PROCESSO “RESET”, L’EX AFFILIATO INCHIODA “PALLETTA”: “ERA LUI IL LEADER”. LA DIFESA NE CHIEDE LA SCARCERAZIONE

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Da sinistra: Alessandro Zof, Gianluca Ciprian, Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Angelo “Palletta” Travali e Francesco Viola. Sono tutti accusati dalla DDA di far parte del medesimo Clan Travali

Processo “Reset”: iniziate le testimonianze dei collaboratori di giustizia. A parlare l’ex affiliato al clan Travali, Renato Pugliese

È arrivato il momento che un po’ tutti aspettavano davanti al III collegio del Tribunale di Latina della terna di giudici La Rosa-Sergio-Romano. Il processo “Reset” arriva al cuore delle sue accuse contro il clan Travali/Di Silvio, indiziato di essere l’associazione mafiosa che per anni, fino agli arresti eseguiti con l’operazione “Don’t Touch”, ad ottobre 2015, imperversò nella città di Latina (e oltre), più o meno senza un incisivo contrasto.

Sono iniziate, infatti, in una udienza fiume iniziata dalla mattina alle 9,30 e conclusasi poco dopo le ore 17, le testimonianze dei collaboratori di giustizia. Testimonianze molto sentite poiché a parlare è Renato Pugliese, il figlio di Costantino Di Silvio detto “Cha Cha”, considerato dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dalla Squadra Mobile di Latina, il capo del sodalizio, poi spodestato dai “nipoti” Angelo e Salvatore Travali, figli della cugina carnale Maria Grazia Di Silvio. Dopo l’escussione di Pugliese non ancora conclusa, inizierà nelle prossime udienze anche la testimonianza di Agostino Riccardo, l’altro ex affiliato e grande accusatore del clan.

Il processo ha già visto sfilare come testimoni dell’accusa le vittime di estorsione e gli investigatori della Squadra Mobile che hanno portato avanti l’indagine, basata in gran parte sulle rivelazioni di Agostino Riccardo e Renato Pugliese, i quali, come ormai è storia nota nel mondo criminale pontino, passarono nel clan Di Silvio sponda Armando detto “Lallà”, dopo essere rimasti soli in seguito agli arresti di Travali, Cha Cha e gli altri del sodalizio nella succitata operazione “Don’t touch”.

Nel processo “Reset”, sono 30 gli imputati: Angelo Travali, Salvatore Travali, Angelo Morelli, Vera Travali, Alessandro Zof, Ermes Pellerani, Davide Alicastro, Fabio Benedetti, Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Antonio Neroni, Antonio Giovannelli, Dario Gabrielli, Mirko Albertini, Silvio Mascetti, Matteo Gervasi, Francesca De Santis, Antonio Peluso (in carcere), Manuel Ranieri, Shara Travali, Valentina Travali, Giorgia Cervoni, Riccardo Pasini, Luigi Ciarelli, Corrado Giuliani, Franco “Ciccio” Della Magna, Denis Cristofori, Carlo Ninnolino, Valeriu Cornici, Alessandro Anzovino, Christian Battello e Tonino Bidone. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Angelo e Oreste Palmieri, Frisetti, Marino, Montini, Gullì, Marcheselli, Cardillo Cupo, Zeppieri, Siciliano, Vita, Vitelli, Farau, Censi, Iucci e Coronella.

Sin dalla mattina, l’aula è gremita. A risaltare anche la presenza di un personaggio di peso dell’ambiente criminale pontino: Ermanno D’Arienzo detto “Topolino”, padre biologico del principale accusato di essere il leader del sodalizio, Angelo “Palletta” Travali. Quest’ultimo, come spiega in aula il suo avvocato Pasquale Cardillo Cupo, sarebbe affetto da seri problemi cardiaci e necessiterebbe di un’operazione molto delicata. Ecco perché il legale chiede che gli siano concessi gli arresti domiciliari, peraltro per tornare in Q4, il quartiere da dove controllava i suoi traffici: Travali sarebbe incompatibile con la detenzione nel carcere di Benevento. Non appena l’avvocato ha fatto richiesta al Tribunale, con la ovvia riserva dei pubblici ministeri Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri che vogliono vederci chiaro, D’Arienzo e la compagna di “Palletta” si alzano e vanno via.

