PAURA, AMNESIE E CONTRADDIZIONI AL PROCESSO “RESET”. UN TESTE: “ORA MI CHIAMANO INFAME”

/
Salvatore e Angelo Travali
Salvatore e Angelo Travali

Processo “Reset”: è ripreso il processo che vede alla sbarra 30 imputati, la maggior parte dei quali accusati di associazione mafiosaAd essere ascoltate ancora le vittime di estorsioni tra ansia, amnesia e paura

Continua il processo sul clan mafioso retto dai fratelli Travali Costantino “Cha Cha” Di Silvio, che più di tutti interessa la città di Latina. Oggi, 12 maggio, così come nelle precedenti udienze (il processo ha un calendario fisso che prevede un’udienza al mese, ogni secondo venerdì), sono state ascoltate altre testimonianze di persone finite nelle grinfie del clan, di cui uno de componenti più in vista, Francesco Viola, è stato già condannato per associazione mafiosa a 16 anni di reclusione col rito abbreviato.

Nelle due precedenti udienze sono stari ascoltati commercianti, professionisti, semplici cittadini che hanno tracciato un profilo di una città, Latina, soggiogata dal sodalizio. Tracciato sì, ma loro malgrado, perché la maggior parte dei testimoni ha tentato di minimizzare i fatti in cui sono stati coinvolti come vittime. A ribadire cosa fossero i Travali e gli altri componenti del gruppo, in una testimonianza della scorsa udienza, uno dei commercianti più conosciuti del capoluogo, titolare di tre notissimi negozi di abbigliamento: “Erano persone che stavano dentro il contesto sociale della città, non erano ai margini“.

Paura, amnesie, anche tanta ipocrisia e risvolti involontariamente grotteschi quando parrebbe da alcune testimonianze che a Latina tutti i cittadini sono abituati a chiedere sconti e a ottenerli. È così, infatti, che i commercianti ascoltati – tra cui anche un gioielliere – hanno provato a diminuire la portata estorsiva di alcune circostanze e soprattutto la nomea che precedeva il gruppo Travali/Cha Cha, i quali in realtà non avevano neanche bisogno di minacciare, consapevoli che bastava la loro presenza per avere “sconti” o merce gratis. Ecco cosa sta delineando questo processo che cerca di fare luce su quello che era diventata un certa Latina.

Leggi anche:
I GUAPPI CHE TERRORIZZARONO LATINA: NEL PROCESSO RESET LE VITTIME TRA AMMISSIONI E RETICENZE

Quest’oggi, davanti alla Corte d’Assise, presieduta dal giudice Laura Morselli, a latere i colleghi Simona Sergio e Paolo Romano, hanno sfilato altri tre testimoni interrogati dal Pm Luigia Spinelli e e contro-esaminati da alcuni degli avvocati del collegio difensivo composto da Marino, Angelo e Oreste Palmieri, Frisetti, Montini, Gullì, Marcheselli, Cardillo Cupo, Zeppieri, Siciliano, Roccato, Vita, Vitelli, Farau, Censi, Iucci, Coronella. Due le parti civili: Comune di Latina e Associazione antimafia Antonino Caponnetto.

Sul banco degli imputati, diversi protagonisti della malavita pontina: Angelo Travali, Salvatore Travali, Angelo Morelli, Vera Travali, Alessandro Zof, Ermes Pellerani, Davide Alicastro, Fabio Benedetti, Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Antonio Neroni, Antonio Giovannelli, Dario Gabrielli, Mirko Albertini, Silvio Mascetti, Matteo Gervasi, Francesca De Santis, Antonio Peluso (in carcere), Manuel Ranieri, Shara Travali, Valentina Travali, Giorgia Cervoni, Riccardo Pasini, Luigi Ciarelli, Corrado Giuliani, Franco “Ciccio” Della Magna, Denis Cristofori, Carlo Ninnolino, Valeriu Cornici, Alessandro Anzovino, Christian Battello e Tonino Bidone.

Si è ripartiti dal contro-esame di un giovane di Latina che dopo aver vinto quasi due milioni di euro con “Turista per Sempre”, si ritrovò a dover vendere l’appartamento stretto tra le richieste estorsive del clan e il suo vizio per la cocaina.

