PETCOKE. SEQUESTRATO SITO DI STOCCAGGIO ALLA INTERGROUP. DENUNCIA PER ILLECITO SCARICO

Intergroup
I finanzieri di fronte al deposito della Intergroup per l'operazione “30 Days Sea – Phase II”

Sequestrato sito a Sessa Aurunca dove Intergroup stocca Petcoke. Denuncia per il rappresentante legale della società presieduta da Nicola Di Sarno

L’operazione “30 days at sea 2.0”, coordinata da INTERPOL, si è svolta nel corso di tutto il mese di ottobre 2019 a livello globale e ha visto coinvolti 61 paesi, per complessive 200 autorità impiegate nel contrasto, in tutto il mondo, dei crimini ambientali, causa di inquinamento marino e costiero. Nell’ambito della complessa operazione il personale dei Comandi territoriali della Guardia Costiera ha effettuato 3270 ispezioni, rilevando complessivamente 346 violazioni, sia di natura penale che amministrativa, eseguendo, in particolare, controlli su: navi che scalano nei principali porti italiani (con verifica dei rifiuti di bordo e tenore di zolfo); scarichi dei depuratori urbani ed industriali, cave, cantieri navali, aree di rimessaggio, sistemi di autolavaggio, attività industriali, strutture alberghiere, impianti destinati alla lavorazione di materiali lapidei, discariche. Quale valore aggiunto, sono state impiegate anche le componenti specialistiche del Corpo: mezzi aerei per attività di telerilevamento ambientale, operatori subacquei e personale del Laboratorio Analisi Ambientali, per attività di campionamento e analisi.
Lo sforzo operativo è stato particolarmente mirato ad accertare il rispetto della normativa vigente nel settore della filiera dei rifiuti, con particolare attenzione al traffico illecito e transfrontaliero, nonché degli scarichi idrici, verificando la corretta gestione ambientale connessa ai processi di depurazione delle acque e al trattamento dei rifiuti prodotti dalle attività esercitate.
Parallelamente il personale della Guardia Costiera specializzato in sicurezza della navigazione, ha condotto un’attività ispettiva sulle navi straniere che approdano nei porti italiani (Port State Control), con lo scopo di effettuare i previsti controlli ambientali e al fine di verificare il rispetto e la conformità ai requisiti stabiliti dalla MARPOL 73/78. ​

I militari del Nucleo Mobile della Tenenza di Sessa Aurunca, nell’ambito dell’Operazione “30 Days Sea – Phase II” avviata nello scorso mese di ottobre in ambito internazionale dall’Interpol e finalizzata a contrastare le forme di inquinamento del mare causate da illeciti sversamenti nei corsi d’acqua dell’entroterra, hanno effettuato il sequestro di un’area di circa 20.000 mq dove risultavano stoccate circa 38.000 tonnellate di “PET COKE”, residuo altamente inquinante derivante dall’attività di trasformazione del petrolio, utilizzato come combustibile industriale.

L’attività di controllo eseguita ha infatti permesso di accertare l’illecito smaltimento, senza alcun filtraggio, delle acque di dilavamento dei piazzali e bagnatura dei cumuli di Pet-coke stoccati nel sito, gestito da anni da una società con sede legale a Roma: Intergroup, la società spedizioniera che opera all’interno del porto commerciale di Gaeta, fondata da Nicola Di Sarno (che in un’interrogazione in Regione Lazio, risalente al 2010, firmata da Ivano Peduzzi e Fabio Nobile, veniva descritto come figlio di un esponente deceduto del clan Nuvoletta), con interessi nell’ambito della movimentazione pale eoliche. A febbraio, il sindaco di Formia, Paola Villa – riprendendo una sua vecchia battaglia fatta di comunicati, denunce, ricorsi, sopralluoghi – aveva evidenziato la pericolosità degli scarichi di petcoke al porto di Gaeta che, poi, sarebbero finiti a Sessa Aurunca. A fine agosto, sempre la Villa scrisse una lettera indirizzata al Presidente dell’Autorità Portuale di Gaeta, Fiumicino e Civitavecchia, Francesco Maria Di Majo, alla Prefettura di Latina, al Comune di Gaeta, alla Capitaneria di Porto di Gaeta in cui denunciava, dopo una sua personale verifica, che “uno dei camion adibiti al trasporto di materiale conosciuto come petcoke ha sversato in maniera accidentale una parte del carico tra i Comuni di Formia e Gaeta causando problemi alla viabilità e naturalmente problemi legati alla tipologia e alla pericolosità del materiale trasportato”.

Nell’operazione di oggi, in particolare, sarebbe emerso che i reflui finiti nel mirino della Finanza, senza subire alcun trattamento di depurazione dalle sostanze inquinanti, venivano convogliati all’esterno dell’area di stoccaggio aziendale, direttamente in un canale del Consorzio Aurunco di Bonifica (denominato Papero bis) per poi sfociare nel vicino fiume Garigliano e, infine, in mare con grave danno per l’ecosistema marino.