Il processo prosegue. Dopo le eccezioni della difesa che lamenta la quantità rilevante di omissis nelle migliaia di pagine di verbali rilasciate dai pentiti e messe a disposizione dalla Procura, l’udienza va avanti con il collaboratore video-collegato dal sito riservato, il quale, come in tutti i processi in cui ha riferito, parla di schiena. La faccia non si vede, ma le parole sono scandagliate da imputati e avvocati che dovranno contro-esaminarlo quando, il prossimo 11 luglio, riprenderà il processo (sebbene l’esame dei pm non si sia esaurito nella giornata odierna)

Una testimonianza lunga e complessa, e ancora non conclusa, stimolata dalle domande dei pubblici ministeri Spinelli e Gualtieri. Un racconto che è molto simile a quello fatto per gli innumerevoli processi nati anche dalle sue dichiarazioni: da “Alba Pontina” in poi.

Il figlio di “Cha Cha” ha ripercorso in sintesi, per quanto poteva, la sua storia criminale, iniziata nel 2001, in età adolescenziale, insieme a Giuseppe Pasquale Di Silvio, il figlio maggiore del boss di Campo Boario, Armando Di Silvio detto “Lallà”.

“Ho iniziato a collaborare a causa di delusioni e grazie all’aiuto di un poliziotto. Era un mondo che non mi apparteneva più e temevo di essere ucciso, non so come sono arrivato vivo”. Ripercorre la sua vita criminale – citando anche la sua condanna a 4 anni e 4 mesi per associazione mafiosa col clan di “Lallà” maturata nel processo “Alba Pontina” -, Pugliese passa a raccontare della sua educazione criminale avvenuta con Massimiliano Moro che lo adottò come un “figlioccio” e poi, una volta ucciso il mentore, dal 2013, uscito dal carcere dopo aver scontato condanne per droga e rapine (intervallate da un’assoluzione per l’omicidio Bruzzese avvenuto nel locale Makkeroni di Latina), l’approdo al clan nato ai Palazzoni di Latina, convocato da Angelo Travali.

Fu Agostino Riccardo, l’attuale collaboratore di giustizia, all’epoca (siamo nel 2013), affiliato al sodalizio e grande amico di “Palletta” e del braccio destro Francesco Viola (quest’ultimo e lo stesso Riccardo li chiamavano “Mimì e Cocò” per la capacità di stare insieme e commettere estorsioni all’unisono), a farsi ambasciatore: “Dopo 3 o 4 mesi che avevo finito di scontare le mie pene, Riccardo mi trova e mi dice che mi sta cercando Angelo Travali“.

All’epoca, Pugliese spiega che, dopo la galera e i domiciliari, si è fatto convincere da un suo amico, Alessandro Agresti (altro personaggio finito nelle cronache giudiziarie), a lavorare nel suo salone auto. Sta bene, ma evidentemente il richiamo di Travali è forte. In quegli anni, il carisma criminale di “Palletta” è cresciuto parecchio, visto l’indebolimento dei clan storici quali quelli dei Ciarelli e dei Di Silvio, infiacchiti dalla guerra criminale del 2010 e dalle condanne che ne sono seguite.

È Angelo Travali, quindi, a fargli la proposta di lavorare per lui ed essere intraneo al clan: lo fa al bar Cifra, locale frequentato dalla Latina bene che si intreccia con i guappi del crimine pontino. Da sempre. “Voleva che lavorassi con lui, sapeva che ero affidabile. Non ho accettato subito perché lavoravo con Agresti”. È a gennaio 2014 che Pugliese inizia a lavorare per Travali&Co: la sua funzione è quella di spacciare la droga che gli rifornisce “Palletta”, tramite anche i suoi “ragazzi” in zona pub, tra cui, fra tutti, Michele Petillo poi coinvolto nell’operazione “Scarface” e capace di portare a proficuo reddito lo smercio delle sostanze stupefacenti distribuite in zona pub tra i giovani latinensi.

Eppure, spiega Pugliese, il legame Travali lo fa nascere perché lo stesso figlio di Cha Cha può servirgli per placare il senso di rivalsa che avevano i figli di Armando Di Silvio. Una storia di odio nata dal fatto che anni prima la madre di “Palletta”, Maria Grazia Di Silvio, li denuncia per paura che gli uccidano i figli.

La descrizione che Pugliese fa di Angelo Travali è quello di un leader criminale: rolex al polso e l’ormai pluri-citata Smart Brabus (quest’auto gli è costata la condanna in primo grado a 21 anni di reclusione per l’omicidio Giuroiu): “Era un venditore di droga e aveva disponibilità di armi“. Sin da subito, dopo l’ingresso nel sodalizio, Travali presenta a Pugliese chi gli rifornisce la droga: Valeriu Cornici e Alessandro Zof: “Angelo prendeva 2 o 3 chili di erba a settimana. A Sezze la dava a Ermes Pellerani, ad Aprilia a Cristian Battello, mentre a Latina la dava anche a Silvio Mascetti, che fu costretto a venderla nella zona in cui operava, dalle parti del centro Morbella“.

