PALAZZO KEY: CONFISCATO IL GRATTACIELO

Palazzo Key, Latina
Palazzo Key, Latina

Caso “grattacielo Key”: la Corte d’Appello ha dichiarato prescritti i reati e ha deciso sulla confisca del bene

Il rudere al centro della città di Latina diventa un ben confiscato e rientrerà nella disponibilità dello Stato. A deciderlo la Corte d’Appello di Roma, presieduta dal giudice Tommaso Picazio che, poco prima delle 21, ha resto nota la decisione.

La Corte d’Appello di Roma ha deciso definitivamente – ma era scontato – il destino penale degli imputati per la vendita simulata del noto grattacielo di Largo Don Bosco che si erge come un rudere tra lo Stadio Francioni e Piazza del Popolo, disegnando uno skyline degradato del capoluogo di provincia.

In primo grado furono condannati Paola Fontenova (3 anni) amministratore della srl, Paolino Coccato (2 anni), Riccardo Silvi (1 anno e 6 mesi), Lucio Noviello della Falco Immobiliare (2 anni) e Gian Domenico Brienza (1 anno). Furono, per l’appunto, condannati nel 2015 in ragione della vendita simulata per favorire la Falco srl. Assolti, invece, Vincenzo Cosentino e i componenti del collegio sindacale Roberto Fontenova, Francesco Silipo, Carla Angelini e Alessia iannacci.

La vicenda del Palazzo Key è emersa anche nell’ambito del procedimento “Dirty Glass”, che vede alla sbarra, tra gli altri, il noto imprenditore di Sonnino, Luciano Iannotta, allorché quest’ultimo fu intercettato a parlare con lui commercialista Fontenova (coinvolto con Iannotta anche in un procedimento giudiziario per il fallimento della Ferro Presagomato in ordine a reati fiscali). Iannotta ricordava di aver denunciato Vincenzo Cosentino perché, a suo dire, avrebbe sottratto un cifra intorno ai 70mila euro da un’associazione sportiva riconducibile all’imprenditore sonninese stesso.

E proprio per recuperare quel credito, che Iannotta riteneva avere nei confronti di Cosentino, l’imprenditore si sarebbe affidato agli allora affiliati al Clan Di Silvio, Agostino Riccardo e Renato Pugliese (oggi entrambi collaboratori di giustizia).

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Tornando alla vendita simulata a favore della Falco Immobiliare, le condanne del 2015 non portarono a molto poiché i reati si sono prescritti pochi giorni dopo. Scattò anche la confisca, mai realizzatasi di fatto, del Grattacielo Key. Secondo l’accusa, la vendita dell’immobile, risalente al 2007, fu organizzata per la Falco, che vedeva come amministratore Paolo Fontenova, contro gli altri soci. Alla Falco, costituita per l’occasione, il palazzo fu venduto per 2,5 milioni di euro, ossia una cifra molto bassa rispetto al valore del mercato di allora. Dopo poco, la Falco cedette le sue quote ad una società basata in Lussemburgo.

Ora, la Corte d’Appello, assodata la prescrizione, si trovava a giudicare Paolo Fontenova e Paolino Coccato, difesi dagli avvocati Giudetti, Oropallo e Giglio. Entrambe le loro posizioni erano ovviamente prescritte, ma ancora era oscuro il destino della confisca dell’immobile che la difesa sostiene non essere stata profitto del reato. Lo stesso Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma aveva chiesto che l’immobile (o quel che ne rimane) venisse restituito, inclusa la revoca della confisca.

Come per altri casi, la prescrizione degli imputati avrebbe potuto far decadere anche la confisca dell’immobile, in osservanza e continuità con l’informazione a sezioni unite della Cassazione emessa il 30 gennaio 2020. La Corte di Cassazione, infatti, aveva stabilito che non è più possibile disporre la confisca urbanistica di un immobile se il reato è da ritenersi prescritto prima della fine del primo grado. La difesa, ad ogni modo, ha richiamato anche la sentenza di Cassazione risalente al 15 ottobre 2020 che stabilisce che non si può confiscare un bene quando è intervenuta la prescrizione per gli imputati riconducibile al medesimo.

La Corte d’Appello di Roma, invece, ha confermato al confisca del bene che, ora, al netto di possibili ricorsi che eventualmente verranno presentati tra tre mesi dopo che si leggeranno le motivazioni della sentenza, fa passare il grattacielo nella disponibilità dello Stato. In quel caso sarebbe lo Stato ed eventualmente il Comune a decidere per la demolizione che tutto sommato costituirebbe la opportuna conclusione di un rudere fatiscente, non proprio degno di una città che vuole dirsi moderna.

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