Nicola Di Sarno
Nicola Di Sarno, fondatore e Presidente di Intergroup nata nel 1986. Per il processo “Porto Sicuro”, il pm di Cassino Alfredo Mattei ha chiesto per lui 6 anni di condanna, in qualità di amministratore unico della società di movimentazione merci, “Interminal srl” di Gaeta che, nel 2015, fu oggetto dell’indagine omonima per la gestione dei rifiuti ritenuti pericolosi sulla banchina del porto commerciale “Salvo D’Acquisto” di Gaeta. Le accuse vanno dalla corruzione al falso fino al traffico illecito di rifiuti. L’ipotesi è che l’attività della Intermineral era di accogliere materiali ferrosi (ritenuti pericolosi) dalle province di Latina, Frosinone e della Campania, per poi imbarcarli pericolosi verso una fonderia turca

Durante il controllo i Finanzieri intervenuti, verificato che le acque utilizzate per il lavaggio del carbone petrolifero venivano illecitamente smaltite, provvedevano a far eseguire ai tecnici della competente A.R.P.A.C. anche verifiche e campionamenti sia delle acque, connotate da intensa colorazione scura, sia del materiale fangoso di colore nero rinvenuti nel canale, così da stabilirne l’effettivo grado di contaminazione. Nello stesso tempo l’intera area è stata sottoposta, d’urgenza, a sequestro preventivo ed il legale rappresentante della società, che ha la gestione del sito, è stato denunciato all’Autorità Giudiziaria per violazione all’art. 137 del T.U. ambientale: illecito scarico di acque reflue contaminate.

Successivamente, il competente G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel convalidare il sequestro del sito, ha disposto la rimozione del materiale stoccato a cura della società titolare del deposito, così da evitare ulteriori danni all’ambiente circostante. Le relative operazioni di svuotamento sono tutt’ora in corso. 

Autorizzazione sanitaria del comune di Sessa Aurunca
L’autorizzazione sanitaria del sindaco di Sessa Auruna rilasciata nel 1991 a Di Sarno per scarico e deposito di carbone, secondo la normativa vigente, ovvero la “Disciplina su produzione e vendita di alimenti e bevande”

Il sito di Sessa Aurunca, gestito dalla Interport facente capo a Intergroup, è aperto dal 1991, dapprima con un titolo concessorio di stoccaggio del tipo di prodotti alimentari e bevande, che, poi, è diventato un luogo dove accumulare riserve di petcoke dal porto commerciale di Gaeta, da anni punto di riferimento per il sud Italia.
Dalle nostri parti, come ricordava un articolo de Il Fatto Quotidiano, datato 2016 e a firma di Luisiana Gaita, il petcoke era vietato come combustibile, perché considerato scarto tossico, fino a quando, nel 2002, il governo Berlusconi cambiò le carte in tavola rendendolo legittimo, così da essere utilizzato soprattutto nei cementifici. Si parla, è bene specificarlo, di un carbone ottenuto durante la distillazione del petrolio ad alta concentrazione di zolfo e metalli pesanti, alcuni dei quali cancerogeni.

Attraverso una serie di varie autorizzazioni, diversi certificati di prevenzione incendi dei vigili del fuoco, poi, nel 2008, il decreto della Regione per le emissioni in atmosfera e nel 2011 il via libera della Provincia per lo scarico delle acque, infine si arrivò anche all’ordinanza del 15 gennaio 2004 della Corte di Giustizia Europea e del decreto legislativo 249 del 2012: il petcoke non era considerato come prodotto energetico e, quindi, non era soggetto ad autorizzazione unica.

Interport
Interport

Il 18 dicembre 2015, il Ministero Sviluppo Economico arrivò ad autorizzare, tramite decreto, la riduzione della capacità di stoccaggio del deposito, richiesta peraltro dal gruppo di Di Sarno: da 140mila a 97mila metri cubi. Un’epopea, culminata dai pareri discordanti del Comune di Sessa Aurunca che sosteneva che l’autorizzazione a stoccare petcoke “sarebbe una legittimazione ex post di immobili e modificazioni di destinazione d’uso del suolo abusivamente realizzati, costituendo un condono edilizio contrastante con principi costituzionali e con consolidati orientamenti di giurisprudenza”; mentre la Regione Campania emetteva un parere opposto: “Il deposito non interessa nessuna delle aree protette o della Rete Natura 2000 e presenta una ampia barriera vegetale realizzata per abbattere le eventuali emissioni sul lato rivolto verso il Fiume Garigliano” e inoltre “dalla riduzione di capacità del deposito non possono derivare rilevanti impatti negativi per l’ambiente”.

Non devono averla pensata così i Finanzieri che oggi hanno eseguito il sequestro del sito.

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