di Silvio. La notazione degli investigatori che porta in essere l’avvocato Magnarelli è contenuta in un altro procedimento penale, quello convenzionalmente conosciuto come Reset (che contesta il 416bis al Clan Travali, a cui Riccardo era affiliato prima di passare col Clan Di Silvio). Lì, secondo l’avvocato di Cetrone, ci sarebbe la prova che la candidata sindaco alle elezioni amministrative 2016 di Terracina (poi semplice candidata consigliere in appoggio ad altro sindaco) sarebbe stata vittima dei ricatti di Riccardo e non mandante dell’attacchinaggio sfrenato di manifesti, ad occupazione militare delle zone elettorali, così come viene tratteggiata dall’inchiesta dell’Antimafia di Roma. In sostanza, nell’informativa, sarebbe riportato, secondo l’avvocato, un pedinamento eseguito dalla Polizia per appurare i ricatti di Riccardo nei confronti di Cetrone.

A quanto ricostruito dall’avvocato Magnarelli – che in seguito ha richiamato un altro stralcio dei verbali resi agli inquirenti da Riccardo in cui l’ex affiliato dei clan rom avrebbe detto riferito a Cetrone “mo’ l’aggiusto io” – si tratterebbe di un fatto grave, ossia quello di non aver inserito quell’informativa dell’8 giugno 2016, rimandante al pedinamento del 31 maggio 2016, negli atti d’indagine scaturiti poi nel processo Scheggia. Ecco perché sarebbe stato persino depositato un esposto ad altra autorità nei confronti della DDA romana da parte dell’avvocato di Cetrone.

Il Tribunale si è dapprima riservato in merito alla richiesta dell’avvocato di Cetrone e, successivamente, ha richiesto ai Pm dell’Antimafia di produrre per la prossima udienza il documento che dimostrerebbe come la Polizia stesse monitorando Riccardo in quanto “carnefice” di Cetrone e non come collaboratore di una campagna elettorale dedita alla prevaricazione degli altri altri candidati. Intanto, sempre i Pm hanno chiesto di acquisire agli atti del processo le sentenze della Cassazione che condannano in via definitiva i due collaboratori di giustizia, Renato Pugliese e Agostino Riccardo.

La prossima udienza che si celebrerà il 21 giugno, dalle ore 11,30, sarà cruciale. Verrà ascoltato non solo Gianluca D’Amico, ossia il giovane che insieme al defunto Matteo Lombardi si sarebbe messo d’accordo con Riccardo e i Di Silvio per non pestarsi i piedi nell’attacchinaggio dei manifesti elettorali, ma soprattutto il collaboratore di giustizia Agostino Riccardo grande accusatore di Gina Cetrone.

Articolo precedente

COVID, LAZIO: 118 CASI E 13 DECESSI

Articolo successivo

LATINA: NON ACCETTA LA FINE DELLA STORIA E MANDA ALL’OSPEDALE LA CONVIVENTE

Ultime da Giudiziaria