Distrutto dalle estorsioni di Francesco Viola e Angelo Morelli, il giovane fu costretto a svendere l’appartamento per 88mila euro. Soldi di cui non vide un centesimo: fu Viola a dirgli di fare bonifici a Flavio Bortolin, Giancarlo Alessandrini e Antonio Neroni. Il resto fu fagocitato da Viola stesso poiché “mi aveva sottratto la mia carta bancomat e prelevava quando gli pareva“.

Per questi fatti accaduti tra il 2012 e il 2015, il giovane, che la scorsa volta sembrava molto teso, oggi appariva più a suo agio. In fondo, è uno dei pochi, ascoltati sino a ora, a non aver tentato di negare cosa fosse il clan e perché lui stesso, come tanti altri, ne aveva paura. “Non ho denunciato Viola e Morelli per paura che potesse succedere qualcosa alla gravidanza di mia moglie”. Successivamente, accade però che, in seguito ad altri episodi (estranei a questo processo), lo stesso giovane denunciò “Cristian Morelli (nda: fratello di Angelo Morelli) perché non avevo più nulla da perdere nel 2016. Dopo questa denuncia non sono mai stato avvicinato, ma se li incontro per strada mi fanno sorrisini e so che mi chiamano infame“.

Alla domanda se sia stato mai avvicinato da uno del clan, il giovane ha risposto che “Viola mi ha avvicinato in tribunale il giorno della mia condanna (nda: il testimone ha dei procedimenti ancora aperti, nonché essere stato arrestato con padre e fratello per estorsione aggravata) e mi ha detto che per quella cosa con Cristian Morelli ci si poteva mettere d’accordo, in più mi ha chiesto se qualcuno mi aveva avvicinato e di stare attento”.

Rilevante la seconda testimonianza, ossia quella di un uomo che aveva in gestione una friggitoria tra il 2015 e il 2017 in Corso della Repubblica a Latina. Una rilevanza non è stata data da ciò che ha detto il testimone, piuttosto da quello che non ha detto, tra tanti non ricordo e numerose contraddizioni dettate da una paura malcelata.

A estorcerlo ripetutamente sarebbe stato Francesco Viola. “Lo conosco sin da bambino. È venuto un paio di volte e una volta ho offerto le patatine e un’altra volta ha pagato”. Solo che a verbale l’uomo aveva riferito alla Squadra Mobile di Latina, che ha condotto le indagini, che Viola venne dieci volte nel negozio senza mai pagare. Al che il teste ha iniziato a traballare, sostenendo di confondere Viola con qualcun altro, pur avendo esordito di aver conosciuto il medesimo Viola sin da ragazzino essendo coetanei.

Minimizzando e piegando involotariamente la testimonianza al grottesco, l’uomo ha detto: “Offrivo una patatina senza impegno“. Dichiarazioni che hanno fatto sì che sia il Pm Spinelli che il giudice Morselli hanno incalzato l’uomo la cui testimonianza è risultata pieno di contraddizioni. L’uomo, infatti, quando fu interrogato nel 2018 dai poliziotti, aveva riferito uno scenario di ben altro tenore…altro che “una patatina senza impegno”.

“Per non avere problemi – aveva detto ai poliziotti – offrivo le patatine, per quieto vivere perché Viola apparteneva a un gruppo criminale che faceva prepotenze in vari negozi della città e dai giornali avevo appreso che era un malvivente“. Inoltre, l’uomo aveva sostenuto che nel locale Viola si presentava anche insieme ad Agostino Riccardo, Angelo Travali e che lui ne aveva paura perché “erano legati a Cha Cha che a Latina tutti conoscevano“. Eppure, oggi, il testimone non ricordava niente, costretto a confermare le dichiarazioni sul suo verbale solo quanto il Pm gliele leggeva. “Sapevo che stavano in curva del Latina Calcio e allo stadio so che facevano quello che gli pareva”.

Alla domanda se i componenti del clan gli facevano paura, l’uomo ha risposto: “A me no, ma immagino che la facessero agli altri“. Sempre a verbale, l’uomo aveva spiegato invece che “gli zingari non pagano la merce e anche in discoteca come il Felix entravano senza pagare perché tutti hanno paura“.