“Palletta” ha tutta una serie di persone a cui si rivolge. Ad esempio, “Gabrielli lo scarrozzava ovunque”. Ai Palazzoni, sua base di controllo, Angelo Travali ha la disponibilità di due appartamenti: “I guadagni di Travali erano alti, stava su 30-50mila euro al mese. Arrivò a guadagnare anche 120mila euro al mese. Lui però non mi ha mai spremuto, mi regalava anche soldi. Io avevo dei ragazzi che spacciavano al Campo Boario, la mia punta di diamante era Michele Petillo. Con Angelo stavamo sempre insieme, giocavamo alle slot machine”. Ma quando c’erano gli affari e i carichi di droga, Angelo Travali è sempre pronto a mollare tutto e pensare al “lavoro”: “Il suo unico giorno di riposo era la domenica“, spiega Pugliese.

A rifornire di droga il clan, come noto, c’è anche il broker della droga, Gianluca Ciprian, capace di movimentare enormi quantità tanto che “se gli chiedevi un chilo di cocaina, ti faceva la faccia storta. Dovevi chiederli anche 100 chili, perché lui poteva farteli arrivare“. Come noto, Ciprian scampa nel 2012 al duplice omicidio avvenuto a Sezze, quando a morire furono “Titto” Marchionne e Sandro Radicioli per mano dei fratelli Botticelli. Dopo quell’episodio, Ciprian diventa il maggior fornitore di droga dei sodalizi di Latina e oltre. E Angelo Travali ha lui come punto di riferimento per la droga, essendo stato peraltro cognato di “Titto Marchionne”. Quando arrestano Ciprian nel 2014 (operazione “Arco”), Travali, secondo i pentiti, si rifornisce da un peso massimo della droga pontina: l’apriliano Patrizio Forniti, descritto come un boss.

È proprio sulla droga che si concentrano le domande dei pm Spinelli e Gualtieri. Le accuse sulle estorsioni sono state cristallizzate dalle testimonianze delle vittime, alcune delle quali ancora impaurite, e sono i traffici di droga a dover essere dimostrati davanti al Tribunale.

È Pugliese, quindi, a raccontare di un mega scarico di erba fornita da Valeriu Cornici e fatta arrivare direttamente all’undicesimo piano dei Palazzoni, “dove la gente – spiega Pugliese – guardava e non parlava, anche se quella roba puzzava parecchio”. Quaranta chili di erba dentro sacchi neri per l’immondizia. E la droga è sempre al centro dei discorsi odierni: “Ho visto un ragazzo preso a bastonate perché ad Angelo gli doveva i soldi, era il figlio di uno delle onoranze funebri”. Anche Agostino Riccardo viene tirato in ballo perché è lui, tra i tanti, a custodire la droga per conto di Travali in Via Bradano, nella sua casa a due passi dal cimitero di Latina.

Le accuse di Pugliese sono rivolte anche ad Alessandro Zof, individuato come fornitore di droga, sodale di Cornici, e per di più capace, come confermato da Pugliese, di far vendere la sostanza anche nel locale di suo fratello, il “Mr Cash” che, in teoria, si occupava di tutt’altro.

I primi scricchiolii con il clan avvengono prima degli arresti di “Don’t Touch” avvenuti nel 2015, quando a prendere la scena fu Salvatore Travali, il fratello minore di Angelo. Con lui il prezzo della droga sale e per gli affiliati i pagamenti non erano più così remunerativi. Rapporti sempre più incrinati fino all’altro pluri-citato episodio dello schiaffo che “Bula” (il soprannome di Salvatore Travali) rifilò a Pugliese. Un gesto in seguito vendicato dal nuovo clan di Pugliese, i Di Silvio di Campo Boario, con un pestaggio subito da Salvatore Travali in carcere ad opera di un rumeno pagato con stecche di sigarette.

Non solo droga, però, ma anche armi e la sete di “Palletta” di dimostrare agli ambienti che lui è in grado di farsi rispettare attraverso l’uso delle armi. Come quando diede la caccia a due latinensi rei di spacciare in città senza il suo permesso. Un episodio controverso e finito con colpi d’arma da fuoco sparati all’indirizzo di auto e locale riconducibili ai due “eretici”.

“Ho saputo da Cornici che c’erano alcuni suoi compaesani e altri uomini del clan Fasciani di Ostia, a cui non pagai una partita di droga, che giravano con la mia foto per farmi fuori”. È così che Pugliese spiega di come la sua “fede” nel crimine e nella vita facile comincia ad affievolirsi per un mondo che, come dice all’inizio di questa udienza, non gli appartiene più.

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