OMICIDIO RICCIONI, 24 ANNI DI CARCERE A LUIGI D’ATINO: HA UCCISO IL COMPAGNO DELLA MADRE E PROVATO A FAR FUORI LA DONNA

Luigi-DAtino
Luigi D'Atino

Omicidio di Priverno, si è concluso il processo a carico del 34enne accusato di aver ucciso il compagno della madre

La Corte d’Assise del Tribunale di Latina, presieduto dal giudice Gian Luca Soana, a latere il giudice Simona Serino e la giuria popolare, ha condannato Luigi D’Atino alla pena di 24 anni di reclusione, con le attenuanti generiche e l’esclusione dell’aggravante della crudeltà. Il Tribunale ha stabilito il risarcimento delle parti civile (da calcolarsi in separata sede) con diverse provvisionali: due da 25mila euro, due da 30mila euro e 2 da 20mila euro. La decisione è arriva al termine di circa due ore e mezza di camera di consiglio.

Si è concluso così il processo per omicidio e tentato omicidio a carico del 34enne di Priverno, Luigi D’Atino, accusato di aver ucciso il compagno della madre, il 49enne Germano Riccioni, e di aver tentato di uccidere anche la donna nel corso di un raptus, la 59enne Adele Coluzzi.

Germano-Riccioni
Germano Riccioni

Iniziato lo scorso 16 settembre il processo nei confronti di D’Atino, difeso dagli avvocati Gianmarco Conca e Manfredo Fiormonti, è arrivato rapidamente a conclusione, dopo che, nell’ultima udienza di fine aprile, il killer è stato considerato dal consulente del Tribunale “imputabile” e capace di intendere e volere. Secondo la perizia, peraltro, il giorno dell’omicidio, la vittima avrebbe fatto fumare a D’Atino una sostanza stupefacente che lo avrebbe mandato fuori controllo. Le due cause dell’omicidio, secondo il consulente del Tribunale, sono quindi rintracciabili nel non potersi fare la doccia e nell’assunzione di droga. L’imputato, in base alla perizia psichiatrica, aveva uno scopo di vita: vivere nella casa ereditata dal padre, lavorare e, nel caso, acquistare droga di cui era dipendente. La discussione tra lui, la madre e Riccioni non sarebbe mai nata se gli fosse stato concesso di farsi una doccia dentro la casa della succitata madre.

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Costituti nel processo come parti civili i genitori e i fratelli della vittima, difesi dall’avvocato Maria Teresa Ciotti, e la madre di D’Atino, Adele Coluzzi, oltreché la moglie (da cui l’uomo era di fatto separato) e la figlia di Riccioni, assititi dall’avvocato Cesarina Gandolfi. La madre del killer, Adele Coluzzi, come spiegato dalla sua difesa, è rimasta in condizioni psicofisiche compromesse, tanto da avere un’amministratore di sostegno nella figura della sorella.

Nella requisitoria, il pubblico ministero Giuseppe Bontempo, chiedendo 30 anni di reclusione, ha sottolineato la violenza e la brutalità dell’azione di D’Atino contro Riccioni e la madre, inquadrando le aggravanti della crudeltà e della affinità con le vittime. L’aggressività reciproca tra i due – D’Atino e Riccioni – non può spostare nulla nella gravità della condotta del 34enne, ha spiegato il magistrato che ha ripercorso minuziosamente le varie testimonianze rese nel corso dell’istruttoria, comprese quelle degli operatori sanitari che dovettero aspettare l’intervento dei Carabinieri per poter soccorrere Adele Coluzzi, lasciata rantolante a terra dopo essere stata colpita colpita anche con un masso di pietra, e constatare l’avvenuto decesso di Germano Riccioni. Il pubblico ministero, nel corso della requisitoria durata un’ora e 40 minuti, ha invocato le attenuanti generiche per il 34enne, in ragione del suo passato difficile tra servizi sociali e un rapporto complesso con i genitori.

Gli avvocati di parte civile, Gandolfi e Ciotti, hanno rimarcato la furia omicida di D’Atino e, in particolare, la frase “Finalmente ho ucciso la madre”. E ancora, rivolto ai sanitari: “Svegliatelo, rianimatelo che voglio ucciderlo”. La donna si salvò ma, come spiegato dall’avvocato Gandolfi, fu lasciata esanime dopo essere stata presa per i capelli e colpita con un mattone di marmo, subendo un ricovero di 4 mesi. Come confermato dalla consulente medica Maria Cristina Setacci, il 34enne infierì con i colpi sul viso delle vittime. Uno dei testimoni tra gli operatori sanitari ha spiegato di aver sentito dire da D’Atino che voleva far sentire ancora dolore a entrambi, sia Riccioni che la madre.

Per quanto riguarda la difesa, l’avvocato Conca ha chiesto per D’Atino la derubricazione del tentato omicidio nei confronti della madre in lesioni gravissime, oltreché all’esclusione dell’aggravante della crudeltà in merito al capo d’imputazione dell’omicidio. Il collega Fiormonti ha invocato, invece, l’assoluzione dall’omicidio per le asserite patologie psichiche dell’imputato e il riconoscimento della semi infermità mentale, con la concessione delle attenuate della semi infermità mentale. In subordine il minimo della pena per l’omicidio e, come l’avvocato Conca, la derubricazione del tentato omicidio.

