L’ex consigliere regionale pontina Gina Cetrone, imputata con tre appartenenti del Clan Di Silvio, per estorsione e violenza privata con l’aggravante mafiosa, scrive una lettera aperta: l’ex esponente di “Cambiamo con Toti” esprime la sua delusione per come viene trattata la sua vicenda processuale che in questi mesi si sta svolgendo presso la Corte d’Assise del Tribunale di Latina
Riceviamo, tramite il suo avvocato Lorenzo Magnarelli, e pubblichiamo integralmente la lettera di Gina Cetrone.
Al di là del rispetto per ogni opinione, riteniamo grave definire solo “due pregiudicati” Agostino Riccardo e Renato Pugliese. È vero: sono due pregiudicati che hanno fatto molto male alla città, appartenenti, in tempi diversi, a due clan mafiosi, ma rappresentano anche due collaboratori di giustizia ritenuti credibili dall’Antimafia.
LA LETTERA – Mi aspettavo di leggere commenti diversi, aderenti allo svolgimento dell’udienza invece, ancora una volta, mi ritrovo assillata dalla stessa domanda: perché non è stato pubblicato tutto ciò che effettivamente è accaduto in udienza? Quale è l’obiettivo da raggiungere con tale atteggiamento?
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Avete l’intenzione di ledere il mio diritto di difesa? Vi sbagliate, lo state rafforzando. Intendete proporre delle verità emozionali disancorate dalla storia? State provocando il contrario. Volete offendermi senza parlare di me ma trattando soltanto l’oggetto dell’imputazione elevata a mio carico? Non ci state riuscendo.
Vi presentate come cronisti giudiziari ma, con tutto il mio rispetto, voi in realtà siete soltanto dei critici. La verità? Sarebbe bella se voi la scriveste. Invece, dove l’avete nascosta? E l’interesse alla divulgazione? Dove lo avete riposto? Insomma, siete perennemente impegnati in un tentativo. Io no. Vi lascio alla vostra incompletezza.
Il sistema, di cui volete essere un ingranaggio, è stato già scoperto. E lo ha fatto proprio un vostro illustre collega con un’intervista. Quindi, siete ormai retaggio di una vecchia e malsana abitudine che non lavora più. Prendetene atto.
Ma nonostante ciò vi rispetto. Nella piena consapevolezza di rispettare ancor di più chi mi dovrà giudicare. Su di un’accusa che sento ingiusta, basata sulle dichiarazioni di due pregiudicati che dall’inizio di questo mio calvario sto demolendo con le prove della mia innocenza. Prove che hanno già sconfessato la custodia cautelare che mi era stata inflitta. Vi rispetto così tanto che soccorro finanche alla mancanza di inchiostro che d’un tratto si è palesata sui vostri taccuini.
E sì, perché, martedì, nel pieno rispetto della procedura, la testimonianza di cui voi avete riportato soltanto alcuni passaggi, è stata, invece, un’esperienza processuale molto più ricca. Questa si meritevole di una cronaca che, però, non vi è stata. Senza voler effettuare delle valutazioni che, ripeto, non spettano a me, ma neppure a voi, vi segnalo soltanto che, oltre a ciò che avete scritto ed interpretato a modo vostro, il testimone ha dichiarato: l’esistenza di un credito vantato dalla Società da me rappresentata nei confronti della sua; di essere partito da Pescara per venirmi a salutare nel mentre ero in convalescenza ed impossibilitata a muovermi dopo aver subito un intervento; di essersi recato presso di me con l’intento di voler trovare un accordo per rispettare tale credito; che si è accordato con me; che tale accordo era condizionato all’esistenza di denaro sul suo conto; il pagamento del suo debito nei miei confronti si basa soltanto su tale accordo ed è distinto da tutto il resto.
Infatti non mi ha denunciata: non vi era alcun motivo per farlo.
Con me, come con tutti, voi avete un dovere, tra gli altri, ossia, quello di scrivere nel rispetto della verità e della presunzione di innocenza: vi chiedo di non ignorarlo. Rispettatelo. Abbracciatelo. Un giorno potreste esserne fieri.