Tuttavia, contro-esaminato dagli avvocati, l’uomo ha detto che le voci su Travali, Cha Cha e gli altri era “da bar” e che non ha mai avuto modo di leggere il verbale scritto dai poliziotti che lo interrogavano.

Il terzo testimone di giornata è stato un gestore di un benzinaio che si trova in Via Epitaffio. Un distributore storico ubicato lì da circa 60 anni. È lo stesso uomo che, in seguito, è stato minacciato dalla madre dei Travali, Maria Grazia Di Silvio, il cui caso è finito dentro un altro processo denominato “Status Quo”: a “Graziella” Di Silvio viene contestata l’estorsione ai suoi danni con l’aggravante mafiosa. L’uomo è stato accusato dalla Di Silvio di aver parlato delle estorsioni subite dai figli e da altri del clan. Il punto è che, anche oggi, il benzinaio ha tentato di minimizzare, spiegando di conoscere i Travali sin da bambini e di aver concesso ad Angelo Travali di non pagare la benzina perché si fidava. “Tante volte pagavano, tante volte mi dicevano ripasso e io mi fidavo”. Non solo i Travali, anche Agostino Riccardo, ora collaboratore di giustizia, e Francesco Viola avrebbero usufruito di benzina senza pagare nulla. Uno scrocco durato per anni il cui debito è arrivato a circa 10mila euro. “Non li facevo pagare per quieto vivere“, eppure nega di temere i Travali, nonostante che, a verbale, ha detto il contrario, chiarendo di avere avuto paura e di non aver denunciato per il timore di ritorsione.

Più veloce la testimonianza delle ultime due vittime. Di una donna chiamata a testimoniare, sia Pm che avvocati hanno preferito acquisire il verbale. La donna, infatti, provata dall’età, sarebbe stata sottoposta a uno sforzo inutile. Si tratta di una vittima di estorsione da parte di Salvatore Travali, della sorella Vera Travali e del marito di quest’ultima, Francesco Viola: sarebbe stata costretta a restituire la caparra di svariate migliaia di euro per un affare immobiliare saltato in ordine a un appartamento.

Ad essere ascoltato, invece, l’agente immobiliare che aveva lavorato all’acquisto dell’immobile di cui, dapprincipio, si mostrarono interessati Viola e Vera Travali. In seguito all’arresto di Viola stesso, i coniugi decisero di rinunciarvi, pur pretendendo, tramite le intimidazioni di Salvatore Travali all’agente immobiliare, la restituzione della caparra da 15mila euro.

L’agente immobiliare, sebbene a distanza di anni, era palesemente ansioso, teso, impaurito. Una paura confessata anche in aula. Il culmine dell’ansia fu raggiunto quando ricevette la visita di Salvatore Travali, il quale gli disse che Vera Travali e Francesco Viola non avevano più intenzione di concludere l’acquisto dell’appartamento. L’uomo tentò timidamente di dirgli che la caparra non poteva essere ridata indietro, ma i soldi furono restituiti dalla padrona di casa (ossia l’anziana donna a cui è stato evitato di rispondere alle domande in aula). C’è di più perché, dopo un po’ di tempo, l’agente immobiliare fu fermato per strada da due uomini, che non ha mai saputo riconoscere, che gli chiedevano 500 euro. Diede loro 150 euro, con la netta sensazione che quei soldi erano legati all’affare immobiliare saltato. Alla fine, ha detto l’uomo, “abbiamo subito, ma oggi ho rimosso tutto, non voglio problemi e non ricordo, la mia mente è offuscata“.

A malapena, l’uomo ha riconosciuto Salvatore Travali nell’album fotografico che gli viene mostrato in aula dal Pm Spinelli. Il resto per lui e per Latina sarà un’altra giornata da dimenticare, pur essendo passati 6 anni.

Articolo precedente

LATINA, TUTTO PRONTO PER LA NUOVA “VINILERIA”

Articolo successivo

BANDIERA BLU: 8 IN PROVINCIA DI LATINA, ECLUSE PONZA E VENTOTENE

Ultime da Giudiziaria