Dopo la mattanza avvenuta in Via Madonna del Calle, il 34enne, arrestato, si era avvalso della facoltà di non rispondere. L’arresto era stato eseguito dai Carabinieri di Terracina e del Nucleo Investigativo di Latina e sin da subito non c’erano stati dubbi: il giovane è stato individuato come il responsabile dell’omicidio del compagno della madre e del tentato omicidio della madre stessa. La donna, ferita gravemente, fu trasportata con l’eliambulanza da Priverno e ricoverata presso l’Ospedale San Camillo di Roma. In prognosi riservata e ricoverata in terapia intensiva con un trauma cranio-facciale, fu sottoposta a un intervento di chirurgia ed è sopravvissuta. 

Gli elementi a carico di D’Atino, processato col giudizio immediato, soggetto noto in città e ai servizi sociali del Comune come consumatore di sostanze stupefacenti, erano emersi già in sede di indagine, grazie alle testimonianze raccolte e agli esiti del sopralluogo.

Il delitto è maturato in seno a una lite famigliare tra il 34enne, la madre e il compagno Germano Riccioni. Le indagini si sono indirizzate sin da subito sul figlio della donna, che ha riempito di botte e colpito il compagno della donna ferendolo a morte con una anfora di gesso e altro materiale di ferro, per poi scagliarsi sulla madre e colpirla con un mattone sul viso. Nelle vicinanze della casa, praticamente sull’uscio, è stato trovato il cadavere di Riccioni, che forse stava tentando di scappare dalla furia del 34enne, e i pezzi di anfora rotta.

Il 34enne ha colpito con violenza il 49enne lasciandolo esanime a terra, per una lite iniziata dentro l’appartamento e finita tragicamente al suo esterno, mentre la madre è stata colpita in seguito e lasciata agonizzante dentro la casa, successivamente posta sotto sequestro dai Carabinieri. Secondo le prime ipotesi investigative, il delitto si è consumato per via di una richiesta di denaro. D’Atino era tornato da poco a casa della madre che conviveva con Riccioni, dopo aver vissuto, occupandola, in un immobile appartenuto a uno zio, ossia il fratello del padre, Antonio D’Atino, deceduto qualche anno fa, in seguito a un incidente stradale. Per tale episodio, sia lo zio che D’Atino si sono costituiti parti civili nel procedimento penale che contesta l’omicidio stradale all’imputato considerato responsabile.

In realtà, l’immobile sarebbe stato occupato da Luigi D’Atino, tanto che lo zio, proprietario della casa in Via Mazzini a Priverno, è stato costretto a denunciare il nipote. Il 34enne non è nuovo alle cronache giudiziarie: è finito anche all’attenzione delle forze dell’ordine, come uno di coloro che avrebbe partecipato al pestaggio, per motivi di droga, in cui è incorso uno straniero alla fine di ottobre 2023, lasciato sul ciglio della strada agonizzante.

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I rapporti tra il figlio e il nuovo compagno della madre, Germano Riccioni, non erano buoni, come contrastata sarebbe stata anche la relazione del 34enne con la madre. In questo contesto, non certo tranquillo e sereno, per di più reso difficile dal consumo di sostanze stupefacenti (anche la vittima aveva precedenti in materia di sostanze stupefacenti), sarebbe maturato il delitto di via Madonna del Calle. Da tempo, come hanno riferito i vicini di casa, le liti in casa si susseguivano abbastanza spesso. Poi, le urla che hanno attirato le attenzioni dei medesimi vicini e la tragica scoperta dei Carabinieri della locale Stazione e della Compagnia di Terracina.

La madre di D’Atino, secondo il racconto dell’autista del pronto soccorso, si trovava faccia terra, col viso rivolto all’insù, mentre il figlio, su di lei, con le ginocchia appena flesse, imbracciava il vaso così da colpirla.

Il giorno dell’omicidio, ha raccontato lo zio di D’Atino nel corso del processo, venne un amico del killer per dirgli che, nelle intenzioni del nipote, il prossimo ad essere ucciso sarebbe stato proprio il medesimo zio : “Tu saresti il terzo“. Insomma, un rapporto complicato, tanto che la cantina in cui viveva D’Atino apparteneva allo zio – per inciso, amico in vita di Germano Riccioni – il quale aveva denunciato più volte il nipote perché se ne era appropriato, oltreché alla circostanza di un furto di corrente elettrica.

Ad ogni modo, da ciò che è emerso in istruttoria, quello di Via Madonna del Calle era uno scenario di degrado e marginalità sociale. L’omicidio di Riccioni è nato innanzitutto in un contesto privo di speranza. La stessa sorella di Adele Coluzzi ha spiegato in aula che i loro rapporti erano quasi nulli e che aveva saputo del tragico episodio da un’altra sorella la quale, a sua volta, l’aveva appreso tramite il chiacchiericcio di paese. Lo stesso chiacchiericcio che aveva fatto in modo di ricostruire la serata pre-tragedia, quando Riccioni, Coluzzi e D’Atino sarebbero stati visti bere insieme in due bar di Priverno. Alle analisi di alcol e droga, D’Atino era stata trovato positivo a cocaina, cannabinoidi e alcol.

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